La verità, vi prego – “Domenica di resurrezione “

Ecco il racconto “Domenica di resurrezione” di Antonio Pecoraro che ha partecipato alla rubrica la verità, vi prego.
Per leggere la mia lettera di valutazione clicca qui.

Domenica di Pasqua. Resurrezione del Signore.
Primo pomeriggio afoso di un giorno di sole cocente, agnelli divorati e dolci con grano cotto. Un borgo agricolo e rurale di un sud fin troppo dimenticato dai palazzi del potere. Una chiesa, una scuola, bar ancora chiusi per orari festivi, piazza semideserta. Qualche cane randagio a far compagnia alle prime cicale con le ugole fresche di stagione. C’è qualcuno che rompe il muro del silenzio sotto gli occhi distratti del sole. Forse riposava pure lui, accoccolato sul divano del cielo. Armando grida parole rubate alla sua nuova lingua, ma le ruba anche alla sua lingua -madre con quel poco di memoria che gli è rimasta. Parole biascicate tra l’aria calda del basolato e l’aria frastornata dell’unico cane randagio come spettatore, Barone, che fino a qualche istante prima si godeva la siesta sotto un maestoso pino: “ Llà sciaallà! Ratémè nà béirra!! À Maronna cà nù va’ appìccia! “.
Armando è già ubriaco dal tardo mattino, vuole altra birra per la sua gola arsa. Oggi il pranzo era speciale: ha mangiato l’agnello come piace a lui; oggi è stato invitato a pranzo da Armando, un Italiano con la pelle scura più vecchio di lui, che gli è tanto amico e compagno di sbronze e tanto gli somiglia non soltanto per la pigmentazione. Sinforosa, la moglie di Armando l’Italiano, ha cucinato l’agnello con le patate, il tutto rosolato al forno e innaffiato con un vino rosso degli Alburni che è il fiore all’occhiello della produzione dell’Armando Taliano. Prima dell’agnello si sono fatti un piatto di maccaruni spezzati col sugo di castrato. La carne ovina: sapori e odori che Armando riconosce. Armando è un montagnaro, fin da piccolo pascolava il gregge: proviene dall’Atlante Sahariano del Marocco, dal suo villaggio sull’altopiano guarda il monte Chelia che è alto più di 2000 metri, perciò nella Piana non sopporta il caldo afoso delle serre. Sembra un paradosso: un africano che non sopporta il caldo del meridione Italiano. “Qui è più Africa del nostro Marocco” diceva ai compagni nelle pause del lavoro, asciugandosi il sudore col berretto a visiera che lo proteggeva dai raggi solari.
Armando è il nome che gli autoctoni di questa parte del sudditalia gli hanno affibbiato perché lui, in effetti, nel suo paese e sulla carta d’identità ha un altro nome: Ahmad che è quello che sua madre e suo padre avevano scelto per lui. Il nome nei paesi arabi è qualcosa di sacro guai a cambiarselo. Però in una migrazione forzata, volontaria ma sempre indotta dal bisogno di lavoro, può capitare questo ed altro. Sennò passare il mediterraneo su una carretta che fa acqua da tutte le parti uno ci pensa due volte. In Italia trovò subito dei caporali che gli semplificarono il nome: Ahmad? Armando! E poi si sa, c’è una specie di repulsione da parte dei caporali di pronunciare il nome di uno straniero che proviene da un paese più povero del nostro. Perché, poi, gli stessi caporali, agli stranieri della spiaggia, quelli ricchi, non si sogneranno mai di italianizzargli il nome o pronunciarli male. Così Kurt è e rimane Kurt, finanche l’impronunciabile Wolfgang rimane col nome d’origine, semmai viene ritoccato in italico – germanese: Worfgango! Ma questi si sa, sono stranieri ricchi vengono dalla Doiclandia, prima portavano i Marchi adesso portano gli euri con la porta di Brandeburgo sopra.
Nella piana del mais e delle serre invece Mustafa diventa Stefano, Mohamed diventa Mario, Abdul diventa Bruno, Jamal, Giacumino, e così via. Finanche le braccianti e badanti dell’Est non si salvano ed ecco un esercito di donne biondissime con gli occhi verdi che si chiamano tutte Maria, Anna, Angela, Halina-Rina e Greta-Grazielle. Il nome, l’unica certezza di rimanere aggrappati alle proprie radici. In questo cazzo di paese chi si salverà?
Armando è arrivato in Italia circa 15 anni fa e si stabilì subito nella piana delle zolle da zappare. Nella piana dei lunghi tramonti c’era lavoro di braccia, Armando era faticatore e ubbidiente al padrone, non si risparmiava a spillare sudore dall’epidermide della fronte. Risultò subito simpatico ai contadini autoctoni, dopo pochi mesi era uno di loro, tanto da accettarlo al bar per il tressette e la birra nel padrone e’ sotto.
In questo dopo pranzo di Pasqua i fumi dell’alcool andarono in testa, gli umori erano diventati turbolenti. I due Armandi tra un bicchiere e l’altro iniziarono ad appiccicarsi dapprima con le parole grosse e poi con gli spintoni, erano amici, ma si sa, l’amicizia con l’alcool fa a botte pure lei spesso e volentieri. “Tu sì nù marrucchino e nù parlà”, non devi parlare, sosteneva l’Armantaliano; “io nun so fesso” rispondeva il maghrebino. Una lite senza ragione e alquanto sterile. Nessuno dei due cedeva agli insulti e tornava alla ragione tra un bicchierino di Stock 84 e una pisciata fuori all’aria aperta. Sinforosa si stancò di sentirli e cacciò fuori tutti e due in malo modo affinché finissero di attizzarsi come due pupi nell’ Orlan… Armando Furioso.
Armando nella piazza è un misto di tristezza e felicità, l’alcool gli fa un effetto ping pong, un po’ triste e arrabbiato e un poco disteso e felice. Ma è una felicità alquanto artificiosa, indotta dalla gradazione alcolica. Non può passarci comunque di avere avuto una brutta discussione con il suo migliore amico proprio nel giorno dell’invito a pranzo per la festività.
Nel frattempo passa Anna (Halina) in bicicletta; Armando non l’ha mai dimenticata, un altro cazzotto in questo pomeriggio che doveva essere di festa. (Halina) Anna è Ucraina, quando lo vede ubriaco gli lancia degli sguardi di disprezzo. Lei i suoi ubriaconi li ha lasciati alle porte della lontana Poltava da un bel po’ e non ha intenzione di incontrarne più. Halina ebbe il cambio del nome alla stazione di Napoli: “come ti chiami?” gli chiese l’autista dell’autobus che la doveva portare alla piana delle serre e dei tramonti, “Halina” rispose lei, con un quarto di sorriso attorno agli occhi verdi, “Ah! Gallina! Aggià capìto!” passandogli la mano a strusciargli il sedere. La vecchietta dove prese servizio di badanza gli suggerì subito il nome di Anna:
“S. Anna è la mamma di Maria Vergine… la nonna di Gesù…” sussurrando a basso respiro, confermandogli la buona scelta e l’inattaccabilità del nome con l’aria del Battista battezzante.
Anche Halina ebbe così il suo scambio di identità. Ma in questo cazzo di paese chi si salverà?
Halina e Armando si erano conosciuti anni prima a un corso di lingua Italiana per stranieri organizzato dalla Parrocchia. A fine anno alla festa organizzata per fine corso si mangiava e si beveva, era la festa di tutti, cristiani, musulmani, induisti, ortodossi e di chi credeva che la religione dovesse essere solo una cosa intima e non rivelarla a nessuno, nemmeno al sacerdote di un paese che ti accoglie. Halina era da poco arrivata in Italia si sentiva spaesata in mezzo a tutta quella gente; Armando era gentile e dolce con lei, gli offriva da bere come un cavaliere alla sua dama, in qualunque caso mai si sognava… Così Halina gli regalò dieci minuti di amore rubato dietro alla canonica in penombra. Due solitudini che in quel momento si cercavano, anime liquide con colori diversi che mischiavano il loro sangue e il loro passaporto in terra neutra. Armando per la prima volta – ed unica – vide una bionda senza mutandine e gli sembrò, nonostante la semioscurità, di stare in paradiso: “L’Italia è il giardino di Allah” gridò in arabo ai suoi compagni appena tornato a casa… (alla baracca). I giorni seguenti Halina capì che se avesse regalato quei momenti d’amore, rubati e nascosti, agli Italiani, avrebbe avuto un futuro migliore. Ad Armando gli si spaccò il cuore a spicchi come un mandarino e rimase come un fesso macerandosi nella rabbia. “Femmene furastiere nun sono buone” disse all’Armando Italiano suo migliore amico e confidente.
Oggi è Pasqua ma Armando non ha l’uovo di cioccolato regalatogli da qualche familiare, amico, parente, ha soltanto il cane della piazza, il cane randagio che i paesani lo chiamano Barone per il suo andamento regale che aveva da giovane. Ma adesso gli anni sono passati pure per lui e non sopporta tanto gli allucchi tristi e disperati del suo amico – padrone.
Armando non ha l’uovo di Pasqua, ha il cane di Pasqua e si accontenta di quello, accarezzandolo affettuosamente e gridando verso di lui parole sconnesse. Barone alza le zampe scodinzolando vorticosamente la coda e lo segue passo passo.
È notte oramai, nella baracca fatiscente Armando vomita ripetutamente nella latrina che qualcuno ha scritto cesso in lingua araba sulla porta. Dal caseggiato affianco, Santino il figlio di Concetta, vedova da molti anni, sente la musica ad alto volume e cerca di eseguirla su una chitarra semiscordata: la musica è quella degli Iron Maiden… Dance of death… Santino fa l’apprendista fontanaro perché – dicono sua madre e suo zio – si guadagna bene, ma la sua passione è la musica, in particolare la musica tosta come l’acciaio inossidabile: l’heavy metal.
“Giuro è l’ultima béirra poi me ne vàco a cuccare” l’ultimo sorso… a scolare il culo della bottiglia… un rutto lungo insieme a un passo barcollante che sembra una danza macabra e infernale. Armando sbatte a terra come una piroccola, un bastone in verticale.
Coma etilico.
Dalla finestra l’assolo di chitarra di Dance of death stava per terminare… le luci si spensero… e la musica pure.
Tre settimane al S. Maria della Speranza il nosocomio più vicino. Quattro settimane dopo Armando zappava i pomodori sotto la serra del suo padrone. Barone lo seguiva passo passo pisciando di tanto in tanto sui paletti di legno che reggono le pummarole rosse e toste come le rose nel giardino del Re.
È mezzogiorno, Armando si siede su uno scranno retto da due fusti vuoti per il diesel, caccia la marenna con melenzane e patate da una busta di plastica, (ma a volte la merenda è con la mortadella – si è religiosi osservanti quando la vita ti sorride, sei al tuo paese, hai i soldi, sei fresco ed hai il tempo di pregare in Moschea; e poi si può essere laici, o non osservanti, anche se sei nato in Marocco ) stappa la sua Peroni con un gioco di denti e mascella, si gira verso Barone adagiato ai suoi piedi:
“Ne vuò nu poco? “.

1 commento

  1. Pingback: La verità, vi prego: “Domenica di resurrezione” di Antonio Pecoraro | I libri degli altri

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...