di Marco Terracciano
Due anni fa Valentina Durante stava cercando un editore per il suo romanzo Afrodia e, nel frattempo, chiedeva pareri ai suoi contatti Facebook. Io non la conoscevo, ma qualche mese prima avevo letto questo suo racconto sulla rivista Vibrisse e per diversi giorni mi ci ero arrovellato su. Così, come accade ai lettori che si sentono in confidenza con gli autori dopo averne condiviso l’immaginario, mi sentii in diritto di chiederle il file word di quel romanzo. Lei fu paziente e me lo inviò. La proibizione, uscito poi nel 2019 per Laurana, è la versione definitiva di quella prima versione che potei leggere in anteprima.
Avere l’occasione di confrontare due versioni di uno stesso romanzo, quella edita e quella inedita, aiuta a capire come la stessa storia possa essere raccontata in modi apparentemente simili, ma profondamente diversi. Mettetevi comodi e cercate di seguirmi.
1. Un kimono verde smeraldo
Poche battute sulla trama di La proibizione: due donne, Leni e zia Eleonora, vivono nella stessa casa e sono legate da un rapporto morboso di reciproca dipendenza. La prima ha un potere misterioso e sovraumano («Posso guarire le persone che amo. Qualunque sia il male, io posso curarlo. Quando guarisco qualcuno, lo perdo»), l’altra ha un potere umanissimo ma terribile: la persuasione. In mezzo, un figlio che imbalsama insetti e un drammatico incidente d’auto.
Confrontiamo i due incipit:
La prima volta che entrai nella stanza avevo dodici anni.
Quella domenica zia Eleonora era uscita subito dopo pranzo. Aveva indossato uno dei suoi vestiti più belli: verde smeraldo, tagliato a kimono, con una fusciacca in vita. I sandali rossi col tacco.
(Valentina Durante, Afrodia, 2016)La prima volta che entrai nella stanza avevo dodici anni.
Quella domenica zia Eleonora era uscita subito dopo pranzo. Aveva indossato uno dei suoi vestiti più belli: un Nina Ricci verde smeraldo, tagliato a kimono, con la fusciacca in vita. Lucido, di seta croccante, come una foglia giovane e nervosa.
(Valentina Durante, La proibizione, 2019)
Notiamo subito questa cosa: i primi tre periodi sono quasi identici, persino nella punteggiatura. L’aggancio narrativo è la ‘stanza’, l’elemento misterioso messo a tavola come un piatto succulento coperto dalla cloche. C’è una sola piccolissima aggiunta che però non passa inosservata: il vestito «verde smeraldo, tagliato a kimono, con una fusciacca in vita» in La proibizione è un Nina Ricci. Perché puntualizzare, mi sono chiesto subito. Ci dev’essere qualcosa in questo passaggio, ha l’aria di essere una correzione, non una semplice aggiunta. Ed è proprio qui, infatti, che ho trovato il senso della differenza tra i due romanzi. Ma andiamo avanti, ci torneremo tra poco.
Dal periodo successivo i due incipit cominciano a variare sensibilmente, pur condividendo le stesse immagini. In A. (Afrodia) zia Eleonora indossa sandali rossi col tacco, oltre al kimono verde smeraldo. Cosa stiamo leggendo esattamente? Durante ci permette di visualizzare cromaticamente il tipo umano zia Eleonora: verde e rosso, kimono e sandalo, pochi dettagli definiti per inquadrare lo spirito esibizionista e seducente del personaggio. In L.P. (La proibizione), invece, il centro del palco se lo prende il vestito: l’oggetto-Nina-Ricci nel periodo successivo diventa l’unico elemento disponibile verso cui orientare l’interpretazione. La chiusura sulla similitudine con la foglia giovane e nervosa sposta definitivamente il personaggio in secondo piano.
2. Zia Eleonora rientra a casa
I due incipit continuano:
Sarebbe rientrata poco prima di cena, aveva detto. Era un pomeriggio di luglio: opaco, afoso, immobile. L’anno, il 1987. Non le avevo fatto né mi ero fatta domande: non avevo ancora l’età per questo.
(Afrodia, 2016)“Sarò a casa verso le otto”, aveva detto. Sapevo di non dover fare domande.
(La proibizione, 2019)
“Sarò a casa verso le otto”, dice zia Eleonora in L.P.; «Sarebbe rientrata poco prima di cena, aveva detto» racconta la narratrice in A. (Afrodia, oltre a essere il titolo del romanzo, è anche il nome della narratrice, modificato in Leni in fase di editing). Il fatto è lo stesso, ma la sostanza narrativa cambia notevolmente. Questa variazione è la logica conseguenza del diverso modo in cui è stato introdotto il personaggio ed è anche il segno del grande studio tecnico che c’è dietro alle due stesure. Nel secondo incipit Durante ha bisogno di far parlare zia Eleonora per cominciare a darle colore. Nel primo no, i suoi vestiti hanno già detto abbastanza. È un aspetto fondamentale perché condiziona lo stile dei due romanzi.
Prendiamo A., per esempio, tutto A. Ci troviamo molto più discorso indiretto, tecnicamente c’è meno mimèsi del parlato e più diegèsi, più racconto. Il narratore si prende più spazio per distribuire coordinate spaziali e temporali e il bisogno di accompagnare la storia “diegeticamente” arricchisce la sua psicologia, lo rende personaggio. I due incipit ce lo mostrano perfettamente: “Sarebbe rientrata” (A.) è diverso da “Sarò a casa” (L.P.) perché nel primo caso il condizionale gestisce il livello di incertezza, conferisce una quota di possibile inattendibilità che umanizza il narratore. Sono caratteristiche che restano costanti lungo i due romanzi. È come se in L.P. lo spazio dedicato alla descrizione degli oggetti togliesse fiato alla voce narrante e i personaggi venissero fuori soltanto attraverso veloci scambi di battute, pezzi di teatro.
Conseguenza: Afrodia ha una voce estremamente connotata, Leni no. A. è un romanzo psicologico, di immedesimazione, introspettivo; L.P. è un romanzo fortemente straniante, disorientante, spesso difficile da mandare giù.
3. Sulla strada di catrame
I due incipit si chiudono così:
La pendola del salotto aveva battuto le due. Mi annoiavo. Faceva troppo caldo per giocare in giardino: il sole cuoceva il lastricato del vialetto e dalla strada, al di là del cancello, si levava un odore secco e pungente di catrame.
(Afrodia, 2016)Si era nel pieno di un luglio afoso e certi pomeriggi ci lasciavano sfinite. Faceva troppo caldo per giocare all’aperto, soprattutto da quando avevano asfaltato la strada nuova. Il sole eccitava il catrame ancora molle, sollevando un odore secco, acuto, che raschiava gola e narici.
(La proibizione, 2019)
Al secondo periodo mi fermo e prendo appunti. Afrodia dice: «Mi annoiavo». Una battuta del genere – estemporanea, di ritmo, connotativa – sarebbe impensabile sulla bocca di Leni. A. ne è pieno, è un romanzo “sporco”, nel senso che le altalene emotive contraddicono spesso la rappresentazione delle vicende.
Più avanti c’è un’immagine chiarissima, gestita in due modi diversi: la strada di catrame. Nel primo incipit la descrizione della strada è inserita per motivare una scelta e lo stato d’animo di un personaggio. Nel secondo incipit no. Il catrame «raschia la gola», certo, ma la digressione sulla strada nuova non è al servizio della costruzione di un personaggio. È un segmento autonomo, introduce un oggetto che è davanti a noi in tutta la sua consistenza e unicità, non è gregario.
A questo punto possiamo dirlo: la differenza più grande tra le due stesure riguarda il valore simbolico e la funzione narrativa degli oggetti, il loro spostamento dallo sfondo al primo piano.
Due interpretazioni: intentio operis e intentio auctoris
Finito il close reading, cerco di spiegarmi meglio.
Umberto Eco, nel saggio Lector in fabula, intitola un paragrafo Condizioni elementari di una sequenza narrativa e dice una cosa che può aiutarci a venire a capo di questa lettura. Esistono pochi elementi davvero imprescindibili al funzionamento di una scena narrativa: un agente, un’intenzione, uno stato e un mutamento. Posta la loro presenza come condizione necessaria, è importante evitare le informazioni superflue.
Nel caso di La proibizione mi sono chiesto: un kimono «Nina Ricci» è un’informazione superflua? Risposta: no, perché Nina Ricci è il nome proprio di un oggetto comune. Per Durante non ci sono fiori ma ‘Chapeau de Napoleòn’, non farfalle ma ‘macaoni’, non contenitori generici ma contenitori ‘Ordinett’. L’aggiunta di un nome proprio al kimono verde smeraldo nel passaggio da A. a L.P. è una dichiarazione di poetica: “spingerò sulla connotazione degli oggetti, ma svuoterò i personaggi”. Questo è quello che è accaduto nel corso di tre anni di correzioni e di editing. Questo è quello che comunica La proibizione oggi: la neutralizzazione della voce del narratore, la sottrazione degli elementi didascalici nei dialoghi («pensò», «disse», «valutò») ha creato un mondo in cui il lettore è portato a misurarsi con gli oggetti tanto quanto o forse più che con i personaggi. Solo in questo modo possiamo sentire fino in fondo il livello di ossessione delle pratiche che ci sono nel libro. Gli oggetti in questa storia sono vessati, tramortiti, perseguitati: si passa dalla pulizia ossessiva di scarponi da sci alla cura maniacale nella conservazione di insetti imbalsamati, dallo stritolamento di uova fresche e sporche all’assillo per una culla conservata in cantina. Il focus sull’oggetto è il sintomo di un mondo senza relazioni umane.
Concludo: Valentina Durante ha sentito chiaramente questo passaggio, ha trovato il modo per costruire il romanzo che sentiva di dover scrivere. Ha spiegato tutto limpidamente in una lunghissima intervista pubblicata qualche mese fa su Vibrisse:
La cosa più importante […] sono gli oggetti che permettono l’invenzione e l’improvvisazione. Così ho fatto io: a ogni scena cercavo di costruirmi un contesto e qualcosa da descrivere. La consapevolezza di saper descrivere mi dava la sicurezza di poter scrivere e infatti l’immaginazione ha iniziato a fluire.
Con assoluta sicurezza oggi dico che la prima stesura del mio romanzo era ingenua e imperfetta. Ma con altrettanta sicurezza dico di essermi sentita molto felice mentre la facevo e di non essermi mai più sentita così felice alle prese con nessun altro mio testo. […] Sono diventata più capace nell’esecuzione, ma più incapace nel sentire l’esecuzione, o nel giungere a una felicità.
Il livello di autoanalisi dimostra una consapevolezza della propria scrittura fuori dal comune. Difficile, però, che un lettore condivida il giudizio di un autore rispetto alla sua opera. Afrodia non è un romanzo ingenuo e imperfetto. È un romanzo diverso, con una voce diversa, con gli stessi personaggi sviluppati a un diverso livello di immaginazione. La proibizione è il frutto di un cambio di impostazione e di illuminazione sugli elementi di una storia già molto strutturata a livello di immaginario. Per tutti questi motivi, il confronto tra edito e inedito è un modo semplice e operativo per mostrare la plasticità dei personaggi e dei rapporti e, più genericamente, la dipendenza del contenuto dalle strutture formali.
Pensa che preferisco di gran lunga la versione originale. Trovo la versione editata molto artificiosa e pesante. Mi fossi trovata in libreria a scorrere le pagine prima dell’acquisto, leggendo la prima versione sarei stata attratta, leggendo invece l’eccitazione del catrame e la seta croccante come una foglia nervosa, avrei richiuso al volo e sarei passata oltre. Chissà…
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Ciao Mara grazie per il commento. Capisco il tuo punto di vista, attenzione però a valutare un romanzo da pochi stralci. Io mi sono servito dei punti in cui la differenza si marcava in modo palese e rappresentativo. Da parte mia preferisco Afrodia per il tono complessivo, La proibizione per lo sgomento che ti lascia. Sono due romanzi scritti con “intenzioni” diverse e che, nonostante la storia sia di fatto la stessa, suscitano reazioni anche opposte.
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Ciao Mara grazie per il commento. Capisco il tuo punto di vista, attenzione però a valutare un romanzo da pochi stralci. Io mi sono servito dei punti in cui la differenza si marcava in modo palese e rappresentativo. Da parte mia preferisco Afrodia per il tono complessivo, La proibizione per lo sgomento che ti lascia. Sono due romanzi scritti con “intenzioni” diverse e che, nonostante la storia sia di fatto la stessa, suscitano reazioni anche opposte
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