di Marco Malvestio
Costellazioni del crepuscolo di Francesco Permunian (Milano: il Saggiatore, 2017) è la riedizione di due libri, Cronaca di un servo felice (1999) e Camminando nell’aria della sera (2001). L’iniziativa del Saggiatore, che si conferma una casa editrice molto attenta nel selezionare un catalogo coerente nel gusto e nello spirito, è lodevole, e si accompagna alla bellezza del volume fisico, che mostra in copertina la potente e desolante fotografia di Giorgio Barrera. I due testi contenuti nel volume sono romanzi solo in senso lato (e il primo molto più del secondo), risultando piuttosto collezioni di appunti, di divagazioni, di personaggi e storie fluttuanti, tutti filtrati attraverso lo sguardo di un narratore cinico e a tratti morboso – il servo Ermete nel primo libro, il medico nel secondo.
Cronaca di un servo felice racconta, attraverso la voce di Ermete, la girandola di figure grottesche (preti bigotti e arrivisti, servi irrispettosi, intellettuali in disarmo) che ruota intorno alla ancora più grottesca Contessa Pallavicini, una decrepita erotomane che parla coi fantasmi degli amanti e della nipote – mentre il servo, a sua volta, progetta un matrimonio con la propria fidanzata Griselda, una bambola gonfiabile. In Passeggiando nell’aria della sera, è il medico di un paese sulla riva del Garda a raccontare, attraverso aneddoti brevi, gli abitanti, i loro vizi, le loro ossessioni che sfociano nella mania clinica.
Scrive Permunian di avere intitolato Costellazioni del crepuscolo, inizialmente, proprio una raccolta di appunti esclusi da Cronaca di un servo felice e destinati a formare la base dell’ispirazione di Camminando nell’aria della sera: “un titolo provvisorio e alquanto aleatorio il quale stava a indicare quella miriade di figure, mezze figure, figurine ed episodi anche minimi che, a mo’ di costellazioni grottescamente pulviscolari, ruotavano attorno ai due centri gravitazionali del libro: la vecchia contessa e il suo servo fedele” (p. 185). Si trattava, prosegue, di “un vero e proprio incubatorio letterario – un’arca di inesauribili incubi contagiosi e deliranti” (p. 185).
Che l’intero volume prenda il titolo non dai romanzi (perché, per quanto corali, sempre di romanzi si tratta) ma dagli appunti che lo compongono è sintomatico della sua natura aneddotica e digressiva, che rappresenta insieme pregio e il difetto di questa scrittura. Infatti, la descrizione del brulicare senza senso della vita di provincia ne restituisce l’allarmante, inquietante immobilità – nessuno si sposta, nessuno esce, ma tutti i personaggi restano inchiodati nella claustrofobia dei luoghi che abitano a bruciare nelle loro ossessioni senza senso, come la maestra che per decenni si scrive lettere d’amore da sola o il letterato fai-da-te che passa il tempo a limare il proprio necrologio.
Già il titolo Camminando nell’aria della sera suggerisce un’idea di flânerie che però, paradossalmente, non prevede alcuno spostamento: il medico protagonista non si muove mai dal paese, giudica dalle proprie stanze buie. Allo stesso tempo, però, la descrizione impressionistica di questa umanità si traduce in una genericità disarmante: quando parla della vita di provincia, Permunian (forse per rimanere legato a un tempo sospeso, a un tempo fuori dal tempo) descrive figure stereotipate, chiuse in pose macchiettistiche – il sagrestano ubriacone, il prete intrigante, lo scrittore vanitoso, e così via. Anche per questa ragione, Cronaca di un servo felice è infinitamente superiore a Passeggiando nell’aria della sera, perché la preminenza delle due figure del servo e della Contessa obbligano l’autore alla lunga distanza e all’approfondimento, mentre il secondo libro si riduce a pochi cenni a personaggi e situazioni privi di originalità.

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Se a Permunian non viene dunque bene la descrizione della vita, viene molto meglio quella della morte. Costellazioni del crepuscolo è affollato di notturni, di descrizioni delle zone liminali tra il regno dei vivi e quello dei morti che compendiano ed espandono la descrizione della provincia immobile, di una sonnolenza che confina con l’eterno riposo
“Un giardino deserto dove vagano ombre sfilacciate. Un giardino dove, ascoltando in silenzio, è possibile udire distintamente un rantolo che sale dalle viscere della terra” p. 188
La grande efficacia di queste descrizione deriva dalla loro natura fondante e non accessoria nell’economia dei testi:
“In queste sere di febbraio, l’ora del tramonto mi sorprende con l’infinita malinconia che invade la piazza nel momento in cui si accendono i lampioni, quando il lago è grigio, grigi i monti all’orizzonte. L’aria si riempie di ombre e di silenzio, interrotto soltanto dal fischio di qualche treno che si perde nella campagna. E nel silenzio rimbomba l’eco dei giorni passati; ascoltando con attenzione si possono udire addirittura le voci dei nostri morti. […] Il loro confuso mormorio sale attraverso le fessure delle pietre e si stende come una nebbia invisibile sopra i sassi del selciato, avvolgendo quei pochi avventori che ancora si attardano al caffè. E i vecchi come me, solitari e disperati dietro una finestra” p. 201
Se è vero che c’è un’eco di stereotipia anche in una descrizione come questa, c’è d’altra parte un grande equilibrio, una armonia funerea che, estendendosi a tutto il libro, risveglia dal torpore in cui calano i suoi bozzetti stanchi. In altre parole, il lavoro di Permunian può essere goduto davvero solo se letto come effetto atmosferico, come esercizio di paesaggio o di notturno, invece che come prova narrativa.
Dopo aver letto un po’ qua e un po’ là qualche pezzo di libri di PERMUNIAN
ciò che scrive Permunian mi fa l’impressione di un epitafio tendenzialmente acrimonioso sulla tomba d un mondo ormai troppo lontano . Per dire, la cosa della bambola d plastica della cronaca del servo felice avrebbe potuto (siamo in quegli anni) essere un tema di Aldo Nove di Superwoobinda, ma, qui, sarebbe stato un apertura sugli stravolgimenti indotti dalla società dei consumi e ci avrebbe quindi proiettato in avanti nellacomprensione del mondo in cui viviamo, invece Permunian si chiude nella rappresentazione dei cascami perversi di un mondo gretto e provinciale in disfacimento le cui perversioni non hanno molto da dirci. E’ come se Permunian fosse rimasto invischiato con una vena come dicevo di acrimonia e tanta necrofilia in quel mondo piccolo borghese che ci descrive. Anzi addirittura adesso mi immagino che tra un po’ di anni in un mondo ormai geneticamente modificato nelle menti e nella composizione sociale, Permunian venga classificato, contrariamente alle sue intenzioni, come il cantore nostalgico di un mondo e di una classe sociale scomparsi
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