“La verità, vi prego” è la posta del cuore della scrittura: inviami un tuo racconto o il primo capitolo del tuo romanzo e ti scriverò una lettera di valutazione franca, pubblica e gratuita. Per sapere come funziona leggi qui.
La lettera di oggi è per @madamebovary* e il primo capitolo del suo “Sorelle”.
Chi è @MadameBovary:
Scrivo da un po’ di anni: racconti, testi teatrali; anche due romanzi brevi.
Non ho mai pubblicato nulla ma ho vinto un piccolo premio drammaturgico.
“Sorelle” nasce da un testo teatrale: un corto che poi è diventato una commedia e,
infine, un romanzo.
Ho iniziato a scriverlo nel 2010, poi l’ho lasciato e ripreso varie volte.
Sembra sempre che sia finito e poi c’è sempre qualche correzione da fare.
Forse adesso è finito.
Cara @MadameBovary,
perché “Sorelle” si apre con un prologo? Senti forse il bisogno di chiarire il conflitto che anima le protagoniste del tuo romanzo? Vuoi avvisare il lettore di qualcosa? Metterlo in guardia? Indicargli la strada: guarda, si parlerà di questo?
Voglio dirti subito una cosa: questo prologo è inopportuno. Lo è nell’intenzione – le storie non vogliono essere spiegate, ma solo raccontate – e lo è nell’obiettivo: questa pagina iniziale non aiuta il lettore. Anzi: lo trascina in un lungo e caotico sommario di quello che è accaduto (e che deve accadere, nel primo capitolo) senza semplificare né precisare un evento o un sentimento, piuttosto annodando il concetto fino a esaurirlo.
E come si fa, poi, a cominciare una storia su un soggetto già esaurito?
A proposito di cominciare: il prologo mette in scena due voci senza faccia, né corpo, né carattere. La pagina scritta non è il teatro e nemmeno il cinema: il lettore non vede davvero chi sta parlando, sei tu che devi permettergli di immaginarlo. Lorella e Fiorenza non possono essere solo due nomi, devono diventare due personaggi; e non un poco per volta: subito. Non perdere tempo ad arrovellarti sulla questione della questione. Fai partire la storia!
L’incipit del primo capitolo funziona assai meglio, perché non usare direttamente quello per dare l’avvio?
Quando era accaduto l’incidente, quando dall’ospedale avevano chiamato Lorella -perché era quello il numero scritto sull’agenda di Fiorenza “da chiamare in caso di urgenza”- proprio mentre lei parlava o credeva di parlare con la sorella- e quando, dopo quella terribile telefonata -ma è più esatto dire durante quella terribile telefonata- Fiorenza era scomparsa lasciando in lei la sensazione di aver vissuto un sogno, il panico si era impadronito di Lorella e lei aveva agito seguendo l’impulso del cuore, quell’impulso che, dicono, sia il più significativo, quello a cui prestare maggior credito.
Anche qui la confusione non manca ma, almeno, si tratta di una confusione in movimento, con un ritmo, che ha il pregio di catapultare il lettore direttamente nella storia, senza affannarsi (e affannarlo) attorno alle spiegazioni. Ed è molto più breve e mirata.
Il problema è che questo ritmo dura troppo poco: subito dopo la tua scrittura si riempie di particelle e connessioni che rammolliscono: sì, più di Francesco; tuttavia fu proprio lui; Suo marito; Del resto; Francesco era così; grazie a lui, infatti; e di un “linguaggio burocratico” fuori luogo e poco incisivo:
[…]fino a quando gli animi si fossero rasserenati e fosse stato possibile osservare gli eventi con una serenità di giudizio che in quel momento non era possibile immaginare.
[…]La madre, infatti, non avrebbe saputo dire se avesse voluto puntualizzare la sua interpretazione della realtà o se avesse soltanto dato voce a un pensiero passeggero.
Lo stesso tipo di linguaggio che, nel prologo, ti fa dire: “L’incidente non era avvenuto“, invece che successo; oppure “la telefonata era giunta” invece che arrivata; e ti fa usare la parola esito.
Ogni tanto, in mezzo a questa tua lingua così “pensata”, così “razionale”, si ritrovano delle frasi che mostrano una parte più emotiva, più sentimentale, ma che, non essendo abbastanza a loro agio, escono fuori sotto forma convenzionale, stereotipata: “un barlume in quella faccenda”; “un appiglio cui aggrapparsi”; “zittire la mente”; “agito come un automa”; “impermeabile a ogni emozione”.
La verità – la cosa più importante – è che il primo capitolo di “Sorelle” dovrebbe essere liberato dal peso dell’allusione continua a qualcosa che però non viene detta (il conflitto tra Lorella, Fiorenza e Francesco; la probabile colpa che hanno gli ultimi due rispetto alla prima). Il riferimento insistente a questa dinamica, a questo “mistero” irrita il lettore che vuole capire cosa sia la “cosa” di cui parli. O lo coinvolgi – dandogli subito l’informazione – oppure tieni la cosa in sordina e la cacci al momento giusto.
Quello che proprio non dovresti fare, ed è un principio che vale per ogni occasione, è parlare attorno alla cosa che vuoi raccontare. Prova a raccontarla e basta.
Un caro saluto,
Francesca de Lena
SORELLE
Ricordi la nostra promessa? Unite per sempre…
-finché morte non ci separi!
-sorrisi tra me quando il prete celebrando il matrimonio pronunciò solennemente la stessa frase.
-si, successe lo stesso a me.
-L’impegno che mi assumevo andava solo ad aggiungersi a quello prioritario preso con te. È sempre valida per me- disse Lorella con serietà. Ed era sincera.
-anche per me lo è sempre stata- rispose Fiorenza convinta. Poi chiuse gli occhi, era ancora troppo debole.
Non lo dissero ma entrambe avevano avuto la sensazione di un dejà vu.
Lorella ricordava perfettamente il loro colloquio prima dell’incidente. O durante? Quello rimaneva un mistero che non aveva voluto indagare e che aveva preferito catalogare nella sua mente con una sequenza che sapeva imprecisa. L’incidente non era avvenuto quando Fiorenza aveva lasciato casa sua, la telefonata era giunta mentre lei era ancora lì. E poi non c’era più. Improvvisamente era stata travolta dalla notizia dell’incidente di Fiorenza e dalla paura che potesse non sopravvivere, perciò non aveva avuto la forza né l’intenzione di soffermarsi su dettagli, al confronto, irrilevanti; ogni preoccupazione e ogni spiegazione razionale erano rinviate a momenti più sereni. Aveva messo da parte, con decisione, tutta la sofferenza di quell’ultimo periodo perché il terrore di perdere la sorella era più forte di qualsiasi dolore. D’un tratto l’angoscia vissuta nell’ultimo periodo le appariva trascurabile e quella che aveva ritenuto una colpa insopportabile di Fiorenza era stata seppellita dal timore di non averla più nella sua vita. C’era sempre stata, era una presenza indispensabile per il suo equilibrio, perciò era scontato per lei accoglierla, occuparsene e accudirla fino a quando non si fosse del tutto ripresa, esito sul quale non voleva permettersi di avere dubbi. Le domande sospese e i chiarimenti attesi potevano aspettare; certo, voleva sentire la versione di Fiorenza e trovare un barlume in quella faccenda oscura, un appiglio cui aggrapparsi per cancellare tutto e ricominciare, ma l’urgenza non era più quella. Si rifiutava di pensare ad altro che non alla sua guarigione.
Anche Fiorenza aveva avuto la stessa, strana, sensazione di dejà vu per lei però, era tutto ancora più vago. Ricordava di aver detto le stesse parole a casa di Lorella ma poi le sembrava che tutto fosse avvenuto mentre era in ospedale e allora si diceva che forse era stato solo un sogno, una dimensione sospesa. Forse, considerava, era un parto della sua fantasia stravolta dall’incidente, dai farmaci, dallo choc o, ancora, era solo l’allucinazione attraverso cui realizzare il bisogno imperioso di affrontare la verità. Un desiderio mai sopito cui aveva tentato di dare corpo per difendersi e soltanto adesso, finalmente, quello scambio di battute era diventato realtà. Non era abbastanza, lo sapeva; quello che avrebbe voluto dirle e che ricordava di averle detto evidentemente in sogno, era molto di più di questo. Era una richiesta di assoluzione che solo Lorella avrebbe potuto concederle, con la forza di quel legame capace di superare ogni ostacolo, come avevano sempre creduto. Ma era anche una timida richiesta di aiuto. Una supplica. Rimasta nell’aria, senza risposta. O forse la risposta c’era stata, sarebbe bastato interpretare i gesti di Lorella per capirlo. Le sue cure, le sue attenzioni. Fiorenza non sapeva cosa pensare. Davvero Lorella voleva che guarisse? E non era, questa, una risposta sufficiente? Non del tutto. Non per lei.
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