Redattori, social media manager, impaginatori, uffici tecnici, consulenti e ancora altri: sono loro gli Editoriali, persone che lavorano i libri prima che diventino libri. Chi sono, cosa fanno e come lo fanno: una serie di domande per scoprire qualcosa di più sui mestieri dell’editoria.
Lavinia Azzone è nata nel 1979 a Roma dove vive e lavora. Dal 2017 è a Fandango, prima ha lavorato per Isbn e nottetempo, ha collaborato con Voland, Playground, Emons Libri & AudioLibri e Giunti. Oltre alle esperienze editoriali, ha collaborato come autrice al progetto di Concita De Gregorio Cosa pensano le ragazze? e alla trasmissione di Rai3 FuoriRoma.
Come hai iniziato e perché?
Ho iniziato per caso, ho studiato Lettere moderne, non volevo insegnare e non ho mai pensato a nessuna altra collocazione più naturale di una casa editrice. Mi è sempre piaciuto studiare e leggere, quindi ho prolungato la mia vita di studentessa e continuo ancora adesso. Ho iniziato con uno stage da Voland con Daniela Di Sora che al tempo aveva la storica sede a via del Boschetto, una specie di bottega artigiana dove i libri entravano autori e uscivano carta. Poi sono andata per un anno a Milano nel cantiere che avrebbe portato alla nascita di Isbn, poi dal 2006 a nottetempo.
Come e quando sei arrivata alla Fandango?
Sono arrivata a Fandango nell’aprile del 2017. Alessia Polli – l’editor di narrativa di Fandango Libri per moltissimi anni – aveva deciso da poco di approdare ad altre spiagge, e io in quel mentre ero nella squadra di Concita De Gregorio che lavorava al programma di Rai3 FuoriRoma. Tiziana Triana, la direttrice editoriale di Fandango – che conosco lavorativamente da anni e amichevolmente quasi dallo stesso tempo – cercava qualcuno che sostituisse Alessia e condividesse l’idea di una editoria resistente. Lì ho trovato Sabina De Gregori, il nostro ufficio stampa, e insieme abbiamo cominciato l’avventura degli ultimi due anni.
Quali sono le tue mansioni, nello specifico?
Sono un editor di narrativa, prevalentemente italiana, ma nelle case editrici di medie dimensioni si impara a svolgere più ruoli e ad avere più mansioni insieme e spesso contemporaneamente. Quindi mi occupo degli autori italiani, ma faccio anche revisioni se necessario dall’inglese e dal tedesco, leggo libri in lingua e via dicendo. Il bello di lavorare per editori non enormi è che non ci si sclerotizza in una mansione ma si ha modo di seguire la nascita di un libro dalla carta pinzata alla scelta delle copertine. Non credo riuscirei a seguire solo un pezzo della filiera.

foto di dan gold
Come si svolge praticamente il tuo lavoro e quali programmi utilizzi?
Inizio sempre dalla carta, una lettura filata e una con la penna in mano per annotarmi tutto quello di cui devo parlare con l’autore. Prima di mettermi io sul file mi confronto con chi ha scritto il libro, quando arriva una versione 2.0 torno di nuovo sulla carta e riporto tutte le proposte di modifica sul file in Word. E andiamo avanti così con revisioni e con commenti con l’autore finché non raggiungiamo una versione che soddisfi entrambi, per quanto devo ammettere che tendo a non essere impositiva, la responsabilità ultima è dell’autore, anche nel caso in cui io non sia d’accordo.
Quali sono le risorse (testi, siti o altro) che hai sempre sott’occhio e che ti aiutano durante il tuo lavoro?
Ho tutti i dizionari possibili aperti sotto mouse, enciclopedie e dizionari dei sinonimi, per me tutto parte sempre dalle parole e dal modo in cui si collegano, parole dell’autore e parole italiane in generale. Se parliamo di revisioni poi, le cose si complicano perché per l’inglese ci sono almeno tre monolingue che lascio aperti e cerco ogni tipo di ricorrenza per le frasi idiomatiche. Diciamo la scena di solito è quella di me che clicco segno e cancello e parlo da sola ripetendo le frasi.
Qual è il libro Fandango sul quale hai lavorato con più piacere?
Due, dammene due. Non ho moltissimi libri alle spalle con Fandango ma quello che mi ha più sorpreso per come è arrivato da noi e per l’iter di lavorazione è stato La bambina falena di Luca Bertolotti, un esordio di un quarantenne brianzolo che ha stregato tutta la casa editrice. Come tutti gli esordi è un libro eccessivo, che ha tutta la gioia di non dover rendere conto al mercato editoriale ma solo a sé stessi e al poco tempo che si trova per scrivere. Luca Bertolotti è un operaio che lavora in fabbrica, costruisce cucine, e il tempo che ha a disposizione è sul serio poco. Gli esordi sono sempre una sfida e un fattore di ansia per un editor, si sbaglia sempre, a conti fatti il lavoro che si fa risulta sempre mancante, ma nel libro finito, nel primo, si vede – se si è fortunati – la forma dell’autore che verrà e la forma di Luca mi mette molta allegria. L’altro è Carnaio di Giulio Cavalli, un libro che ha a che fare con noi, con l’Italia presente e futura, un libro la cui lavorazione ha avuto a che fare più con l’impegno politico che con l’impegno professionale. Forse è il libro in cui negli ultimi tempi mi sono riconosciuta di più, non solo nostro ma in generale.
Qual è il libro non Fandango sul quale avresti voluto lavorare?
L’estate che sciolse ogni cosa di Tiffany McDaniel pubblicato da Atlantide, di notte avrei cambiato la fine, sarebbe stato contro ogni deontologia professionale, ma ho talmente sofferto che secondo me non mi sarei trattenuta.
Qual è la cosa che più ti piace fare del tuo lavoro?
Direi praticamente tutto: leggere per la prima volta il libro che arriva, entrarci dentro, cercare le ricorrenze, le assonanze, la mappa che si nasconde tra le frasi, mi piace ricostruire i pezzi e riconoscere le intenzioni. Gli autori purtroppo mi interessano molto meno, soprattutto il sostegno psicologico agli autori, tendo un poco alla sociopatia, ma in casa editrice lo sanno e alla fine anche gli autori lo capiscono. Sono un bouquet di limiti.
Qual è la cosa che più ti annoia fare del tuo lavoro?
Le fiere, soprattutto quelle internazionali. Io le fiere le odio. Mettono troppo alla prova la mia capacità di interagire. Se fosse per me starei sempre in casa editrice o a casa a lavorare sui libri. Parlare di libri, soprattutto con persone che non conosco, mi sembra sempre qualcosa di troppo intimo.
Hai una norma redazionale che applichi a malincuore?
Non so se sono ferratissima sulle norme, nel senso che come tutto ciò che è dato come precetto immodificabile mi irritano, quindi le applico ma sono troppo distratta per applicarle tutte e c’è sempre qualcuna che mi salta. Le norme di Fandango sono pop come Fandango, hanno un ritmo loro e posso dire di non sentirmi soverchiata, quindi direi nessuna. Ma con le virgolette rispetto alla punteggiatura ho sempre avuto dei problemi e lo sa bene Anna Trocchi con cui ho lavorato per anni a nottetempo e che interveniva sempre a recuperare le mie resistenze.
Qual è quell’errore (refuso o altro) che proprio non sopporti?
L’abuso degli apostrofi e il trattino dopo ex mi disturbano tantissimo. Ma la verità è che sono anche gli unici di cui mi accorgo. È universalmente noto il fatto che io i refusi non li vedo, non li ho mai visti, e non credo imparerò a questo punto a vederli. Per fortuna poi passano le fatine di refusi a supplire alle mie mancanze. Per vedere i refusi bisogna avere una visione puntuale che dopo cinque letture quasi tutti perdono, figurati io che non l’ho mai avuta.

foto di aaina sharma
A tuo avviso, qual è la caratteristica più importante per chi fa un lavoro come il tuo?
L’ascolto e poi la pazienza, l’ascolto paziente e la pazienza in ascolto, poi ho finito le combinazioni. L’editor secondo me deve stare sempre un passo indietro, mimetico rispetto all’autore che cura, i libri sono prodotti collettivi ma la voce che deve uscire limpida è quella dell’autore. In questo, la mia indole a imboscarmi mi ha aiutato, insieme al fatto di non aver mai voluto scrivere niente di mio, mai, meno si parla di me meglio è.
Consiglia un libro che parla del tuo lavoro e che credi possa essere utile a chi voglia iniziare.
Fammi essere classica, anche antica. Frammenti di memoria di Giulio Einaudi, pubblicato da nottetempo: un altro tempo, un’altra editoria, autori enormi, cene in cui si discuteva di libri, autori che venivano deportati in campagna per parlare di altri libri. Una versione ante litteram dell’Isola del famosi.
foto di copertina di alexandr bormotin