E se il romanzo fosse una forma aperta?
di Alfredo Zucchi Lo studio del racconto come forma letteraria, delle sue strutture e della sua storia mi ha spinto, per opposizione, a riflettere su certe questioni che riguardano invece il romanzo. Una di queste ha a che vedere con l’intreccio e la chiusa: il finale di un romanzo, la sua riuscita e la sua necessità. Se il racconto è una forma letteraria in cui vige il paradosso di Achille e la tartaruga, la vertigine del romanzo invece è quella del naufragio: è il mare aperto. Nel primo caso quello che fa tremare le gambe allo scrittore è l’infinitamente piccolo, nel secondo è invece l’infinitamente grande. Un romanzo porta con sé un ampio raggio di finali possibili – ed è terribile, per lo scrittore, dirsi che è quasi impossibile sbagliare. L’estensione gradua, la graduazione stempera: si naviga nel vago. Un racconto, al contrario, fin dalle prime battute vuole una e una sola chiusa, quella lì – ed è quasi impossibile trovarla. È peggio di una roulette russa: «Un uomo va al casinò, vince un milione, …