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Come sono le prime pagine dei 3 libri finalisti del Premio Comisso?

AVVERTENZA: i giudizi contenuti in questo articolo sono formulati sulla base della lettura di poche decine di pagine per singolo libro, pertanto sono parziali e rivedibili. Allo stesso tempo, trattandosi di analisi fatte su un particolare momento del testo letterario generalmente definito ‘attacco’, sono giudizi consapevolmente circoscritti, dunque completi e verificabili. Venti o trenta pagine sono poche per una valutazione definitiva, ma abbastanza per un giudizio parziale.


di Marco Terracciano


Il gioco degli dèi (estratto) – Paolo Maurensig, Einaudi 2019

TRAMA: a Sargodha, Pakistan, nel reparto di malattie infettive di un ospedale gestito da preti comboniani, è ricoverato Malik Mir Sultan Khan, il più grande scacchista asiatico di tutti i tempi. Fenomeno nel chaturanga (antenato degli scacchi occidentali), negli anni ’30 approda in Europa e sbaraglia la concorrenza. Negli anni ’50, invece, è al centro di uno scandalo perché accusato di aver plagiato una vecchia vedova per impossessarsi dell’eredità. Paolo Maurensig ricostruisce la sua biografia attraverso i taccuini di Norman La Motta, inviato del “Whashington Post” in Pakistan, da sempre ammiratore del singolare scacchista indiano.

A PRIMA VISTA: Maurensig è abilissimo a introdurre un personaggio controverso preservandone una quota importante di mistero. C’è l’odore di una guerra imminente, quella tra India e Pakistan, le suggestioni della filosofia orientale, la ricerca appassionata di un ambizioso cronista stregato dalla possibilità di incontrare un suo vecchio idolo. C’è il fascino enigmatico del gioco degli scacchi, scenario simbolico di un mondo che oscilla tra ragione e sentimento. L’estratto si chiude su una sequenza ammaliante, l’incontro tra Norman La Motta e l’anziano scacchista che riposa crucciato su un letto di ospedale. L’atmosfera è quella dei granelli di polvere illuminati dalle fessure di vecchie persiane, trasmette allo stesso tempo immobilità e tensione elettrica. La conversazione tra l’affaticato Sultan Khan e il giovane cronista si apre, alla fine del primo capitolo, su una storia che promette fuochi d’artificio.

CI CONVINCE: Maurensig conosce e ama l’argomento, il tema degli scacchi è centrale in molte delle sue opere. Non ha tentennamenti, procede spedito disegnando armoniche traiettorie sintattiche. La febbre esploratrice del cronista è contagiosa, è la molla di un congegno narrativo molto affascinante. I taccuini di Norman La Motta hanno il ritmo di un vecchio carillon.

NON CI CONVINCE: la biografia di uno scacchista indiano attivo negli anni ’30 non ha le caratteristiche di un trend topic. Se lo stile, le atmosfere e l’entusiasmo della scrittura reggono c’è il respiro di una storia universale, se cadono c’è il rischio di rivolgersi solo a una ristretta bolla di appassionati.


Icarus. Ascesa e caduta di Raul Gardini (estratto)Matteo Cavezzali, minimum fax 2019

TRAMA: il 23 Luglio 1993 muore Raul Gardini, uno dei più discussi imprenditori italiani degli anni ’80. Quella mattina la polizia entra nel suo appartamento in piazza Belgioioso 2, a Milano, ma trova solo un materasso insanguinato. Troppo tardi, il corpo è già stato portato via dall’ambulanza perché uno dei barellieri sosteneva che Gardini fosse ancora in vita.
Nel 1993 Bill Clinton diventa presidente Stati Uniti, in Jugoslavia c’è la guerra, a Palermo viene arrestato Totò Riina, a Ravenna un ragazzino mette il record di Super Sonic al Sega Mega Drive. Quel ragazzino non si rende ancora conto che la sua vita, la sua storia personale, la storia d’Italia, è intrecciata con quella di Raul Gardini: da grande proverà a capire perché. Nasce così il progetto di Icarus. Ascesa e caduta di Raul Gardini di Matteo Cavezzali.

A PRIMA VISTA: «Non devi raccontare tutte le verità. Racconta la tua, è già abbastanza». Cavezzali scrive di aver ricevuto questo consiglio dallo scrittore Angelo Ferracuti e di essersi liberato dall’ossessione di ricostruire una storia oscura coi soli strumenti del giornalismo d’inchiesta. Icarus è una crónica (secondo la nomenclatura dello scrittore messicano Juan Villoro), cioè «il punto d’incontro tra due economie, la fiction e il reportage». È questo l’aspetto più stimolante dell’estratto del libro, la gestione inattesa di diversi registri narrativi.
Cavezzali vuole unire due dimensioni, quella collettiva e quella personale. Per farlo ha bisogno di passare dalla cronachistica alla memorialistica, dall’esattezza del documento alla parzialità del ricordo. Non crea, però, un unico dispositivo narrativo, tiene tutto ben separato anche a livello grafico (uso dei corsivi, font diversi, cambi di impaginazione, proliferazione di eserghi). Questa scelta non riduce la leggibilità, né sottrae al testo coerenza strutturale, anzi. Crea un elastico interpretativo facile da seguire ma ricco di spunti. Due problemi: Cavezzali non gestisce tutti i registri con la stessa maestria. In alcuni passaggi, specie nei racconti d’infanzia, è un po’ scolastico; l’enfasi sull’intenzione di scrivere un testo ibrido sa di già sentito.

CI CONVINCE: Cavezzali gioca con la memoria e con i documenti, inventa e ricostruisce senza minimizzare l’importanza dell’argomento. L’idea di collegare la storia di un uomo pubblico e quella di un’intera nazione alle varie fasi della sua timida infanzia ravennate è il punto di forza di questo estratto.

NON CI CONVINCE: la scelta di tenere separati i diversi punti di vista sulla storia può rivelarsi infelice sul lungo periodo, a maggior ragione se non tutti i lacci sono tirati con la stessa energia.


Le galanti. Quasi un’autobiografia (estratto) – Filippo Tuena, Il Saggiatore 2019

TRAMA: dopo un lungo prologo di ambientazione onirica il narratore ricorda un viaggio compiuto a Sparta con la sua compagna. Ne ripercorre le strade e, soprattutto, visualizza le immagini dei bassorilievi nel piccolo museo archeologico della città. Uno in particolare cattura la sua attenzione: un uomo con il braccio sinistro poggiato sulle spalle di una donna, i due volti che incrociano gli sguardi di pietra. Si tratta forse di Elena e Menelao, le figure su cui Tuena imbastisce un lungo monologo interiore fatto di riflessioni a partire dai dettagli delle sculture, dalle loro posture, dalle storie mitiche che si intrecciano con la parte più emotiva e reattiva della sua memoria.

A PRIMA VISTA: in queste prime pagine c’è troppa descrizione e poco racconto. Tuena prova a tenere insieme un flusso enorme di riflessioni sul mito greco usando come cornice una micro-situazione che si rivela incerta: una lite di coppia per una sigaretta di troppo. La descrizione della figura di Elena di Troia è molto coinvolgente in alcuni punti, in altri si perde inseguendo non tanto un’anarchia stilistica (lo stile di Tuena è ricercato ma tradizionale), non tanto un’anarchia strutturale (il meccanismo digressione-cornice è riconoscibile), quanto un’anarchia preterintenzionale, la rinuncia a dotare il testo di un orientamento e di un’intenzione. Tuena cerca di farsi attraversare dalle sue storie, spera di perdersi, ma questa rinuncia ostacola la progressione del lettore che si vede venir meno il percorso sotto i piedi fin dal prologo. Le infinite suggestioni si disperdono troppo velocemente perché non associate a un’intenzione-guida. Senza intenzione non c’è rapporto tra autore e lettore. Le descrizioni dei bassorilievi, così erudite, così emotive allo stesso tempo, spesso scivolano nell’irrisolto. Ci sono, di tanto in tanto, riferimenti a un generico “tu che leggi”, ma l’impressione è che Tuena abbia scritto un libro considerando tutto fuorché un lettore ideale. Non è necessariamente un male, Le galanti è un libro complesso che di sicuro riserva sorprese. Manca, però, lo slancio che sollecita la curiosità di saperne sempre di più rispetto a quello che viene raccontato.

CI CONVINCE: Tuena ha una grande capacità introspettiva, intreccia in modo singolare erudizione e trasporto emotivo. Non è sempre semplice stargli dietro, ma quando succede, quando ci si riesce a incastrare nelle sue aperture, si fa una grande esperienza di arricchimento.

NON CI CONVINCE: Le galanti è un’opera di più di 600 pagine. La lettura del solo estratto richiede una grande concentrazione e molta pazienza: se il rapporto tra sforzo e arricchimento è gestibile per 30/40 pagine, c’è il rischio che non lo sia più una volta entrati nell’ordine delle centinaia.

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