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Camera di smontaggio: pezzi da “L’istituto” di Stephen King

Negli ultimi tempi abbiamo assistito spesso alla discussione sul metodo che un lettore critico deve porsi rispetto a un testo. Il nostro punto di vista è che il metodo smonta-frasi senza contesto allo scopo di deriderle sia inopportuno, perché non ci piace deridere il lavoro degli altri, ma sia soprattutto fallace: quasi tutti i testi, soprattutto se romanzi, hanno in mezzo delle frasi brutte, insensate, sciatte o altro: fate la prova anche con i migliori classici e troverete abbastanza frasi da farvi dire “che?” e spingervi a scriverne una recensione sarcastica.

D’altro canto, siamo dell’idea che i testi “parlino” da sé, e che una serie di stralci messi in mostra, senza alcun accompagnamento critico, di analisi sull’autore, sul momento storico dell’uscita del romanzo, sui temi trattati, ecc, qualcosa da dire ce l’abbiano e siano in grado di significare almeno in parte la riuscita o la non riuscita di una scrittura. Questo è il nostro esperimento, la nostra camera di smontaggio.


smontaggio di Luigi Loi


L’ISTITUTO

di Stephen King
traduzione di Luca Briasco
Sperling & Kupfer

MOSTRARE L’EROE E L’AIUTANTE (LUKE&TIM)

Rimasero a guardare, affascinati e un po’ spaventati, mentre Luke sollevava le mani sui lati del viso magro dall’espressione intensa. La teglia di pizza non tremava più, ora era come se sbatacchiasse. Proprio la cosa che succedeva ai piatti nella credenza, ogni tanto. La teglia scivolò lungo il tavolo e cadde a terra. Herb ed Eileen non se ne accorsero quasi. Cose come quelle capitavano, quando Luke era triste o arrabbiato. Non spesso, ma neanche troppo di rado. C’erano abituati […] «Nessuno di noi due può capirlo. Ma dovresti continuare per la tua strada, Lukey, e cominciare a prepararti. Fare il test di ammissione. Puoi fare queste cose e puoi sempre cambiare idea, ma se non succede e rimani convinto della tua scelta… cercheremo di renderla possibile.» […] Luke scosse il capo, o perché era una delle poche cose che non sapeva, oppure perché non voleva rovinare la battuta al padre. «Se lo scruti, anche l’abisso scruterà dentro di te.»

«Ah, be’, poco ma sicuro», disse Luke. «Ehi, possiamo ordinare un dolce?» (pag 53)


A chiamare era stato lo sceriffo John, e andò dritto al punto. «Dubitavo che il suo capo fosse così mattiniero, perciò ho controllato in rete, signor Jamieson. A quanto pare si è dimenticato di accennare a un paio di cose, quando ha riempito il suo modulo. E non le ha tirate fuori neppure durante la nostra conversazione. Ha ottenuto un encomio per aver salvato una vita nel 2017, ed è stato agente dell’anno per il dipartimento di polizia di Sarasota nel 2018. Se n’è solo dimenticato?»

«No», rispose Tim. «Ho presentato domanda come guardia notturna d’istinto. Se avessi avuto più tempo per riflettere avrei scritto anche quello.» […] La spiegazione fu accolta da un lungo silenzio, poi lo sceriffo John disse: «Non so se definirlo eccesso di modestia o scarsa autostima, ma in entrambi i casi mi pare un atteggiamento fuori luogo. Capisco che mi sto spingendo un po’ troppo in là, considerato che ci conosciamo solo da ieri, ma sono un uomo che dice sempre quello che pensa. C’è chi sostiene addirittura che ho la lingua lunga. Mia moglie per esempio». Tim guardò la strada, i binari della ferrovia, le ombre che si ritraevano. Lanciò un’occhiata alla torre idrica […] e constatò anche un’altra cosa. Poteva ottenere il posto o perderlo, in quel preciso istante. Dipendeva da che cosa avrebbe detto. Il punto, allora, era uno e uno solo: lo voleva sul serio, quel lavoro, o era stato solo un capriccio ispirato da una storia di famiglia che riguardava il nonno Tom? «Signor Jamieson? È ancora lì?»

«Quel premio me lo sono meritato, C’erano altri agenti che avrebbero potuto ottenerlo: gente che ha lavorato con me, e che era in gamba. Ma me lo sono guadagnato.» (pag 23)

PRESENTARE L’ANTAGONISTA

Quella sera, quando la signora Sigsby fece il suo ingresso in sala mensa, magra e impettita, indossando un completo cremisi, una camicetta grigia e un unico filo di perle, non ebbe alcun bisogno di far tintinnare il bicchiere con un cucchiaino, per ottenere l’attenzione dei presenti. Il chiacchiericcio cessò all’istante. I tecnici e i sorveglianti si affollarono sulla porta che dava sulla sala ovest, e perfino il personale della mensa lasciò le cucine, fermandosi dietro il buffet delle insalate. «Come molti di voi sanno», esordì la signora Sigsby con voce stentorea ma gentile, «tre sere fa c’è stato uno spiacevole incidente qui in sala mensa. Secondo alcune voci e pettegolezzi, in quell’incidente sarebbero morti due ragazzi, ma questo è assolutamente falso. Non uccidiamo bambini qui all’Istituto.»

La signora Sigsby annuì a destra e a manca mentre usciva dalla sala tra gli applausi, camminando con la testa alta e le braccia che dondolavano avanti e indietro, disegnando dei piccoli archi perfetti. Un sorriso appena accennato, che Luke trovò enigmatico come quello di Monna Lisa, si era disegnato agli angoli della sua bocca. I camici bianchi si scostarono per lasciarla passare […] Continuando ad applaudire, Avery si avvicinò a Luke e sussurrò: «Ha mentito su tutto». Luke rispose con un cenno del capo e inviò all’amico un breve messaggio mentale: Continua ad applaudire. (pag 245-247)

FIDUCIA NEL PROSSIMO

«Ho avuto un bel po’ di guai. Signore, non è che per caso ha qualcosa da mangiare? O da bere? Ho una fame e una sete tremende.»

Senza staccare gli occhi dall’orecchio mutilato di Luke, il tizio bianco – Mattie – si frugò in una tasca e tirò fuori un mezzo pacchetto di caramelle Life Savers. Luke lo afferrò, strappò la carta e se ne ficcò quattro in bocca. Avrebbe giurato che tutta la sua saliva fosse stata assorbita dal corpo assetato, e invece la sentì invadergli la bocca, erompendo da chissà quale fonte misteriosa, e lo zucchero gli raggiunse il cervello con la potenza di una bomba. […] Mattie si grattò la testa. «Non lo so. Sei un ragazzino, e sei ridotto piuttosto male.»

«Finirò ancora peggio, se quegli uomini mi prendono.»

Credimi, pensò con tutte le sue forze. Credimi, ti supplico. (pag 348)

IL MOSTRO MITE

«Lei è Tim Jamieson.» Il visitatore tese la mano. Tim la guardò, senza stringerla. «Esatto. Con chi ho l’onore di parlare?»

L’uomo biondo sorrise. «Diciamo che mi chiamo William Smith. Comunque, questo è il nome sulla mia patente.» Smith era venuto fuori giusto, ma questo era diventato quefto, e sulla, fulla. Una zeppola, ma non delle peggiori. (pag 538)


«Ricostruiremo tutto», disse Smith.  «Se c’è tempo, ovviamente, con il mondo che precipita come la macchina di un bambino lungo una discesa senza nessuno alla guida. Sono venuto per dirvi anche questo, per avvisarvi. Niente interviste. Niente articoli. Niente thread su Facebook o su Twitter. Le storie che raccontereste susciterebbero un sacco di risate, ma state pur certi che noi le prenderemo sul serio. Se volete continuare a vivere, tenete la bocca chiusa.»

Il ronzio stava crescendo d’intensità, e quando Smith tirò fuori il pacchetto di American Spirits dal taschino della camicia, la mano gli tremava. Il tizio che era sceso da quell’anonima Chevy era sicuro di sé e aveva la situazione in pugno. Quello che adesso Tim aveva davanti. Don il difetto di pronuncia sempre più accentuato e  le macchie di sudore che si allargavano sotto le ascelle, era un altro uomo. (pag 552)

PUNTO DI LUCE

Tim esitò. Non voleva pensare che quanto avrebbe detto potesse influenzare drasticamente il modo in cui quella ragazza avrebbe vissuto il resto della vita: non voleva in alcun modo assumersi quella responsabilità, ma temeva che le cose stessero esattamente così. Anche i ragazzi si erano messi in ascolto. E in attesa. Non aveva poteri psichici, ma c’era un potere che solamente lui poteva vantare: era l’unico adulto. E quei ragazzini volevano sentirsi dire che non c’era nessun mostro sotto il letto. (554)


Le impronte digitali di Russ sono ovunque nel libro ce avete appena letto, dai test BDNF per neonati (sì, è tutto vero, anche se mi sono riservato un margine d’invenzione), al modo per creare gas velenosi utilizzando normali prodotti per la casa (mi raccomando, bambini non provateci). Ha verificato ogni fatto e ogni frase, aiutandomi a ottenere quello che è sempre stato il mio scopo: rendere plausibile l’impossibile. (pag 564)

 

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