di Giacomo Faramelli
All’inizio c’è solo una bara vuota avvolta nella bandiera americana che sfila lenta per le vie di New Canaan, Ohio. È il funerale solenne di Rick Brinklan, figlio lucente della Rust Belt nato a metà degli anni ottanta, promessa della squadra di football del liceo, arruolatosi come tanti coetanei dopo l’11 settembre e morto in guerra. L’intera città saluta il feretro lungo la strada, tutti i suoi ex compagni di scuola sono tornati nella provincia profonda per rendergli omaggio, tutti tranne i quattro protagonisti di Ohio, Stephen Markley (Einaudi Stile Libero BIG, trad.ne Cristiana Mennella).
I quattro protagonisti, che scandiscono uno dopo l’altro il tempo della narrazione, tornano a New Canaan sei anni dopo il funerale del loro ex compagno. Convergono “su questa cittadina dell’Ohio da nord, sud, est e ovest” su quattro macchine diverse, incrociando le loro esistenze attuali e le loro esperienze da ragazzi. È proprio Markley, ultimo prodotto della prestigiosa scuola di scrittura Iowa Writer’s Workshop, classe ’85 e al suo primo romanzo, ad avvertirci nel prologo della continua sovrapposizione temporale in cui i ricordi del liceo, un passato aureolato di una luce dorata che scopriremo essere postuma e posticcia, e la durezza ruvida e senza sconti dell’età adulta si mescolano nelle voci e nei pensieri dei protagonisti: “difficile dire dove finisca questa storia o come sia cominciata, perché una delle cose che alla fine imparerete è che il concetto di linearità non esiste. Esiste solo questo sogno collettivo scatenato, incasinato, incendiario in cui nasciamo, viaggiamo e moriamo tutti.”.
Ad aprire il romanzo è il meno riuscito tra i personaggi di Markley, la coscienza critica di una generazione che è diventata adulta all’ombra di un perenne concetto di crisi: terroristica, terroristica e ambientale. Bill Ashcraft, ex campione di basket al liceo, è un attivista politico democratico in disarmo, disilluso e cinico. Nel fumo ottundente di una continua intossicazione da droghe, antidolorifici e alcol, Bill Ashcraft muove verso casa da una Louisiana spettrale. Lungo il viaggio gli vengono incontro “solo dolore, chiese, alta incidenza di tumori e golosa cucina del bayou”. Bill sta portando con sé un misterioso pacchetto e i ricordi dei vecchi tempi: Lisa Han, la sua storica fidanzata scappata di casa durante il liceo, l’amicizia e la rivalità con Rick, il desiderio cupo e sordo per Kaylin la fidanzata del suo migliore amico. Il personaggio di Ashcraft è l’equivalente millennial dei ragazzi terribili di Meno di Zero (Bret Easton Ellis, Einaudi, traduzione di Marina Caramella). Il carico nichilista è lo stesso, così come il costante dialogo interiore in cui la voce della propria coscienza è diluita nei bicchieri, mitigata da pasticche e droghe di ogni genere ma in più c’è una consapevolezza lucidissima delle grandi questioni pendenti sulla testa di una intera generazione – visto il numero di lame minacciose lo chiameremo: il puntaspilli di Damocle -, a volte didascalica e dichiarativa ma sempre puntuale come una continua nevrosi, che fa di Ashcraft l’alter ego di Markley nel romanzo. Una tensione tra istanze, modi di pensare e nostalgia per tempi mai davvero vissuti che si avverte con maggior facilità nei successivi racconti di Stacey Moore e Dan Eaton.
Stacey è una dottoranda affermata, gira il mondo studiando gli effetti del cambiamento climatico, e torna a New Canaan per ritrovare Lisa Han, la ragazza di Ashcraft, che le ha fatto scoprire la sua omosessualità. Anche in questa seconda parte Markley traccia un solco lungo la faglia che divide due idee dell’America odierna: una progressista e aperta alle istanze di cambiamento e una conservatrice, fino al limite estremo della deriva teologica. Riportando tutti a casa l’autore ambienta i conflitti all’interno delle famiglie: Stacey affronta i feroci demoni del passato, gli attacchi della madre di Lisa che le ha scoperte a letto insieme, le infinite discussioni sulla cura dell’omosessualità con suo fratello, pastore della chiesa di New Canaan.
Eppure nonostante alcune divagazioni retoriche di stampo ambientalista, l’episodio di Stacey ha una forza intrinseca che lo rende scintillante, e la iscrive di diritto tra le mie nuove eroine preferite, “perché quando la tua mente conscia è continuamente consumata dalla devastazione gratuita, dall’oblio, non hai altra scelta che sognare il coraggio”.

Forza e debolezza. Vigliaccheria e coraggio. Dopo la lucentezza di Stacey Moore arriva il cuore scoperto di Dan Eaton. Reduce dell’Iraq, tornato a casa senza un occhio, Dan è un uomo buono che torna a New Canaan per incontrare nuovamente Hailey suo primo e unico amore, mentre il ricordo di Lisa Han, la sua migliore amica, non lo abbandona mai. Lettore accanito, incapace di superare la sua orribile esperienza in guerra e di riadattarsi a una America che più che non riconoscere non ha mai saputo davvero, trascorre le sue giornate tra un lavoro nell’industria estrattiva (ancora, di rimbalzo, l’ambiente), e il capezzale di un commilitone, Rudy, ridotto ad un vegetale capace di comunicare col mondo esterno solo con un mugolio. Le pagine di Eaton, scevre da qualsiasi forma di compatimento, sono tra le più vere di Ohio. Quando Dan Eaton si immerge nella pozza nera della guerra al terrore non ci sono sconti, giustificazioni reducistiche o retorica che tenga. C’è molta poesia e una tale mole di verità – a tratti indigeribile come nelle pagine della scelta della protesi per l’occhio – da rimandarmi a un altro libro che ha saputo raccontare l’esperienza dei nuovi reduci americani: Yellow Birds, di Richard Powers, poeta e reduce di guerra (Einaudi, trad.ne di Matteo Colombo). Un romanzo che attraverso una scrittura lieve e delicata ha saputo raccontare la tragedia di un decennio di guerre americane attraverso gli occhi di due ragazzi arruolatisi per rabbia e per mancanza di alternative, e che trovano in Dan Eaton un ottimo e dolente compagno. Memorabile l’incontro-scontro tra un Dan Eaton dolente e Bill Ashcraft, fatto come una pigna, che inizia sulla tomba del comune amico Rick. Mentre Bill si chiede quale compagnia industriale abbia guadagnato dalla morte del loro amico, Eaton lo gela: “-Come hai passato le guerre, Ashcraft?
-Protestando.
-E ha funzionato?
-Mica tanto ora che ci penso.”
Per ultimo il racconto di Tina Ross, cheerleader abusata brutalmente da Todd, suo fidanzato del liceo e dai suoi compagni di squadra, filmata, e costretta a rivivere l’incubo fino al diploma. Tina è poco lucida, dai tempi del liceo si è accontentata di uomini e lavori modesti, incapace di andare oltre al suo unico obiettivo: la vendetta. Un tragico epilogo per una vita vissuta di riflesso ai fatti del liceo.
È solo in quest’ultima parte che il mistero de “l’omicidio che non c’è mai stato”, una voce lugubre che aleggia sulla città, trova finalmente una sponda nella realtà, in un finale che ricuce tutti gli strappi, riannodando i fili sparsi delle vite dei quattro protagonisti, degli amici morti in guerra o per droga, di Lisa Han, e delle figure sullo sfondo, compagni di scuola schiantati dal peso della vita nella provincia profonda dell’impero.
“New Canaan, sclerotica in ogni sua manifestazione. Lenta ad adattarsi alla fuga della manifattura verso remoti angoli d’Oriente, alle urgenze crescenti di una nazione che mutava a livello demografico, e ovviamente alla tolleranza dei comportamenti non eterosessuali. “, è il quinto protagonista del romanzo. Lo sfondo, la scenografia e il pungolo che muove le ragioni e i comportamenti di tutti i personaggi di Ohio.
Un luogo che sembra vivere una propria vita con sentimenti e scopi. Capace di incubare e cullare per poi distruggere i sogni di un’intera generazione rimasta intrappolata nei confini della contea, una cittadina piena di negozi sfitti, quartieri residenziali e parchi per roulotte, stabilimenti industriali dismessi e campi da football, da cui fuggire alla prima occasione, verso le grandi città delle coste, o un’altra provincia in cui ricominciare anche se “nessuna cittadina del midwest si era salvata davvero. Le attività chiudevano, la gente andava a chiedere lavoro nei centri commerciali e nella grande distribuzione. Guida in stato di ebbrezza, chiamate per violenze domestiche, suicidi e aggressioni avevano conosciuto un’impennata.”

È stato leggendo queste due descrizioni di quest’angolo dell’Ohio del nord-ovest che non ho potuto fare a meno di pensare che l’autore stesse raccontando allo stesso tempo uno stato rurale statunitense e l’Umbria, o la provincia abruzzese, laziale, o qualsiasi provincia italiana ed Europea de-industrializzata, soggetta a emigrazione, incapace di accettare e assimilare i cambiamenti che le piovono addosso in grandinate sempre più fitte e devastanti.
New Canaan si riflette tanto nelle poderose descrizioni che ne fa l’autore quanto negli occhi e nelle parole dei rimasti: spacciatori col pallino del sogno americano, ragazze madri che galleggiano sul limite della sussistenza, coppie che si scelgono per mancanza di alternative, ricchi figli di papà col pallino del bogaloo (per capire di cosa sto parlando leggete questa spiegazione tratta da Il Post) che progettano attentati contro le moschee.
Detto della storia, del suo intreccio e dell’ambientazione, un cenno di merito alla lingua di Stephen Markley. Che procede nel racconto con una voce subito riconoscibile e potente, capace di mantenere un certo contegno epico anche quando cita i Backstreet Boys (e non potrebbe essere altrimenti, aggiungo), modulata sulle inflessioni e i tic dei suoi protagonisti e comprimari, capaci di ricavarsi una memorabile impressione anche con poche battute.
In conclusione siamo di fronte ad un nuovo tentativo di Grande Romanzo Americano? No, qualsiasi cosa voglia significare e comprendere questa enorme e gravosa definizione. MA. Siamo in presenza del più vivo e pulsante tra i romanzi americani dei Millennials. Il grande romanzo americano dei nati negli anni ’80. Ohio racconta con grazie e potenza la vita e i percorsi dei trentenni nati ai margini dell’impero delle luci occidentale.
Le delusioni nate dalle aspirazioni più ingenue, il dolore esploso all’improvviso accettato come una compagnia costante, la perdita progressiva di possibilità e scelte futuribili resa più pressante e stringente dalla contingenza geografica, le fughe nei posti più lontani e impensabili, così come in quelli più scontati e ovvi, le continue minacce al futuro, inteso prima come orizzonte politico e militare, poi economico e finanziario – con un progressivo impoverimento – e infine ambientale, con la possibilità estrema di un’estinzione della specie umana. Ecco l’orizzonte di una intera generazione. E nonostante tutto c’è in queste pagine una speranza irrazionale e proprio per questo solidissima: molto, moltissimo amore. Sofferto e difficile come potrebbe esserlo “cercare di dire amore in un’epoca antecedente la parola.”. Nel grande romanzo dei Millennials, nelle loro vite di provincia c’è poi un’ultima forza. Una risorsa incredibilmente nascosta negli spiriti più impensabili, nei Bill e nelle Stacey, nei Dan e persino nelle Tina di tutte le province dell’Occidente: coraggio. Ohio e questo ragionamento sul grande romanzo dei Millennials, si concludono con l’invito che Stephen Markley fa a sé stesso, ai suoi personaggi e coetanei e a tutti i suoi lettori. Lo pronuncia il più sdrucito e arruffato di tutti, Bill Ashcraft, rivolgendosi a Stacey e ad ognuno di noi: “Devi lottare come una dannata. È l’unica cosa in cui ho mai creduto davvero. Lottare, sempre, come dannati.”.