Il realismo vive, e si chiama Richard Yates
Sono anni che ascolto annoiata le teorie anti-realiste. I dottissimi perché che scommettono sulla morte del “romanzo borghese” in favore ora della parodia, ora della distopia, ora dei plus-mondi, ora del racconto dell’antropocene, e ora di chissà quale categoria stagionale di cui il “dopo tutto questo” (l’emergenza covid) ci convincerà. La maggior parte delle volte il disprezzo per il realismo nasce da un accumulo di pranzi-di-famiglia, traumi-del-corpo, liti-di-coppia e tropi vari di cui effettivamente il realismo si serve non sempre con onore. Una messa in scena del chi siamo nella nostra vita reale: siamo insieme buoni e cattivi, coraggiosi e ignavi, traditori e pronti alla morte. Compiamo azioni positive e azioni negative dunque le compieranno anche i nostri personaggi. Tutto questo guardarsi e ricopiare non è allettante. Quando capita, il realismo delude. Ma giudicare un’arte dalle prove artistiche poco riuscite non è un esercizio corretto e in più crea un grosso equivoco. Si confonde il realismo con la mimesi, il realismo con lo specchio della realtà, con il guardare dal buco della serratura, con lo …