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Gli Editoriali. Davide Reina (Miraggi edizioni)

Redattori, social media manager, impaginatori, uffici tecnici, consulenti e ancora altri: sono loro gli Editoriali, persone che lavorano i libri prima che diventino libri. Chi sono, cosa fanno e come lo fanno: una serie di domande per scoprire qualcosa di più sui mestieri dell’editoria.

Davide Reina è nato a Vercelli nel 1975. Laureato in filosofia, vive e lavora a Torino. Nel 2009 accetta l’invito di Alessandro De Vito e Fabio Mendolicchio a fondare insieme a loro Miraggi edizioni, in cui è tuttora socio e responsabile di redazione. Nel tempo libero legge, viaggia, fotografa e ascolta musica.

Come hai iniziato e perché?
Per caso, in qualche modo, ma allo stesso tempo è stata una decisione per me naturale. Un amico mi aveva parlato dei corsi di tecniche editoriali organizzati da una casa editrice di Torino e, poiché stavo indugiando un po’ troppo negli studi, decisi di provare a coltivarmi un lavoro. Subito dopo il corso iniziai a lavorare come freelance (anche se, come capita oggi, con incarichi in realtà abbastanza regolari) per la stessa casa editrice e da allora non ho mai smesso di occuparmi di editoria. Tuttavia, poiché ho sempre amato i libri, oggi mi riesce difficile immaginare un’altra carriera o comunque un’altra occupazione e quindi, ex post, mi pare chiaro che sia stato tutto molto naturale.

Come e quando sei arrivato alla Miraggi?
Alessandro De Vito aveva seguito insieme a me lo stesso corso di tecniche editoriali e quando, insieme a Fabio Mendolicchio e altre persone, decise di tentare l’avventura editoriale, mi chiese se volevo partecipare. Pensai, e lo dissi, che fosse pazzo, ma ovviamente accettai, perché la libertà è ardua ma bellissima.

Quali sono le tue mansioni, nello specifico?
In Miraggi e in genere nelle piccole realtà ci si occupa tutti un po’ di tutto. Io sono “nato” come redattore, e tuttora faccio la revisione ai testi, ma poi mi sono creato, da autodidatta e grazie a infiniti errori e piccoli fallimenti, di nuovo un po’ per caso e un po’ per necessità, una competenza da graphic designer. In sostanza, disegno e progetto copertine, layout, linee grafiche specifiche per collane ecc. Ma nella mia vita ho anche tradotto e francamente non sarebbe male coltivare meglio anche questa attività… anzi, questa vocazione.

Come si svolge praticamente il tuo lavoro e quali programmi utilizzi?
La seconda parte della domanda è la più facile: nonostante il programma che imparai a usare per primo fosse stato Quark Xpress, ormai utilizzo esclusivamente inDesign, Photoshop, Illustrator; per la postproduzione delle fotografie invece Lightroom. Insomma, la suite Adobe, a mio avviso la mia migliore come potenza, versatilità e soprattutto integrazione.
Per quanto riguarda lo svolgimento pratico del mio lavoro è assai difficile dare una risposta che sia semplice e insieme esauriente. Diciamo che l’unico criterio che non ho mai abbandonato è quello di risolvere i problemi man mano che si propongono, vale a dire che tutto quello che ho imparato e che faccio ancora oggi è risolvere di volta in volta i problemi che incontro: in questo modo, problema dopo problema, libro dopo libro (ogni testo è un individuo, ha esigenze proprie, come ogni collana deve essere presentata esteticamente in modo riconoscibile e così via), ho costruito, o meglio, sto costruendo il mio lavorare. Parafraso con un po’ di vanità il filosofo Luigi Pareyson: il mio è un fare che si impara facendo.

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foto di john cameron

Quali sono le risorse (testi, siti o altro) che hai sempre sott’occhio e che ti aiutano durante il tuo lavoro?
Chiunque si occupi della lingua italiana deve avere grande confidenza con ogni tipo di dizionario: vocabolario, sinonimi e contrari, etimologico (adoro le etimologie, sono sempre illuminanti), enciclopedico, tecnico… in qualsiasi forma esso sia disponibile, cartaceo o online. Oltre alla confidenza con questi strumenti, bisogna però averne anche rispetto: tutti noi, me compreso, usiamo spesso la lingua “a orecchio”, e bisogna sempre vigilare sull’esatto significato, sulla particolare sfumatura di senso di ogni parola che usiamo. Almeno nei libri.

Qual è il libro Miraggi sul quale hai lavorato con più piacere?
Sono molti in realtà, ma cito il primo in assoluto, il numero zero, un po’ per affetto nei confronti di Miraggi e un po’ per affetto nei confronti dell’autore, con il quale è nata poi un’amicizia. Si tratta di Culhwch, di Andrea Roncaglione. Un libro divertentissimo e serissimo che non mi pentirò mai di aver fatto uscire.

Qual è il libro non Miraggi sul quale avresti voluto lavorare?
Non ne esiste, né potrebbe esisterne, uno solo. Confesso, però, che per Adelphi lavorerei quasi gratis.

Qual è la cosa che più ti piace fare del tuo lavoro?
In generale, “iniziare”: iniziare la revisione di un nuovo testo, iniziare una nuova linea grafica, creare qualcosa di nuovo. E poi, nella stessa misura, vedere, toccare il prodotto del mio lavoro, sfogliare il libro appena stampato, vedere tutte insieme le copertine di una collana, insomma quello che chiamo un po’ pomposamente “riscontro ontologico”.

Qual è la cosa che più ti annoia fare del tuo lavoro?
Qualsiasi cosa abbia a che fare con la ripetizione. Spesso il mio è un lavoro operativo, e in quel caso non mi piace. Ma per fortuna, sulla mia bilancia professionale, il piatto del piacere sta sempre più in basso di quello della noia.

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foto di renee fisher

Hai una norma redazionale che applichi a malincuore?
Scrivere “se stess-” invece di “sé stess-”. Si tratta anche di un’annosa discussione interna a Miraggi. È un uso invalso col tempo quello di togliere l’accento a “sé” quando è rafforzato da “stess-”, non so se come vezzo o come inutile complicazione. Tuttavia, basta consultare il sito dell’Accademia della Crusca per scoprire che in realtà si tratta di un errore, o meglio, di un uso (ancorché preponderante) privo di reale necessità; si puntualizza poi che manca una vera e propria regola a riguardo e quindi si consiglia di accettare entrambe le lezioni. Ciò che, tuttavia, mi irrita di più è che in sostanza pervertiamo una parola nata col suo bravo accento acuto per non dare l’impressione di commettere un errore il quale, in realtà, non esiste.

Qual è quell’errore (refuso o altro) che proprio non sopporti?
Non sono un feticista dell’assenza totale di refusi… l’errore è un precipitato naturale del lavoro, è il marchio involontario dell’artigianato culturale (da parte dell’autore) ed editoriale (dalla parte del redattore). Sopporto però poco quando incontro parole usate con un senso diverso da quello del dizionario.

A tuo avviso, qual è la caratteristica più importante per chi fa un lavoro come il tuo?
Avere una visione olistica, d’insieme, totale (ma mai totalizzante o, per carità, totalitaria) di ciascun singolo lavoro e di tutti i lavori insieme, rientrando essi in qualche modo sempre in cerchie più ampie e comprensive. Come ho detto poco sopra, ciascun libro, ciascuna copertina, ciascuna collana è un caso individuale, ciascuno con le sue “leggi” interne, con la sua natura. Tale natura secondo me va compresa, rispettata e utilizzata per lavorare bene.

Consiglia un libro che parla del tuo lavoro e che credi possa essere utile a chi voglia iniziare.
I libri tecnici sono utili per sistematizzare le conoscenze, per maturare una visione d’insieme, per fare ordine. Tuttavia non li amo. Ne ho letti, sia per quanto riguarda traduzione e revisione, sia per quanto riguarda il graphic design, ma non vorrei consigliarne uno o più in particolare; anche in questo caso preferisco condividere il mio criterio generale.
Quando seguii il corso di tecniche editoriali, mi resi conto di sapere già molte cose, sulla normazione ortoeditoriale come sulla punteggiatura e altre questioni di questo tipo. Allo stesso modo, leggendo libri di fotografia, graphic design ecc. mi rendo conto di aver già percepito o incontrato, magari inconsapevolmente, una certa tecnica o una certa grammatica visuale. Perché la cosa importante, secondo me, è saper vedere oltre che guardare. Per capire come si può trattare tipograficamente un dialogo, basta aprire qualche libro e farci caso… per capire come funziona una fotografia o una copertina è necessario (anche se in questo caso non è sufficiente) studiare le fotografie, i quadri, i manifesti, le copertine che a miliardi ci si offrono. L’unico consiglio che mi sento di dare, quindi, è quello di leggere, guardare, vedere, comprendere quanti più esempi è possibile. Si capisce sempre quando una cosa è bella e fatta bene, quindi dalle cose belle consiglio di prendere esempio.

foto di copertina di pawel czerwinski

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