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4+1: cartografia degli Appennini di Sandro Campani

intervista a cura di Luigi Loi

4+1 è una madeleine fatta di libri: ogni scrittore ne sceglie quattro che più rappresentano la sua città e la sua terra, più uno, il jolly: il libro legato alla sua geografia sentimentale.

L’autore di oggi è Sandro Campani, e ci racconta gli Appennini.

Guido Bucciardi, Montefiorino e le terre della badia di Frassinoro. Notizie e ricerche storiche (1071-1321).
«Fin dai tempi medievali, la zona montuosa modenese, delimitata dalle valli dei torrenti Dragone e Dolo, in confine alla montagna reggiana, trovasi designata col nome generico di Terre della badia».
Quando avevo undici anni mio padre portò a casa questi tre volumi, ristampati dal comune. Così seppi perché quella oltre il muro di cinta che io e Davide scavalcavamo per quei funghi detti “imbuti” si chiamava Villa del Bucciardi. Aveva un intonaco rosa improbabile, e un parco di tigli e ippocastani.
Nell’ora alternativa a religione, studiai le storie di rocche assediate, di incendi e passaggi segreti, impiccati penzolanti dalle querce, uccisi dai modenesi che salivano dal piano.

Emilio Rentocchini, Ottave.
Sassuolo è ai piedi delle nostre valli, in riva al Secchia: non è più Modena e non è già Reggio; è dove si va giù a lavorare, pendolari incolonnati, a produrre piastrelle di ceramica. «I camion pieni rasi di terra rossa che vanno a razzo lungo la Caveriana, con l’ombra delle robinie al parabrezza e il telone slacciato che abbaia di lontano». Le case cresciute alla rinfusa sperimentando il peggio dell’architettura anni Sessanta-Ottanta, lo smog che da quassù vediamo netto come una coperta grigio scura, e pensiamo: anche oggi, andrò a respirare là dentro.
Rentocchini è un poeta del dialetto sassolese; conosce la luce dei portici, dei capannoni, sa parlare della vita descrivendo un’Apecar, ma niente retorica del rimpianto. Emilio, cos’è la scrittura?
«Imbattersi lenti e contromano / nel senso repentino delle cose».

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foto di giuseppe mondi

Silvio D’Arzo, Casa d’altri.
Sono arrivato tardi a Silvio D’Arzo: dopo aver letto un mio libro, qualcuno faceva quel nome; perciò ho cominciato Casa d’altri, e ho visto che era già tutto lì.
Non tanto l’ambiente (l’Appennino, la tristezza dei giorni che s’accorciano, il canto del maggio), o le storie minime in cui la vita passa dagli interstizi, quanto il ritmo: leggerlo ad alta voce, sentire nella bocca la sua musica, trovarla sorella in un modo quasi inquietante. Mi ero accordato al la degli americani, con l’orecchio di chi li traduceva, Pavese anzitutto; ho trovato un segno sul sentiero: non c’è più bisogno di estrarre la cartina. Come se da una terra, da un dialetto che sta implicito sotto l’italiano, non possa germogliare che musica simile, e imparare a cantarla abbia a che fare con la verità.

Giovanni Lindo Ferretti, Bella gente d’Appennino.
Non devo spiegare come Ferretti sia imprescindibile per la mia terra e la mia generazione, né alimentare il ronzio che lo avvolge se non corrisponde al santino cucitogli addosso.
Ferretti ha cantato la disperazione e la sazietà d’Emilia quando nessuno sospettava (e ancora ne spacciamo il luna park, rosso fiammante, promuovendo un’estetica dissociata, che descrive solo il fantasma di una posa).
Qui narra il radicarsi quotidiano; io vivo spiantato, Ferretti è il mio fuoco nel camino. «Non ho speso bene i miei giorni. Molti li ho sciupati, di molti sono stato spettatore. Troppi li ho macerati, estenuanti, in una sequela di tensioni senza soddisfazione, in guerra con tutto e con me stesso. Me ne sono liberato, a volte con fatica sempre con sollievo».

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foto di julian zett

John Steinbeck, Al dio sconosciuto.
Di nuovo, era già tutto lì. Trovai i libri di Steinbeck in casa. Leggevo della valle del Salinas e ci vedevo la mia. Le colline, il torrente. Sì, a un certo punto apparve il mare, per un sacrificio al tramonto; ma a pensarci, quando il papà mi portava sul crinale vedevamo le Apuane, e anche al di là di quelle c’era il mare, a ovest come nel libro.
In quel paesaggio c’era la potenza biblica; c’era il senso panico che avrei avuto addosso. Quando guardi una cosa, non è solo la cosa. Una certa luce la colpisce. Come puoi dire quella luce? In copertina c’era una quercia, enorme, e davanti un uomo sparuto. Dentro c’erano i boschi e i campi, il secco e la pioggia, la tragedia, e un albero era il padre ed era Dio. Tutto era lì.

Sandro Campani è nato nel 1974 ed è cresciuto in Val Dragone, nel comune di Montefiorino. Sua madre è dell’Appennino modenese, suo padre dell’Appenino reggiano. Ora vive in provincia di Reggio Emilia. Ha pubblicato È dolcissimo non appartenerti più (Playground 2005), Nel paese del magnano (Italic Pequod 2010), La terra nera (Rizzoli 2013), Il giro del miele (Einaudi 2017). Canta e suona con gli Ismael; collabora come autore di testi con altri musicisti.

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