Ecco il racconto “Incontri nº2” di Rosalba Scavia che ha partecipato alla rubrica la verità, vi prego.
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Incontri nº2
L’aveva detto tante e tante volte che la gente ormai non credeva più alle sue minacce. “Eppure un giorno o l’altro la faccio finita, vedrete” diceva seria, poi subito dopo sbottava in una risata fragorosa “ ma dai, non sono mica matta” E invece matta lo era davvero. Quando si recava regolarmente agli incontri con lo psichiatra della ASL e assumeva i farmaci prescritti, le cose andavano abbastanza bene. Si prendeva cura di sé , della casa , andava a fare la spesa , cucinava e andava ai colloqui con gli assistenti sociali per incontrare i figli, Luca di 4 anni e Lucia di 6anni affidati ai nonni paterni ( lei era orfana, non aveva più nessuno). Ma succedeva a volte che per settimane non andasse dallo psichiatra e non prendesse le medicine e allora erano guai per lei e per i suoi vicini di casa. Beveva a tutto spiano, la trovavi riversa sulle scale sporca del suo stesso vomito e non potevi svegliarla o aiutarla perché ti minacciava, ti prendeva a male parole e succedeva anche che ti aggredisse con qualsiasi oggetto le capitasse sottomano. Io abitavo da poco in quel condominio e non sapevo niente di lei. Una sera, rientrando dalla mia corsa serale , l’avevo vista in fondo alle scale, proprio vicino alla porta dell’ascensore. Credendo stesse male le avevo chiesto se potevo aiutarla e lei mi aveva violentemente mandato a quel paese e tirato una scarpa con il tacco così appuntito che mi avrebbe accecato se non fossi stato abbastanza svelto da schivarla. Nel frattempo era arrivata un’autoambulanza, evidentemente chiamata dagli altri condomini, gli infermieri l’avevano immobilizzata sulla barella con grande fatica loro e urla e contorcimenti della donna.
Ecco, la serenità conquistata con la corsetta serale se ne era andata, cancellata da quella scena di coercizione violenta seppur necessaria. “Davvero necessaria? “ mi domandavo. No, secondo me no. Si poteva fare altrimenti. Sono figlio di una psichiatra-psicoanalista e mia madre dice sempre che le persone, anche gli infermieri, quando reagiscono con violenza alla pazzia , è perché ne hanno paura. E non è solo la paura di non poter controllare i comportamenti folli altrui, ma soprattutto la paura della propria follia, quella che ciascuno di noi si porta dentro senza esserne pienamente consapevole. La mia corsetta serale aveva lo scopo di aiutarmi a scaricare tutte le tensioni , e qualche volta addirittura i pensieri omicidi, prima di tornarmene a casa o condividere la mia vita con gli altri. Spesso la tensione che accumulavo durante la giornata era tale che dovevo prolungare la corsa ben oltre l’ora prevista . Per fortuna non avevo figli , quindi nessuna responsabilità per la loro salute mentale. Avevo una ex moglie, dalla quale avevo divorziato l’ anno prima e per il momento nessuna velleità di rapporti sentimentali coinvolgenti. Ero sulla soglia dei 40anni e forse dovevo capire ancora cosa fare da grande. Certo è penoso che a 40anni non si sappia cosa fare della propria vita, però questa era la mia realtà quando mi imbattei nella donna in fondo alle scale vicino alla porta dell’ascensore.
Mia madre mi chiama sempre quando sono sotto la doccia e mi sto rilassando accompagnato dalla voce roca di Fabrizio De Andrè . Vorrei non rispondere ma il trillo insistente del telefono mi disturba e mi costringe ad uscire dalla doccia e andare a rispondere. Il bello è che ogni volta mi riprometto di staccare il telefono, poi me ne scordo ( evidentemente o non sono abbastanza stressato o non mi voglio perdere niente, neppure una chiamata anche quando sono sotto la doccia.)
“ Ciao, ascolta, devo approfittare di questo momento che tuo padre è sceso a comprarsi le sigarette. Abbiamo ritirato oggi i risultati dell’analisi istologica e purtroppo i risultati sono negativi: tuo padre ha un tumore al polmone sinistro in stato avanzato, inoperabile. Ecco sta ritornando, vediamoci domani se puoi, vieni a studio, Ciao”
Sono in piedi vicino al ripiano del lavandino gocciolante di acqua, fermo, immobile, poso lentamente il cordless e rimango così, come inebetito. Mio padre ha soltanto 65anni, e non li dimostra, è bello, sportivo, gioca ancora a tennis, va a cavallo, scia, come è possibile che abbia un tumore? Colpa delle sigarette? Guardo il mio pacchetto di malboro sul ripiano e automaticamente me ne accendo una.
Ironia della sorte: un tumore al polmone, lui che è un pneumologo! Lo so che è un’osservazione stupida, come se i pneumologi fossero immuni dai tumori ai polmoni , però lui se ne accorgerà, le analisi le sa leggere anche meglio di mia madre, è il suo campo. Perché mia madre si comporta come se potesse nascondergli la verità? Mi sento male, ho un groppo allo stomaco, mi alzo e mi stendo sul letto avvolto nell’accappatoio, ma non riesco a restare sdraiato, mi accartoccio sul fianco in posa fetale e rimango così immobile, impotente di fronte a questa notizia .
Mio padre se ne è andato nel giro di un mese perfettamente lucido e consapevole fino alla fine. Mia madre è disperata e non riesce ad accettare la realtà. Ha sospeso il lavoro ed ha affidato ad un collega quei pazienti che non potevano rimanere senza assistenza, agli altri ha offerto la possibilità di scelta: aspettare che lei sia di nuovo pronta a riprendere il lavoro oppure affidarsi al suo collega. Secondo me avrebbe fatto bene a continuare la sua routine lavorativa, ma lei dice che deve elaborare il lutto della perdita di una parte di sé: perché questo era mio padre, una parte di lei. Io mi sono sentito sempre escluso dalla loro coppia e anche mia sorella, che è nata 2 anni dopo di me. I nonni si sono curati di noi , facevano a gara nel farci regali e dedicarci tutto il loro tempo, papà e mamma erano molto occupati con il lavoro e con se stessi. Erano innamoratissimi e lo sono stati fino all’ultimo respiro di mio padre. Forse ho divorziato quando mi sono reso conto che l’amore fra me e Marisa non era niente in confronto all’intensità dell’amore di mio padre e mia madre.
Tornavo dalla mia corsa serale quando l’ho incontrata di nuovo: stava uscendo dal portone ed era sobria. Ha tenuto il battente aperto perché potessi entrare, poi se ne è andata. Non so perché ci sono rimasto male, avrei voluto scambiare qualche parola, un sorriso, invece niente, se ne è andata tranquilla e indifferente. Non ero riuscito neppure a vedere come era vestita, mi era sembrata in ordine, non particolarmente elegante, anzi , direi abbastanza sotto tono, mi era rimasta negli occhi un’impressione di grigio : si adesso mi ricordo, era vestita di grigio con un’unica nota di colore, il rosso ramato dei capelli raccolti sulla nuca.
Nell’androne del palazzo incontro la portinaia che sta finendo di lavare le scale “ le lavo di sera così riescono ad asciugare prima che la gente ci passi sopra…..e renda inutile il mio lavoro……sa, la sera c’è meno gente.” Concordo con lei e decido di prendere l’ascensore per non sporcare le scale che lei ha appena lavato. Mentre aspetto l’ascensore la portinaia commenta “ L’ha vista.. è tutta un’altra persona quando non beve. “ “Già” concordo io e non aggiungo altro sia perché non mi va di darle corda con i pettegolezzi, sia perché nel frattempo la cabina è arrivata ed io ho fretta di andarmene a casa e mettermi sotto la doccia , dopo la mia corsa.
Per qualche settimana non ho più pensato alla mia coinquilina perché ho dovuto preparare e presentare la relazione sul paziente che avevo in supervisione. Alla fine avevo deciso di seguire il percorso di mia madre e dopo la laurea in medicina e la specializzazione in psichiatria avevo optato per la psicoanalisi e avevo iniziato il training. Nel mio passato c’era già un’analisi durata sei anni, intrapresa su consiglio di mia madre, che diceva che fra una madre psicoanalista e un padre pneumologo era bene che mi procurassi qualche strumento in più per sopravvivere. Indubbiamente ci ha visto bene, perché ora pur con tutti i guai, problemi e delusioni riesco comunque a capire qualcosa di me e a gestirmi al meglio., almeno così credo. Anche con i miei pazienti mi sembra di fare un buon lavoro.
Vicino casa c’è un mercatino con i cosiddetti prodotti a kilometro zero : i contadini vendono direttamente i loro prodotti, perciò puoi trovare frutta e verdura fresca di stagione. Stavo comprando broccoli romaneschi, mi piacciono moltissimo lessati e ripassati in padella con l’aglio , quando vedo la mia coinquilina che si avvicina al banco dove io stavo scegliendo la frutta e parlando con il contadino. “ Che diamo a questa bella signora “ interviene la moglie del contadino rivolta alla mia coinquilina. “ Non so cosa prendere , vorrei le fragole , ma adesso non è stagione…” Ha una bella voce, un po’ roca, senza un accento particolare che ne indichi la provenienza. Ho voglia di attaccare discorso, non so come fare, poi mi viene un’idea. Da ragazzino mi ricordo che andavo pazzo per more , lamponi, mirtilli e allora intervengo “ Non le piacciono le more , i mirtilli, i lamponi…?…” “ Ecco.. – dice la contadina- qui c’è tutto quello che vuole , li ho raccolti io stamattina “ “grazie del suggerimento” mi dice con un mezzo sorriso la mia coinquilina. “Abitiamo nello stesso palazzo, io sono Silvio Simonelli “- mi presento e aspetto di sentire il suo nome, che tarda ad arrivare, poi con la voce un po’ reticente dice “ Maresa Moro”. Aspetto che anche lei concluda la sua spesa poi mi affianco e, anche a costo di essere invadente, le dico “Abito qui da poco e non conosco il quartiere, lei come si trova qui ?” E’ una frase banale, me ne vergogno, ma non so cosa dire per continuare a parlare con lei. Lei indugia prima di rispondere, atteggiamento che imparerò a conoscere come una sua caratteristica. “Io ci abito da molto, ma non conosco nessuno.” Poi con un sospiro, come se dovesse togliersi un peso dallo stomaco, in fretta dice, guardandomi negli occhi “ Sono in cura all’Ufficio di igiene mentale della ASL, ho dei problemi”. Non mi sorprende il contenuto di ciò che dice ma il fatto che lo dica. Sembra una sfida la sua. Non me l’aspettavo, sono stato colto di sorpresa. Il tono leggermente ironico della sua voce mi sorprende di nuovo : ” Ha ancora voglia di parlare con me o è troppo sconvolto ?” “Non sono sconvolto, ma sorpreso che me l’abbia detto” ribatto un po’ piccato “lo avrebbe saputo comunque , lo sanno tutti nel palazzo che ogni tanto do fuori da matto……. Beh grazie, “ E prosegue oltre , lasciandomi lì ,rigido come un baccalà , davanti al portone . La guardo allontanarsi e mi sento un po’ stupido.
E’ stata una giornata di lavoro dura , ma proficua, sono abbastanza soddisfatto e chiudendo la porta dello studio mi avvio verso la macchina pregustandomi la mia corsetta serale. Questa sera sul percorso siamo in tanti a goderci la piacevole frescura delle serate di fine agosto. Quando mi fermo a fare stretching accanto a me si ferma anche una ragazza bionda alta, ansante. Sono concentrato sui miei esercizi di stretching e non la noto subito. E’ lei che mi rivolge la parola per prima “Che fatica, io odio correre” “ perché corri allora?” “ perché altrimenti ingrasso, mi appesantisco… la dieta non basta” “una vita un po’ triste fra fare cose che non ti piacciono e rinunciare a quelle che ti piacciono” dico ironico. “La situazione non è così drammatica” dice ridendo ” perché quando proprio non ne ho voglia, non corro e quando mi va di mangiarmi un piatto di spaghetti alle vongole, me lo mangio e al diavolo la dieta. Ciao, buon proseguimento” E si avvia camminando veloce verso l’uscita del parco. Riprendo a correre respirando ritmicamente nell’aria fresca della sera.
Peccato che qui non mi sia ancora organizzato come a Londra e per avere il giornale devo andare a comprarlo dal giornalaio. E’ domenica mattina e mi sarebbe tanto piaciuto che qualcuno mi portasse giornale e colazione a letto, invece eccomi qui per la strada per andare all’edicola . La vedo da lontano , è lei la mia coinquilina, Maresa Moro. “Buon giorno” le dico avvicinandomi “ piuttosto mattiniera “ “Si, incontro i miei bambini oggi e gli porto giornaletti e figurine dei calciatori, loro stanno facendo la collezione”. Appare molto più giovane delle altre volte, e vedo che è proprio bella con i capelli rosso rame legati sulla nuca, la pelle leggermente ambrata. Indossa un paio di jeans grigi e una tshirt grigia anch’essa. Il grigio deve essere il suo colore preferito, ne deduco. A me il grigio non piace per niente, è un colore triste, però devo dire che a lei sta bene. Quanto è alta! Le altre volte che l’ho incontrata non mi era sembrata così alta. Io sono 1,80 e lei è alta quasi quanto me. “Lei ha dei figli?” domando sbalordito ,” Si due, uno di 4anni e una di 6”. Devo andare , non voglio arrivare in ritardo “ e scappa via con giornaletti e bustine di figurine, lasciandomi esterrefatto davanti all’edicola. “E’ bella eh” commenta il giornalaio “ ma tanto sfortunata. Oggi però sta bene, speriamo che continui così”. Questa volta la curiosità è più forte della reticenza ad ascoltare i pettegolezzi , perciò approfitto della disponibilità del giornalaio . “Perché sfortunata?” domando. “Ah, non lo sa….abita qui da poco lei?” “Eh, si “ “Sfortunata perché il marito l’ha lasciata sola con due bambini piccoli…..Lui non è cattivo, ma non ce la faceva più, andava a riprenderla una sera si, una sera no, nei bar o in strada……si sono sposati troppo giovani…. Sembra che lei venga da una buona famiglia, molto ricca, ma è rimasta orfana quando era una ragazzina, e poi appena maggiorenne ha buttato i suoi soldi in feste, alcool e droga. Il marito ha fatto quello che poteva , poi non ce l’ha fatta più e se ne è andato. Le hanno tolto i figli e li hanno affidati alla madre di lui e lei li può vedere una volta alla settimana , ma sempre alla presenza delle assistenti sociali, perché una volta ha preso a male parole e ha messo le mani addosso anche alla suocera……adesso però sembra che stia meglio…chissà….eh se ne sentono di storie con il mio mestiere…..Lei di che cosa si occupa?” La domanda mi coglie di sorpresa e li per li vorrei dire una cosa qualunque, ma non ce la faccio e dico la verità, aspettandomi i soliti commenti idioti. Invece, e segno un punto a vantaggio del mio interlocutore, il giornalaio mi dice :” E’ un lavoro pesante avere a che fare con chi sta male di testa”. “ Già” dico io e , andandomene ,lo saluto quasi con affetto.
A Roma in questi giorni si tiene un convegno su “ Psicoanalisi e Psicoterapie” : si diranno le solite cose, ci saranno le solite polemiche e ognuno rimarrà delle propria idea o forse no, chissà. A volte qualcuno rinsavisce ed è disposto anche a d ascoltare gli altri oltre che a parlare. Ho deciso che ci andrò . Magari non parteciperò a tutte le giornate.
Ho fatto bene a venire, il convegno si è rivelato più interessante del previsto. Sono riuscito anche a convincere mia madre a partecipare per farle riprendere a poco a poco la sua routine lavorativa. Capisco che non sarà facile, mio padre era tutto per lei, però, come si dice, molto banalmente, la vita continua e anche lei dovrà farsene una ragione. La depressione di mia madre mi angoscia e vorrei che ne uscisse il più presto possibile. Mi rendo conto di essere infantile, ma mi sento impotente di fronte a tanto dolore. Mi attraversa la mente il pensiero di Maresa Moro : deve essere stato tremendo per una ragazzina rimanere orfana, sola al mondo. E quel vuoto infinito nessuno ha potuto colmarlo, neppure i suoi figli. Di fronte a questi vuoti noi psicoanalisti che possiamo fare? Nulla, mi rispondo. Mi guardo intorno, vedo capannelli di colleghi che discutono, parlano, ridono, e mi viene in mente che forse non ho fatto la scelta giusta, forse non sono abbastanza equilibrato per questo lavoro. Ci sono colleghi che alla domanda “ lei che lavoro fa? “ rispondono “ Io sono psicoanalista “ altri “ Io faccio lo psicoanalista” C’è una differenza enorme fra le due risposte. Mia madre darebbe sicuramente e con convinzione la prima risposta e io? Io, ho paura a dirlo a me stesso, ma credo che opterei per la seconda.
Una voce squillante e allegra interrompe il flusso dei miei pensieri. Giro la testa e la vedo ,lei, la ragazza che fa quello che non le piace fare, correre e stare a dieta. E che ci fa qui? Mi sembra troppo giovane per essere una collega, forse è un’allieva……
” Ehi, sembra che tu abbia visto un fantasma, non avrei mai immaginato di farti questo effetto”
Sto facendo la figura dello stupido o dell’imbranato, che è lo stesso. Il tono della mia voce mi risuona più irritato di quanto vorrei:
“ Sono solo stupito di incontrarti qui . “
“ Beh oltre a correre lavoro anche “
“ Sei una collega dunque”
“Dipende che lavoro fai tu”
“ Io faccio lo psicoanalista”( ecco ho detto “ faccio non sono” penso )
“Allora non siamo colleghi, io sono giornalista. Sono qui per il convegno, scrivo per Repubblica.”
“Accidenti, così giovane e già collabori con un giornale così importante. Complimenti” Non so perché continuo a dire banalità. Lei non sembra farci caso e sorridendo mi invita ad andare al buffet. “>Ho già dato uno sguardo, ci sono cose sfiziose….al diavolo la dieta “ Non posso rifiutare, sarei estremamente scortese, perciò malvolentieri la seguo verso il buffet. Effettivamente questa volta hanno fatto le cose in grande : puoi scegliere di fare una lauta colazione all’inglese con uova e bacon, alla norvegese con salcicce, patate, burro, alla francese con i croissants morbidi dentro e croccanti fuori e poi caffè per tutti i gusti, espresso italiano, lungo all’americana, al ginseng per chi vuole una sferzata di energia, caffè d’orzo per i salutisti. Anche mia madre si sta avvicinando e chiede al barman un caffè lungo all’americana. Non si accorge di me e continua a parlare con un collega . La vedo meglio, mi congratulo con me stesso per aver insistito a farla partecipare. Sono talmente assorto nei miei pensieri che non presto attenzione alla voce della giornalista, che mi tocca il gomito dicendo: “ scusa se ti distolgo dai tuoi pensieri, come lo vuoi il caffè ?” “ Acc, sono imperdonabile…. No, niente caffè per me, solo una spremuta di arancia “ Mi guarda un po’ sorpresa, ma non commenta e rivolta al barman:” un espresso e una spremuta di arancia”. Mia madre mi vede e “ Silvio ti presento Carlos De Vida, di Milano o meglio di Buenos Aires, ma trasferito a Milano” poi guarda la giornalista che mi sta porgendo la spremuta con una domanda muta negli occhi. Ho difficoltà a presentargliela , perché solo adesso mi accorgo di non conoscere il suo nome. La giornalista mi toglie dall’imbarazzo presentandosi da sola :” Silvana De Bonis, cronista di Repubblica.” Mi stupisce la sua modestia, si è presentata come –cronista-, non come – giornalista-. La guardo con interesse: mi sembra decisamente meno peggio di come l’avevo considerata all’inizio. Mi era sembrata invadente sia al parco che qui, poco fa. Io non amo le donne che prendono l’iniziativa, che ti abbordano, sono soffocanti . Marisa , la mia ex moglie è un tipo così, e infatti fra noi non è andata bene. Mia madre invece apprezza molto questo tipo di donna, infatti è ancora in ottimi rapporti con Marisa e adesso sta chiacchierando animatamente con la giornalista e il collega sudamericano. Il break sta finendo e dobbiamo ritornare in sala conferenze . Mia madre si accorda con la giornalista e il collega sudamericano e poi prendendomi il braccio si avvia dicendomi : ”andiamo a pranzo con loro , ti va ?”. No, non mi va per niente, ma non posso dirglielo, sembra più serena ed io non voglio irritarla inutilmente. Si tratta solo di un pranzo di lavoro, poi me ne andrò per conto mio.
Gli ultimi interventi della mattinata mi interessano molto , perché trattano dei comportamenti depressivi nella media età ed io ho proprio due pazienti, un uomo e una donna con questa sintomatologia. Ovviamente non mi aspetto nessun rimedio magico, ma soltanto , e in realtà mi sembra molto, l’occasione di condividere con colleghi esperienze, speranze e , perché no, anche le inevitabili frustrazioni che il rapporto con questi pazienti comporta.
Il pranzo invece è piuttosto noioso . io osservo più che partecipare alla conversazione, che invece è tenuta su con gran brio dalla giornalista, della quale ho già scordato il nome e spero di non fare ulteriori gaffes con lei, dal collega argentino e , strano a dirsi, anche da mia madre. Dal brutto periodo seguito alla morte di mio padre non l’avevo vista più ridere come sta facendo ora. Fosse solo per questo mi sento grato a queste due persone sconosciute con le quali sto pranzando. La giornalista è una buona forchetta e mangia con molto gusto un piatto di spaghetti con le vongole, di cui va ghiotta anche mia madre. Il collega argentino ha seguito il mio esempio e ordinato come me una carbonara, che è passabile, ne ho mangiate di migliori, però non voglio fare troppo il rompipalle e dico che è buona. Non è vero che io sia un rompipalle, come dice mia madre, io sono un buongustaio e scelgo accuratamente i ristoranti dove andare , altrimenti preferisco mangiare a casa quello che mi cucino io, che tutto sommato sono un cuoco abbastanza bravo. Ho anche fatto un corso di cucina a Parigi.
Quando ritorniamo al convegno ci separiamo per seguire ognuno il seminario di lavoro scelto. Mia madre agganciata da una collega se ne va lanciandomi un allegro ciao di saluto. La giornalista si allontana parlando animatamente con il collega argentino e soltanto dopo qualche passo si voltano tutti e due per salutarmi. Finalmente solo! Si, però ……. prima non vedevo l’ora che finisse il pranzo e ognuno se ne andasse per conto suo , perché adesso non è più così? Che cosa mi ha disturbato? Beh, quella giornalista, quella ..Silvana, ecco come si chiama, all’improvviso mi viene in mente il suo nome, Silvana De Bonis, prima terribilmente invadente con me e adesso tutta pappa e ciccia con il sudamericano. Ma che mi importa…..andiamo a lavorare…sii serio. E mi incammino verso la saletta dove si tiene il seminario a cui mi sono iscritto.
Quella sera la corsetta serale è durata molto a lungo, ben più della solita ora; ero scocciato, irritato, confuso, scontento, insomma uno di quei momenti in cui non ti sta bene niente e allora cosa c’è di meglio di una corsa prolungata, che , se anche non ti schiarisce le idee, almeno ti stanca e ti aiuta a dormire. Tutto sudato mi avvio verso l’ascensore ed ecco che la porta della cabina si apre e ne esce lei. E’ semplicemente bellissima, ma non è sola, c’è un uomo con lei. Lei, Maresa Moro mi saluta con un sorriso , lui con un cenno del capo. Sembra un mio coetaneo. Certo che è veramente bello, forse è il marito. Entro in casa ancora pensando alla coppia che ho appena incontrato. Se avevi qualche speranza, mi dico, dopo che hai visto il marito puoi abbandonare ogni fantasia : Maresa Moro non è pane per i tuoi denti. Avevo in programma di prepararmi una gustosa cenetta, ma adesso mi è passata la voglia. Continuo a pensare a lei e al marito…..ma sarà davvero il marito? Domani scucirò qualche informazione più precisa al giornalaio. Mi infilo sotto la doccia, il getto caldo dell’acqua mi rilassa, sto quasi per addormentarmi, esco , mi avvolgo nel mio accappatoio bianco, quello acquistato alle terme, di cotone morbidissimo, mi sdraio sul letto , ripromettendomi di rialzarmi per cucinarmi almeno una bistecca, ma piombo , senza accorgermene in un sonno profondo, da cui mi risveglio solo il mattino dopo.
Mi sento bene, fresco e riposato, sono persino allegro. Sono le 7.30, ho tempo di fare con calma la mia colazione, poi di prepararmi e arrivare allo studio più che in tempo per il primo paziente. Fischietto addirittura mentre mi preparo il caffè . Questa mattina due belle uova al bacon non me le toglie nessuno, “semel in anno licet insanire” mi dico compiaciuto per la mia bella idea. Metto anche un cd di Fabrizio De Andrè. Sono proprio contento e mangio con gusto. L’allegria però se ne va come per incanto appena sono davanti allo specchio del bagno per lavarmi i denti. Non so che mi succede : ho un’allucinazione, vedo accanto alla mia faccia quella bellissima del marito di Maresa Moro. Sono allibito, quella faccia mi è rimasta impressa nella mente. Come è possibile? Cosa mi sta succedendo? L’allucinazione scompare, ma io rimango a guardare me stesso nello specchio e mi paragono a lui : è più bello di me? E nonostante mi dia del cretino non posso fare a meno di continuare a confrontarmi con lui . Abbiamo più o meno la stessa età, mi è sembrato, tutti e due alti, capelli scuri ricci , il colore degli occhi forse è diverso, io ho gli occhi grigi, i suoi mi sembra che siano marroni , tutti e due abbiamo il viso scavato e la bocca carnosa. Di me si dice che sono un bell’uomo e certo lui non è da meno. Bene, mi dico, hai finito di fare il cretino? L’adolescenza l’hai lasciata da un bel po’ ……..vai a lavorare va….
Lavoro male. Mi sento in colpa. Non riesco ad ascoltare il paziente , la sua voce mi giunge da lontano mentre è presente, davanti ai miei occhi , il viso di Maresa, i suoi capelli ramati, che nascondono parte del volto di lui , del presunto marito intendo. No, oggi non sono proprio in condizione di lavorare. Non so che cosa mi sta succedendo, ma quello che so di sicuro è che sarebbe disonesto da parte mia continuare a vedere i pazienti oggi. Decido di disdire tutti gli appuntamenti con vari sms. Dopo aver inviato i messaggi mi sento meglio; mi rilasso nello studio vuoto e penso che non devo farmi prendere dall’ansia. Mi devo dare il tempo di capire . Non mi devo imporre niente . Faccio quel che mi viene in mente e poi si vedrà. Forse sto reagendo adesso alla perdita di mio padre , alla depressione di mia madre, al mio divorzio? Non lo so e al momento non sono in grado di darmi nessuna risposta.
Non posso andare a correre adesso, fa ancora troppo caldo, non ho neppure voglia di andare a pranzo, comunque è meglio che esca, camminare mi aiuta a pensare. Senza accorgermene sono arrivato a casa . Prendo una sacca , ci metto dentro ciabatte, costume e accappatoio ed esco. Sul portone mi accorgo di essere ritornato a piedi , perciò adesso devo andare a prendere la macchina lasciata sotto allo studio. Non mi arrabbio neppure con me stesso “ Abbi pazienza- mi dico- per oggi è così, domani si vedrà”.
Sono immerso fino al collo nell’acqua caldissima di una delle vasche della Ficoncella. Le terme di Ficoncella si trovano vicino a Civitavecchia , su una collina gialla , assolata, senza un filo d’erba, solo vicino all’ingresso delle terme incominci a vedere qualche smilzo alberello. Evidentemente l’acqua termale e la sua temperatura, superiore ai 60° gradi, giova alla salute degli umani , ma non alla vegetazione. C’è sempre molta gente, stranieri soprattutto, in genere silenziosi e quindi meno disturbanti dei vocianti italiani che, a prescindere dall’età e dagli acciacchi , inondano l’aria con le loro strillate battutacce sessiste , commenti politici disfattisti e inappellabili verdetti calcistici , ascoltati da mogli o fidanzate accondiscendenti come mammine con i loro piccoli. Io di solito vado nella vasca più lontana dall’ingresso perché è la più assolata, la più calda e anche la più tranquilla. Ho qualche difficoltà a riconoscermi come appartenente a questa fauna maschile, alla fauna umana in genere . Non sono borioso né ho la puzza sotto al naso, però mi arrabbio quando penso che il mio voto vale tanto quello di questi volgari ignoranti. Cerco di allontanare i pensieri spiacevoli , voglio rilassarmi abbandonandomi al tepore dell’acqua , ad occhi chiusi per escludere il mondo circostante e la tecnica di respirazione yoga mi aiuta.
Lascio la macchina in garage e stassera niente corsa, mi sento bene , salgo le scale rinunciando all’ascensore e mi congratulo con me stesso. Poso la sacca all’ingresso e vado ad aprire la porta finestra che dà sul terrazzo. La vista è magnifica : sotto di me Roma si sta illuminando per la sera . Questa città è di una bellezza incredibile, ma è trascurata e sporca. “Ecco – mi dico – sembra che io non sopporti le sensazioni piacevoli e subito le imbratto con immagini sgradevoli”. Il suono del citofono interrompe l’inizio del ciclo corrosivo della mia autocritica, per fortuna mi dico, non sapendo il futuro che mi aspetta. La voce roca di Maresa Moro mi entra dentro e mi frastorna, sento che divento rosso e rosse sono anche le mie orecchie che vedo riflesse nello specchio sovrastante il citofono. Sono così emozionato che mi esce uno stentato “Chi è?” La voce ripete “ Mi scusi se la disturbo, sono Maresa Moro “ Ecco adesso la vedo sullo schermo del videocitofono. Lei , inconsapevole del terremoto che ha provocato dentro di me, continua: “Non trovo le chiavi, le dispiace aprire il portone” “ Si certo” rispondo e poi rimango lì fermo davanti allo schermo del citofono ormai spento. Passano pochi minuti e questa volta è il campanello della porta di casa mia. Il trillo è breve, leggero come se il pulsante fosse stato premuto da un dito timido. Vado ad aprire in trance , ripetendomi nella mente” ho assolutamente bisogno di un supplemento di analisi”.
Eccola lì nel vano della porta, bellissima come la ricordavo. “Ho suonato da lei, perché io con gli altri condomini non parlo….lei è stato gentile con me…e allora….mi scusi ancora “ Il suo disagio fa sentire me meno imbranato e riesco ad invitarla ad entrare. Lei sembra incerta, titubante, io mi sento più disinvolto ”Mi sto preparando la cena vuole dividerla con me?” “ Ma non so…” “ qualcosa di semplice che possiamo preparare insieme” “Io non so cucinare “ “Ma io si, venga”. Ancora un po’ esitante Maresa Moro entra in casa ed io chiudo la porta.
Maresa mi segue in cucina. Stappo un prosecco d’annata, “E’ buono “ dice lei gustandolo. “Si , me lo ha mandato un amico dal veneto, proviene dai suoi vigneti e lui ne è molto fiero.” “io non potrei bere alcool perché prendo psicofarmaci , poi lei ha visto come mi riduco” la sua voce triste mi fa male al cuore, vorrei dire qualcosa per strapparle un sorriso, ma non mi viene fuori niente e allora le dico “ mi dia una mano ad apparecchiare la tavola” E le indico dove sono i piatti e le posate. “Mangiamo in terrazza, le va?” “si” risponde con un leggero sorriso. Anche senza nessuna battuta spiritosa sono riuscito a farla sorridere. Mi sento contento come un ragazzino che ha ricevuto il regalo che aspettava da tanto tempo.
Maresa non è una buongustaia: si vede da come si accosta al cibo, quasi per dovere. Assaggia appena il risottino agli scampi e anche la splendida orata al forno non ottiene alcun apprezzamento. Io invece mangio con gusto e sono felice di stare qui con lei. Forse bevo un po’ troppo, Maresa invece , dopo il primo bicchiere di prosecco continua con l’acqua minerale. E’ molto controllata e mi sembra anche a disagio. Non so come alleggerire l’atmosfera. Le chiedo se vuole un dolce e il caffè. Accetta il caffè. Quando torno la trovo appoggiata al parapetto del terrazzo , che guarda lontano assorta. “Ecco il caffè” le dico porgendole la tazzina. “Grazie. E’ bello quassù “. “Lei ha che piano sta “ domando “ Proprio sotto di lei, ma non c’ è questo panorama. E poi io non esco mai sul terrazzo.” Non le chiedo perché e mi affianco a lei appoggiandomi anch’io al parapetto. Quando il mio braccio sfiora il suo , un brivido mi percorre tutto. Mi sto innamorando come un ragazzino. ”Devo andare” dice Maresa voltando il suo viso verso di me e in quel momento i nostri volti sono così vicini che io senza neppure rendermene conto la bacio sulla bocca, lei non si ritrae, la abbraccio e la bacio appassionatamente. Poi lei lentamente, con garbo, si libera dal mio abbraccio e dice “ mi dispiace, devo andare”. Vorrei pregarla di rimanere, ma c’è qualcosa in lei che me lo impedisce. Mentre si dirige verso la porta mi sfugge un “ ci possiamo rivedere?” “E’ sicuro di volermi rivedere?” “ Si “ dico semplicemente” “ Bene, allora domani sera a cena da me,” “ Ma ha detto che non sa cucinare?” “Esistono i take away” dice e se ne va richiudendo delicatamente la porta dietro di sé.
Oggi per fortuna è sabato e non devo andare a studio. Mi aggiro per casa mezzo nudo, è fine agosto e a Roma fa ancora molto caldo. Sto pensando a questa sera, alla cena con Maresa. Sono emozionato all’idea di incontrarla, contento e solo un po’ preoccupato per la cena . Lo so che il cibo dovrebbe, in questa circostanza , essere il mio ultimo pensiero , ma invece non lo è. Mangiare male mi mette di cattivo umore , preferisco digiunare piuttosto. In famiglia cucinava mio padre, quando era libero dal lavoro, era un bravissimo cuoco, e poi c’era Miriam , l’ex governante di mia madre, che l’aveva seguita nella sua nuova vita matrimoniale . Miriam ormai è molto vecchia, credo che sia quasi centenaria e abita in un paese del Piemonte affacciato sulle rive del fiume Tanaro, il suo paese natale e mia madre va a trovarla quando può. Fino a che è stata a casa nostra si occupava di tutto e anche della cucina. I primi segreti culinari me li ha svelati lei . a Parigi ci sono andato molto tempo dopo e soprattutto per apprendere la tecnica del soufflè. Da lei ho imparato a fare il misto di fritti piemontese, il famoso bollito con la salsa verde, la bagna cauda e gli agnolotti, che nessuno sapeva fare meglio di lei. Questa sera invece mi aspetta un “take away”, inorridisco al solo pensiero. Per consolarmi mi faccio un bel caffè e mangio un bacio di dama di Pasquale, una famosa pasticceria di Alessandria, fatto di burro, zucchero e cacao, una bomba calorica, poco salutare, ma così buono e tanto energetico . Passano le ore , io mi trastullo senza combinare niente. Avrei un paio di lavori da finire, un articolo da limare prima di mandarlo alla rivista di psicoanalisi , ma non riesco a concentrarmi. Il mio pensiero è fisso sull’incontro di stassera con Maresa Moro. Mi rendo conto di stare esagerando , di attribuire a questo incontro un’importanza eccessiva , ma non riesco a fare altrimenti. Forse mi sono innamorato di Maresa Moro? Ma non è possibile, l’ho vista due volte, non la conosco ,…..io non credo ai colpi di fulmine….sono uno psicoanalista. Sorrido fra me e me, guarda, guarda, ho detto “sono” non “faccio” lo psicoanalista. Anche se rido di me continuo a pensare a Maresa. Penso di uscire ,ma rinuncio subito, fa troppo caldo e poi non so dove andare. Mi butto sul divano e accendo la televisione, guarderò qualcosa così tanto per distogliere il pensiero dall’incontro di stassera.
Mi ero quasi assopito quando mi telefona mia madre dicendomi che per domani siamo invitati dal suo collega argentino all’Hilton , dove lui alloggia . “ E’ entusiasta del cuoco della Pergola, il ristorante dell’Hilton e vuole assolutamente che noi assaggiamo le sue specialità argentine. Pensi di poter venire? Sai ci sarà anche quella giornalista che abbiamo incontrato al convegno. Liberati da qualunque impegno e vieni. Te lo chiedo per favore”
Oggi succedono tutte cose strane, l’improbabile cena a casa di Maresa, l’invito di mia madre espresso in un modo inconsueto : non è da lei chiedermi il favore di partecipare ad un pranzo, di solito è molto più sobria nelle parole e poi quell’accenno alla giornalista?! Sono un po’ sconcertato, ma non oso rifiutare, penso che anche questo comportamento un po’ sopra le righe sia la reazione alla terribile perdita subita. Perciò le dico che va bene. “ non mi sembri molto convinto, c’è qualcosa che non va? “ se non altro è ancora sensibile ai toni di voce e all’umore altrui, penso con sollievo e poi “ no, tutto a posto, mi ero assopito e tu mi hai svegliato. Ci vediamo domani all’Hilton. Ciao, buona giornata”.
Sono pronto, ma mi ci è voluto un bel po’ prima di decidere cosa indossare. Alla fine ho optato per i jeans , un dolce vita in gradazione e un blazer blu notte, è una cena informale mi dico, ripensando al takeaway . Che strano, mi dico, al mercatino aveva cercato qualcosa di speciale , come si può conciliare la ricerca del buon cibo con il take away? Allora aveva scelto una frutta particolare seguendo il mio suggerimento ….già, ma scegliere la frutta è diverso dal cucinare….. Con queste pensieri in testa mi affaccio dal mio terrazzo e guardo sotto sperando di intravvedere qualcosa, ma niente. Il suo terrazzo è rientrante rispetto al mio che sto all’attico ed è anche molto più piccolo. No, anche se mi sporgo non riesco a vedere niente. Da qualche parte mi arriva il suono della sigla del telegiornale del 1° canale Rai, forse è meglo che scenda. Prendo una bottiglia del prosecco del mio amico , mi servirà per rendere accettabile il take away.
Quando suono il campanello viene subito ad aprire. Io sono agitatissimo, lei calma . serafica, mi invita ad entrare, richiude la porta e passandomi accanto mi precede verso il divano davanti alla porta finestra. “Io preferisco non bere, ma se tu…se lei vuole.. le preparo un aperitivo” “grazie, non ti disturbare…..sono contento del tu…..” e mostrandole la bottiglia di prosecco le dico “ questo è ottimo come aperitivo ed è fresco al punto giusto “. Lei mi guarda un po’ ironica, mi sembra, ma non dice niente ed io aggiungo “ scusami, è che sono un po’ rompipalle quando si tratta di vino” “ Solo per il vino spero ” dice lei con il sorriso negli occhi. Io le sorrido di rimando versandomi il vino e guardandomi intorno non vedo traccia di cena. Da dove sono seduto non vedo tutta la casa organizzata come un grande openspace con soluzioni gradevoli e originali di divisione degli spazi. Da qualche parte ci sarà pure un tavolo da pranzo e un angolo cottura almeno. Lei evidentemente coglie il mio sguardo vagante nell’ambiente con la domanda inespressa “ ma dove si mangia?” e mi dice” Fra poco verrà Giacomo, il pizzaiolo qui all’angolo….”.poi forse vedendo la mia espressione sconsolata, continua “ è un bravissimo cuoco , siamo amici, mi ha sempre aiutato…. e quando gli ho detto che ti avevo invitato a cena mi ha detto di non preoccuparmi, che avrebbe provveduto lui. Sarà qui fra poco, alle otto e mezzo.” E infatti puntualissimo il cuoco amico di Maresa arriva con uno splendido carrello portavivande che sistema vicino alla porta finestra, allestendo velocemente , con molta perizia ed eleganza la tavola per la cena. Ha portato persino il secchiello con il ghiaccio. E’ stata una cena favolosa , tutta a base di pesce freschissimo. Altro che takeaway. Sul piccolo terrazzo c’è un dondolo, lei mi invita a sedere e poi mi chiede se voglio il caffè. “Lo fai tu?” domando “no- mi risponde.- anche al caffè ci ha pensato Giacomo. Mi lascia per tornare subito dopo con la tazzina di caffè. Poi si siede vicino a me sul dondolo. E’ una serata magnifica, non c’è una nuvola e il cielo sta dando il meglio di sé con le migliaia di stelle che ci fanno da soffitto. I rumori della via sottostante arrivano soffocati. In questo momento mi sento in pace con me stesso e con il mondo. Guardo Maresa e vedo che lei non sta vivendo le medesime sensazioni, guarda fisso davanti a sé e una profonda ruga fra le sopracciglia le dà un’espressione corrucciata. Chissà a cosa sta pensando. Non si è accorta che io la osservo. Vorrei parlare, ma ho paura, non so di cosa, di rompere un momento magico per me, che però dal momento in cui l’ho vista così pensierosa, magico non è più. Forse è meglio che vada, penso, ma lei all’improvviso si volta verso di me e mi bacia, mi bacia sulla bocca. Io sono allibito, vorrei rispondere al suo bacio, quanto lo vorrei, ma non posso, la guardo, ho bisogno di capire. Lei si alza, mi prende per mano e mi conduce in un angolo della casa circoscritto da un paravento giapponese azzurro chiaro dove c’è un grande letto anch’esso azzurro. Maresa intreccia le mani dietro il mio collo e aderendo con il suo corpo al mio e guardandomi negli occhi mi dice piano “voglio fare l’amore”. Io non sono pronto, questa donna sento che è troppo importante per me, perché io possa considerarla la scopata di una serata. Metto le mie mani sulle sue braccia e di nuovo le chiedo “perché”. Lei non risponde e aderendo ancora di più al mio corpo mi bacia a lungo con passione e dolcezza insieme. Un cocktail di sensazioni mi invade, rispondo con voluttà ai suoi baci e incominciamo a spogliarci reciprocamente. Uno specchio fissato sull’anta del paravento riflette i nostri corpi nudi allacciati. Un triangolino di pelle chiara solo sui glutei dice che Maresa prende il sole in topless, infatti il seno che sto baciando è così abbronzato che quasi non si distingue il capezzolo. Ci sdraiamo sul letto e Maresa scivolando lentamente lungo il mio corpo verso il pene eretto incomincia a leccarlo , poi lo prende in bocca continuando a dardeggiare la lingua sull’asta e intorno alla cappella. Sto per venire, allora la tiro su verso di me, la monto e la penetro prima con dolcezza poi sempre più forte fino a che esplode l’orgasmo . Sono stremato accanto a lei, che si accoccola sul mio petto. Restiamo un po’ di tempo immobili e silenziosi. Poi Maresa si alza di scatto e dice :” Abbiamo fatto tardi, domani io ho l’appuntamento con i bambini. Non posso arrivare con la faccia stravolta, devo dormire qualche ora. Mi dispiace, ma devi andare”. Mi alzo malvolentieri e mentre mi vesto un pensiero molesto mi attraversa la mente, impulsivamente la interrogo “ Vedi solo i bambini?” Mi guarda sorpresa sia per la domanda che per il tono inquisitorio, poi dopo un momento di silenzio, che a me però sembra un secolo, “ci sarà anche il padre” “Cioè tuo marito” “ Ex-marito” “ quello che è uscito con te dall’ascensore?” “Si, quello”. Sono arrivato alla porta, mentre lei è rimasta indietro vicino alla libreria, che costeggia una parte del loft. Apro la porta e giro la testa soltanto quando mi arriva la sua voce “ci rivediamo?” “Tu vuoi rivedermi?” “Si” detto a bassissima voce. “ Domani sera quando rientro ti citofono e passo da te.” Apro la porta e me ne vado. Sono irritato, mi sento usato.