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Gli Editoriali. Valeria Veneruso (minimum fax)

Redattori, social media manager, impaginatori, uffici tecnici, consulenti e ancora altri: sono loro gli editoriali, persone che lavorano i libri prima che diventino libri. Chi sono, cosa fanno e come lo fanno: una serie di domande per scoprire qualcosa di più sui mestieri dell’editoria.

Valeria Veneruso è nata a Napoli e vive e lavora a Roma. Dal 2014 è redattrice alla minimum fax.

Come hai iniziato e perché?
Conoscevo uno scrittore che ammiravo tantissimo, un pazzo visionario lucidissimo che ha avuto poca fortuna, e a lui avevo confidato quelli che mi apparivano come capricci/ossessioni, il difetto sulla fronte da nascondere col ciuffo (ce l’ho davvero – il difetto, dico). Ebbene sì: appartenevo alla schiera di coloro che leggono libri, liste della spesa, menu, etichette sui flaconi di detersivo e ci fanno un giro di editing. Fatto sta che quest’uomo qui mi ha convinta a provarci, ma puntando in alto: dovevo diventare la sua agente editor e toglierlo dal pantano.
All’epoca mi schernivo e svicolavo, davo svogliatamente esami di diritto all’università (i tomi di diritto: una manna per i feticisti della schiera di cui sopra) e poi un giorno sono andata a fare un giro a Galassia Gutenberg, ho comprato American Dust di Richard Brautigan e dentro c’era il segnalibro di un’agenzia letteraria che organizzava corsi di editoria. È stato l’inizio dell’inizio, credo. Un disastro. Il corso, dico.
Dopo la delusione decido di fare un altro corso di editoria. Inaspettatamente va meglio, imparo davvero, mi sento come un pisello nel suo baccello, comincio a capire che quel che mi affascinava del mestiere dell’agente letterario è lo stare dietro le quinte, manovrare gli aggeggi adatti per aiutare qualcun altro a venir fuori. Di quel corso divento tutor e a quel corso, tra l’altro, conosco un (allora) giovane docente che per puro caso è anche chi conduce quest’intervista. Stage, collaborazioni occasionali retribuite, collaborazioni più o meno stabili non retribuite, lavori in altri campi per campare ma mi manca qualcosa. Ti dirò, secondo me ci vuole un altro corso di editoria, perché io quei flaconi li voglio distruggere. Però alziamo il livello di difficoltà, lasciamo il lavoro, rinunciamo a un altro succoso contratto spuntato nel frattempo in gioco dal nulla e andiamo a Roma.

venerusoCome e quando sei arrivata alla minimum fax?
A Roma frequento il corso “lungo” di minimum fax, mi scelgono per fare uno stage in un’agenzia letteraria, ne divento collaboratrice, divento tutor del corso minimum fax (il difetto sulla fronte sta diventando il segno di Damien – cfr. Il presagio (The Omen), 1976 non a caso), continuo a lavorare come redattrice freelance – per minimum e per altri editori – e proprio quando sto pensando di abbandonare tutto perché non si vive di soli flaconi l’allora caporedattore mf mi chiama per un colloquio. Dal 2014 non c’è ciuffo che tenga, mi sa.

Quali sono le tue mansioni, nello specifico?
Mi occupo di impaginazione, correzione di bozze, microediting, coordinamento in fase di stampa, rapporti col nostro studio grafico, con i collaboratori esterni e in generale di tutte quelle operazioni che io chiamo burocrazia e che, giuro, non sempre è noiosa come sembra: dalla stesura dei folder per i promotori alla creazione delle anagrafiche delle novità per il distributore, dall’acquisto dei codici Isbn all’iscrizione dei titoli ai lanci, e soprattutto cancello dalla lista sulla lavagna i lavori che sono diventati parallelepipedi in libreria: cosa fatta capo ha.

Qual è il tuo flusso di lavoro e quali programmi utilizzi?
Non sono molto sicura di sapere cosa intendi per flusso di lavoro. Forse perché è un casino, ma un casino elettrizzante, soprattutto da quando sono arrivate le bellissime bambine di Enrica, la caporedattrice di cui sono luogotenente: devo sentire gli editor e i traduttori, fissare scadenze sulla base del lavoro redazionale vero e proprio, ragionato sul singolo libro, che spetterà poi a noi soldatini di bozze® portare a termine; coordinarmi con i grafici, l’ufficio stampa e quello commerciale per fare in modo che un libro o una copertina arrivi ai media, in libreria e alle fiere di settore in tempo utile e rispettando il budget stanziato a monte.
Nello specifico, mi accerto che quello ricevuto da editor, traduttori e curatori sia davvero il file definitivo, procedo a una pulizia e a una messa a norma iniziale lavorando su Word, dopodiché impagino con InDesign controllando che la formattazione sia quella del testo in lingua originale se si tratta di una traduzione, adattandola a quella scelta dalla nostra casa editrice, inserisco i paratesti, le eventuali immagini precedentemente trattate in Photoshop e cerco di domare le favolose Erinni che vanno sotto il nome di orfane&vedove (fra redattori si possono trascorrere ore simpaticissime sul tema «Ma l’orfana è quella a fine o a inizio pagina?»; io sono della scuola “Inizio pagina”), facendo in modo che il libro sia corretto, sì, ma anche esteticamente gradevole: a mio parere si tende sempre più spesso a sottovalutare quest’aspetto, forse proprio perché se un libro è impaginato in modo ottimale, per esempio con una sillabazione cristiana, non ti fermi a dire: «Apperò, complimenti a chi ha impaginato!», semplicemente leggi, e la storia che stai leggendo potrà piacerti o farti schifo, ma sarà solo quella a prenderti.
Dopo il tetris si passa alla correzione su carta, e qui si apre un altro mondo: fact checking, refusi da scovare, controllo sulla sintassi ma rispetto dello stile dell’autore, messa a norma, filo della storia da tenere, tensione all’uniformità: forma e sostanza, ma non tabula rasa elettrificata. La perfezione non esiste ma è in quella direzione che un redattore deve andare, anche soltanto perché fa bene disperarsi di fronte a un refuso più che evidente ma di cui ti accorgi a libro stampato. È capitato che ci scrivessero: «Complimenti! In questo libro nemmeno un refuso». Ciccio, fai solo più attenzone.

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Quali sono le risorse che hai sott’occhio e che ti aiutano durante il lavoro?
Vari vocabolari, chiaramente; il Sempre Sia Lodato Manuale di stile di Roberto Lesina, Grammatica italiana di Luca Serianni, le Garzantine, la Bibbia (oh, non sai che mano santa, a volte)… E poi, naturalmente, le norme redazionali: ormai le conosco abbastanza ma non si sa mai… In casi dubbi ho poi tutto il catalogo sugli scaffali della redazione, anche per capire in che modo sono stati trattati casi simili in passato: se soltanto uno avesse tempo e voglia si potrebbe ricostruire la vita di una casa editrice partendo dalle sue norme redazionali, e sarebbe un argomento affascinante per una tesi di laurea di un fissatone editor di flaconi di detersivo. E, certo, l’interpretabile, inaffidabile ma Sempre Sia Lodato/a Internet.

Qual è la cosa che più ti piace fare del tuo lavoro?
Tre in particolare.
1. Interagire con gli autori. Per quanto editing si faccia, quasi nessun testo è esente da imprecisioni, punti da specificare, ripetizioni da eliminare, errori fattuali, dilemmi da risolvere, frasi da far girare meglio. È la natura del libro, che solo apparentemente sembra lì immobile: in realtà va in giro a far danni appena guardi da un’altra parte. Per questo è preferibile che a occuparsi di un testo ci siano persone diverse in fasi diverse e, a maggior ragione, persone diverse in una stessa fase: l’occhio è l’organo più abitudinario del corpo dopo il cervello, quattro occhi vedono meglio di due e otto meglio di quattro. Far pace con i propri limiti è un piccolo passo per un uomo ma un grande passo per l’editoria di qualità. E poi diciamolo, beccare gli errori che nemmeno l’editor dell’edizione originale americana ha scovato è paragonabile alla soddisfazione che provo nel trovare la soluzione a una definizione delle parole crociate senza schema su cui mia madre sta impazzendo da settimane. Poi arriva il cugino che ne azzecca una ancora più difficile ma, sai che c’è?, va bene così: il gioco di squadra è un’altra cosa che mi piace, e sono fortunata a lavorare con persone altrettanto affezionate a quest’aspetto.
2. Imparare cose nuove. Non si finisce mai, mai, mai, mai, mai. Mai. Ma proprio MAI.
3. Trovare le “frasette” che mettiamo a fine libro, nei titoli di coda. A volte sghignazzo da sola per ore. L’ho detto che essere un po’ psicopatici aiuta?

Qual è la cosa che più ti annoia fare del tuo lavoro?
Noia… non saprei. Mi infastidisce moltissimo lavorare di fretta, questo sì, e purtroppo può capitare: inoltre, non lavori in una stanza insonorizzata, non puoi sempre metter su la musica che ti piace, ci sono mille interruzioni tra telefonate, mail a cui rispondere e colleghi con cui devi confrontarti. Ma credo che annoiarsi sia raro, se non quando ti tocca compilare modelli Excel per… ecco, io odio Excel e lui odia me, insieme ci annoiamo a morte.

Hai una norma redazionale che applichi a malincuore?
Sì, ma non la dico nemmeno se mi torturi infilandomi pasta e cavolfiori in gola con un imbuto.
Ti lascio una canzone che non c’entra assolutamente nulla:

Qual è quell’errore (o refuso) che ti fa saltare i nervi?
Ah! Quanti giorni hai? Ne dico due: “per intanto” (spero possa nascere una campagna virale sulla scia di quella portata avanti per “piuttosto che”): PER INTANTO NON ESISTE e lo accetto solo se chi parla è solito dire con convinzione “per nel frattempo” o se si chiama Carducci; “beneficienza” e “sì” senza accento. Sono tre e mi sono trattenuta.

Qual è il libro minimum fax sul quale hai lavorato con più piacere?
Non appena ho messo piede a minimum fax mi è stato affidato Beautiful Losers di Leonard Cohen e non riuscivo a crederci: ero (sono) legatissima a questo libro, era arrivato in un momento importante della mia vita e tornava in un momento importante della mia vita. E poi Cohen mi ha messa subito alla prova con mille problemi relativi all’impaginazione: dentro ci sono immagini, locandine, c’è il greco, glifi assurdi e la pazzia dell’autore. È l’unico libro di cui conservo gelosamente le cianografiche.
Quest’anno abbiamo pubblicato il nuovo libro di Simon Reynolds, Polvere di stelle, e dato che per me Retromania e Post punk sono manuali di storia da conservare sotto una teca di cristallo, ti lascio immaginare cosa ha significato lavorare a questo monumentale pozzo dei desideri.
Avevi detto uno? Mi dispiace.
Non posso non citare Il Cinghiale che uccise Liberty Valance: non solo è stata la mia prima volta allo Strega, con tutto l’esaltante bailamme del caso, ma soprattutto, insieme a Giordano Meacci, ci siamo praticamente inventati una punteggiatura alternativa: forse uno dei rari casi in cui l’ortografia si piega alle esigenze del testo. Ci siamo divertite come matte, nelle pause tra un esaurimento nervoso e l’altro.

Qual è il libro non minimum fax sul quale avresti voluto lavorare?
La pelle per scambiarmi mail con Malaparte, American Psycho che soddisfa la mia vecchia passione per i menu pieni di refusi, e il terzo non lo dico per scaramanzia: hai visto mai…

Qual è la caratteristica più importante per chi fa un lavoro come il tuo?
La pazienza; la capacità di sintesi (giuro, anche se da quanto ho scritto non si evince, e in fondo non è detto che io ne sia fornita, come della caratteristica al punto uno); la curiosità estrema per qualunque cosa: non sai mai da dove può venir fuori la soluzione alle parole crociate. Dai, forse tre è proprio il numero perfetto, e pensa che il mio numero fortunato è il sette…

Consiglia un libro che parla del tuo lavoro e che credi possa essere utile a chi voglia iniziare.
Oddio, ce ne sono tantissimi… e nessuno. Dico dei titoli (indovina? tre!) che hanno poco a che fare col lavoro del redattore in senso stretto ma che a me sono serviti per capire che volevo fare proprio questo mestiere qui: Martin Eden di Jack London, Il dio di carta. Vita di Erich Linder di Dario Biagi, Officina Einaudi di Pavese. Se invece dei “miei” libri ti frega poco e desideri un approccio più diretto alla materia: I mestieri del libro di Oliviero Ponte di Pino, Questo è il punto di Francesca Serafini, e Farsi un libro di Bandinelli/Lussu/Iacobelli sono spunti, anche divertenti, che possono far gola o farti desistere con gioia.
E (sette!) ovviamente un libro a caso tra quelli che si posseggono: sfoglia, cerca, lascia che la scimmia nervosa ti abiti la nuca (cfr. American Psycho).

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