Ecco il primo capitolo tratto dal romanzo “Sorelle” di @madamebovary che ha partecipato alla rubrica la verità, vi prego.
Per leggere la mia lettera di valutazione clicca qui.
PROLOGO
Ricordi la nostra promessa? Unite per sempre…
-finché morte non ci separi!
-sorrisi tra me quando il prete celebrando il matrimonio pronunciò solennemente la stessa frase.
-si, successe lo stesso a me.
-L’impegno che mi assumevo andava solo ad aggiungersi a quello prioritario preso con te. È sempre valida per me- disse Lorella con serietà. Ed era sincera.
-anche per me lo è sempre stata- rispose Fiorenza convinta. Poi chiuse gli occhi, era ancora troppo debole.
Non lo dissero ma entrambe avevano avuto la sensazione di un dejà vu.
Lorella ricordava perfettamente il loro colloquio prima dell’incidente. O durante? Quello rimaneva un mistero che non aveva voluto indagare e che aveva preferito catalogare nella sua mente con una sequenza che sapeva imprecisa. L’incidente non era avvenuto quando Fiorenza aveva lasciato casa sua, la telefonata era giunta mentre lei era ancora lì. E poi non c’era più. Improvvisamente era stata travolta dalla notizia dell’incidente di Fiorenza e dalla paura che potesse non sopravvivere, perciò non aveva avuto la forza né l’intenzione di soffermarsi su dettagli, al confronto, irrilevanti; ogni preoccupazione e ogni spiegazione razionale erano rinviate a momenti più sereni. Aveva messo da parte, con decisione, tutta la sofferenza di quell’ultimo periodo perché il terrore di perdere la sorella era più forte di qualsiasi dolore. D’un tratto l’angoscia vissuta nell’ultimo periodo le appariva trascurabile e quella che aveva ritenuto una colpa insopportabile di Fiorenza era stata seppellita dal timore di non averla più nella sua vita. C’era sempre stata, era una presenza indispensabile per il suo equilibrio, perciò era scontato per lei accoglierla, occuparsene e accudirla fino a quando non si fosse del tutto ripresa, esito sul quale non voleva permettersi di avere dubbi. Le domande sospese e i chiarimenti attesi potevano aspettare; certo, voleva sentire la versione di Fiorenza e trovare un barlume in quella faccenda oscura, un appiglio cui aggrapparsi per cancellare tutto e ricominciare, ma l’urgenza non era più quella. Si rifiutava di pensare ad altro che non alla sua guarigione.
Anche Fiorenza aveva avuto la stessa, strana, sensazione di dejà vu per lei però, era tutto ancora più vago. Ricordava di aver detto le stesse parole a casa di Lorella ma poi le sembrava che tutto fosse avvenuto mentre era in ospedale e allora si diceva che forse era stato solo un sogno, una dimensione sospesa. Forse, considerava, era un parto della sua fantasia stravolta dall’incidente, dai farmaci, dallo choc o, ancora, era solo l’allucinazione attraverso cui realizzare il bisogno imperioso di affrontare la verità. Un desiderio mai sopito cui aveva tentato di dare corpo per difendersi e soltanto adesso, finalmente, quello scambio di battute era diventato realtà. Non era abbastanza, lo sapeva; quello che avrebbe voluto dirle e che ricordava di averle detto evidentemente in sogno, era molto di più di questo. Era una richiesta di assoluzione che solo Lorella avrebbe potuto concederle, con la forza di quel legame capace di superare ogni ostacolo, come avevano sempre creduto. Ma era anche una timida richiesta di aiuto. Una supplica. Rimasta nell’aria, senza risposta. O forse la risposta c’era stata, sarebbe bastato interpretare i gesti di Lorella per capirlo. Le sue cure, le sue attenzioni. Fiorenza non sapeva cosa pensare. Davvero Lorella voleva che guarisse? E non era, questa, una risposta sufficiente? Non del tutto. Non per lei. Al contrario era una risposta che sembrava contenere il germe del rifiuto. Desiderava fortemente che tutto fosse stato davvero solo un sogno e bramava di convincersene, a tratti ne era certa ma poi il dubbio tornava prepotente a macerarla e lei si addormentava sfinita. Sapeva di dover zittire la mente finché non fosse stata in grado di tornare a gestirla, tuttavia se ne sentiva sempre più vittima.
CAPITOLO PRIMO
Quando era accaduto l’incidente, quando dall’ospedale avevano chiamato Lorella -perché era quello il numero scritto sull’agenda di Fiorenza “da chiamare in caso di urgenza”- proprio mentre lei parlava o credeva di parlare con la sorella- e quando, dopo quella terribile telefonata -ma è più esatto dire durante quella terribile telefonata- Fiorenza era scomparsa lasciando in lei la sensazione di aver vissuto un sogno, il panico si era impadronito di Lorella e lei aveva agito seguendo l’impulso del cuore, quell’impulso che, dicono, sia il più significativo, quello a cui prestare maggior credito. Lorella non poteva pensare di dover rinunciare per sempre alla persona che era stata il perno principale della sua vita, si, più di Francesco. Il primo a cui sentì il bisogno di rivolgersi, tuttavia, fu proprio lui, a lui consegnò l’impegno di gestire quell’evento troppo penoso. Suo marito avrebbe saputo cosa fare, avrebbe trattato con i medici e scelto la soluzione migliore. Del resto era preoccupato quanto lei per Fiorenza, inutile negarlo. Francesco era così, capace di prendere in mano le situazioni e affrontarle lucidamente. Lei non ci sarebbe riuscita. Ed era stato proprio grazie a lui, infatti, che avevano potuto attrezzare la stanza degli ospiti come un vero ospedale e ottenere la migliore assistenza per Fiorenza. Non poteva immaginare di abbandonarla in un momento così drammatico. Qualunque colpa avesse commesso, anche la più nefasta, restava sempre la “sua” Fiorenza. Dopo aveva chiesto al marito di sparire almeno per un po’, almeno fino a quando gli animi si fossero rasserenati e fosse stato possibile osservare gli eventi con una serenità di giudizio che in quel momento non era possibile immaginare.
-Ci sono troppe cose da spiegare a cui, per il momento, non sono neppure in grado di pensare.
Lui aveva accettato, in silenzio, senza domande. Senza recriminazioni né giustificazioni. Aveva agito come un automa, quasi fosse impermeabile ad ogni emozione e, forse, per la prima volta nella sua vita si riscopriva inerme. Stremato dall’accaduto, non aveva energie per reagire, per reclamare un diritto ad esserci che nessuno gli avrebbe riconosciuto. La sua vicinanza avrebbe aiutato Fiorenza o sarebbe stata motivo di angoscia? Non sapeva cosa lui stesso riteneva giusto e cosa, invece, rappresentava un alibi di cui avvalersi per fuggire dall’impotenza. L’atmosfera colpevolizzante era percepibile e lo schiacciava, non poteva affrontare accuse a cui non riconosceva valore. Consapevole delle sue responsabilità in tutta la storia portava con sé il peso d una colpa diversa, la colpa del silenzio. Rimetteva in discussione sé stesso, le sue scelte, tutta la sua vita, può l’amore determinare l’esito di un’intera esistenza? Non avrebbe voluto andar via ma sentiva che lì non c’era posto per lui. Sapeva di dover aspettare e riuscì ad imporselo malgrado il dolore lancinante.
Fiorenza non si era pronunciata quando era stato deciso il suo trasferimento a casa di Lorella, sembrava addirittura non essersi accorta del cambiamento, aveva lasciato che decidessero altri per lei, la sua capacità decisionale era evaporata con il suo discernimento. Aveva deposto la sua guarigione in mani altrui come un imputato pronto ad accettare la sua condanna, qualunque fosse, purché riuscisse ad alleviare la sua pena.
Dopo la separazione, Fiorenza era andata a vivere dalla madre con i figli, una scelta obbligata, ed era stata una convivenza difficile. La convalescenza sarebbe stata addirittura impossibile.
-Tra poco vado ma torno nel pomeriggio a darti una mano. E’ stato un gesto nobile portare qui tua sorella.-
-Ma no, occuparmi di Fiorenza mi fa bene. Sono convinta che con il mio aiuto ce la farà. La circondo di attenzioni come sempre lei ha fatto con me.
-Già, sempre.
-Certo. Anche quando mi fece conoscere Francesco aveva lo stesso scopo, preoccuparsi della mia felicità. Capii subito il suo intento: sperava che ci piacessimo perché pensava fosse l’uomo giusto per me- Era stata diretta, Lorella, con il suo innato candore sapeva rendere casuale ogni affermazione.
La madre, infatti, non avrebbe saputo dire se avesse voluto puntualizzare la sua interpretazione della realtà o se avesse soltanto dato voce a un pensiero passeggero. Non poté nascondere, però, il suo disappunto -Ma che dici?- non era solo scettica, era anche ironica. –Sei troppo ingenua figlia mia.-
-La conosco bene. Era talmente entusiasta quando me lo presentò che non dubitai nemmeno per un attimo dei suoi disegni. Aveva la stessa espressione di quando, da piccole, mi regalava qualcosa che avevo molto desiderato, qualcosa che sapeva mi avrebbe reso felice. Francesco mi piacque si, ma soprattutto perché mi fidavo ciecamente del giudizio di Fiorenza e se lei lo riteneva l’uomo giusto per me anch’io non potevo pensare diversamente.-
-Lasciamo stare e speriamo che tutto vada bene. Mi domando perché i medici abbiano permesso che la riportassimo a casa. Non credi sarebbe stato meglio per lei restare lì? Avrebbero potuto curarla meglio.- La madre naturalmente non aveva capito perché Lorella avesse chiamato Francesco prima di tutti e non capiva perché adesso accogliesse Fiorenza a casa loro e con tanta premura. Quelle due avevano sempre avuto un rapporto speciale. Aveva sempre provato un’invidia inconfessata per quel legame dal quale si sentiva esclusa.
Fiorenza pur dal suo stato di torpore le ascoltava parlare, avvertiva in sua madre un velo di apprensione ma era certa che non fosse solo la preoccupazione per il suo stato di salute a farle preferire che restasse in ospedale. Non ce l’aveva fatta a riportarla a casa sua ma anche vederla da Lorella le creava un imbarazzo forse maggiore e questo indispettiva Fiorenza; la cosa non riguardava lei. Era la sua vita, erano i suoi errori, pensava di essere l’unica ad aver il diritto di soffrirne. E di giudicare.
-Fiorenza non sta dormendo, mamma. E se parli così potresti impressionarla.- nella voce della sorella un tono lievemente autoritario che non le era mai appartenuto, non con sua madre. Poi si rivolse a Fiorenza:
-Non preoccuparti sorellina, vedrai che presto passerà tutto. I medici hanno detto che a casa starai più tranquilla. E poi ci siamo attrezzate. Questa stanza sembra una clinica. Se deciderai di aprire gli occhi te ne accorgerai. Ma no, è meglio che riposi. Ogni pomeriggio verrà l’infermiera per le terapie e il dottore passerà tutti i giorni. Non abbiamo trascurato nulla- Fu generica, non precisò che solo grazie a Francesco e alla sua premura era stato possibile predisporre un’assistenza così completa, quel nome non fu mai pronunciato. -Anche tu però, devi pensare a qualcosa. A guarire. Se lo vorrai, presto starai bene. Ma devi volerlo davvero, devi deciderlo tu. Adesso andiamo via, bada solo a riposare. Torneremo tra poco a vedere come te la cavi- Con lei, invece la voce di Lorella era dolce come sempre, con in più un soffio di forzata allegria.
Pingback: La verità, vi prego: “Sorelle” di @madamebovary* | I libri degli altri