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“La verità, vi prego” è la posta del cuore della scrittura: inviami un tuo racconto o il primo capitolo del tuo romanzo e ti scriverò una lettera di valutazione franca, pubblica e gratuita. Per sapere come funziona leggi qui.
La lettera di oggi è per Roberto Bolognini e il suo racconto “Lezioni di greco”.
Chi è Roberto Bolognini:
Ho 67 anni. Sin da piccolo sono stato un accanito lettore e la cosa
che ancor oggi faccio nei momenti liberi è leggere.
Leggo mediamente un libro a settimana, più tre quotidiani al giorno.
Però da qualche tempo ho pensato di cimentarmi, perché no, a scrivere.
Scrivo racconti brevi, alcuni anche di una sola cartella, molti dei quali
derivanti da esperienze personali, modificati e arricchiti dalla mia fantasia.
Quello che invio è stato scritto due anni fa, quando la situazione greca
era un poco diversa da quella attuale. Ma tant’è.
Caro Roberto,
ho una prima cosa da dirti ed è che dovresti prendere il titolo “Lezioni di greco” e trasformarlo al singolare in una, unica, “Lezione di greco”. Ti mostro perché.
I racconti cominciano sempre in un punto in cui le cose sono come sono già da un po’ di tempo: sono una condizione (e infatti il protagonista è già in pensione, vuole già comprare casa in Grecia, ha già cominciato a prendere lezioni di lingua); e arrivano in un punto in cui questa condizione si modifica.
Tu questo lo sai, e hai seguito una progressione di fatti che conduce al cambiamento: bene. Ma hai dimenticato che più importante di tutto è proprio il punto in cui la storia finisce: lì, quando il protagonista torna dalla sua insegnante per l’ultima lezione di greco della storia e succede che:
“Ci sediamo, l’uno di fronte all’altra, ai lati della solita scrivania”.
Lì il lettore ha la certezza del fatto che, a dispetto della solita scrivania, le cose sono cambiate. E, in un certo senso, che questo cambiamento sia la lezione che il racconto dà su se stesso. A quel punto il titolo diventerebbe una buona sintesi simbolica di quello che vuoi raccontare.
Ma sai cos’è che non fa funzionare il meccanismo? Che tu punti l’attenzione del racconto su questioni socio-politico-storiche piuttosto che sulla relazione tra i due personaggi. E invece è loro due che dovresti guardare.
Tu hai Iota! Iota è la tua Lolita! Guardala bene com’è:
“Iota è veramente molto brava come insegnante.”
“Però Iota è paziente”
“Iota mi guarda e sorride”
“Per me Iota è più di un’insegnante, è un’amica, quasi una figlia adottiva.”
“[…] è carina, minuta e molto giovane.”
È una ragazza brava, paziente, carina, che lo guarda sorridendo e gli impartisce lezioni di greco. E lui è un ex giornalista in pensione (lo dici troppo tardi), con ancora dei sogni nel cassetto, con delle capacità, degli agganci, una posizione che agli occhi della ragazza appare in forma di “potere”.
Sei pieno di materiale per riuscire a mostrare gli equivoci, le ambiguità, i conflitti di una relazione del genere.
E se il lettore all’inizio ti segue, entra in casa con te, vede i mobili ikea e il peluche Yoghi, se comincia a lasciarsi andare a quella sorta di timido corteggiamento:
“Non si preoccupi, – rispondo – non mi offendo. Anzi, perché non ci diamo del tu? Sottolinea meno la differenza d’età, non crede?”
è perché a lui interessa Iota come interessa al protagonista.
Ma tu decidi di sprecare tutto per “ritornare sul binario iniziale”.
E da lì perdi il centro della storia, che sono loro due, e ti immergi nelle spiegazioni di quello che è successo a lui, di cosa è successo a lei, di perché, allora, il loro rapporto è diventato in un certo modo, e perché, allora, lui soffre nel vederla soffrire, eccetera eccetera.
Poi cominci a correre, e sei costretto a forzare la narrazione tra epifanie improvvise
(“Improvviso, mi balza alla mente un nome: Aristidis Papadimitrios!”)
e comunicazioni di servizio, chiacchiere, dialoghi-fiume, considerazioni sulla Grecia, sul passato, sulla politica. Il centro si sposta sul confronto tra il bisogno di aiuto del protagonista e la diffidenza di Aristidis. Dopodiché, le telefonate e le lettere si prendono tutto lo spazio che resta.
E invece, quello che serviva, era darglielo un po’ di potere a questo ex giornalista!
O meglio fare in modo che l’immagine illusoria che Iota si è costruita, si trasformi per lui in una lusinga da assecondare, e che questo lo porti, sì, a recuperare vecchi contatti per cercare una soluzione, ma per qualcosa in più di un banale e ingenuo tentativo di aiutarla.
Non devi dimenticare che la potenza del conflitto sta nel fatto che il protagonista ha tra le mani la verità sul passato del padre di lei, e ha un desiderio, forse inconscio, di sostituirlo (“se avessi una figlia, la vorrei proprio così”).
E, infine, che nella stanza vuota di Iota c’è quel letto nudo che, più dei libri, delle foto, del pc, più di ogni altra cosa, e anche solo in senso platonico, chiede di essere usato.
Fa’ in modo che succeda.
Un caro saluto,
Francesca de Lena
Lezioni di greco
Iota posa sulla scrivania i testi per la lezione.
“Allora, se lo ricorda, finalmente, l’aoristo di έρχομαι?” mi chiede.
“Ήρθα, – rispondo – ma anche ήλθα. E al congiuntivo fa να έρθω oppure να έλθω”.
C’è come un misto di soddisfazione e di rammarico nella mia voce.
Forse perché queste lezioni non stanno andando proprio come vorrei. Intendiamoci, Iota è veramente molto brava come insegnante. Sono io che come allievo sono più scadente di quanto vorrei.
Certo, il greco moderno non è una lingua facile, come non lo è quello antico, studiato molti lustri addietro. Ma il problema vero sta tutto nella memoria. Ricordare nuove parole, nuovi lemmi alla mia età è molto difficile. Ti sembra di averli fissati nel cervello, sei certo che saranno lì, inchiodati per sempre nei meandri della materia grigia e invece, dopo qualche ora, a volte anche solo minuti, scivolano via. Allora annaspi faticosamente alla ricerca di ciò che sei sicuro di sapere, che è lì, ma che non ricordi. Però Iota è paziente, non smette di ripetere le stesse domande fino allo stremo, fino a ché le risposte non mi vengono spontanee.
Iota mi guarda e sorride, male. Ha uno strano sguardo sghembo.
“Ho sbagliato ancora?” le chiedo.
“No, mi scusi, è che…” Poi le si spezza la voce e inizia a singhiozzare.
Sorpreso, non so che accidenti fare.
Per me Iota è più di un’insegnante, è un’amica, quasi una figlia adottiva.
L’ho conosciuta circa un anno fa. Ho risposto a una sua inserzione su di una bacheca on-line. Stavo cercando un insegnante di greco moderno, per migliorarne la mia conoscenza. Da anni trascorro le vacanze in Grecia e coltivo il desiderio di comprare una casetta su una qualche isola, piccola, lontana il più possibile dal turismo di massa. Un posto dove poter trascorrere tranquillo gli anni di vita che mi restano, pochi o tanti non ha importanza.
L’ho conosciuta, dicevo, rispondendo a una inserzione che faceva pressappoco così:
“Insegnante madrelingua greca, laureata in lingua e letteratura inglese, si offre per lezioni di entrambe le lingue. Massima serietà.” Seguiva il numero di telefono e il CAP. Abitavamo nello stesso quartiere: un punto in più a suo favore.
Ho telefonato subito e ho preso un appuntamento ‘reciprocamente conoscitivo’ per l’indomani.Il pomeriggio dopo, all’ora stabilita, suono un campanello fra i tanti di questo condominio grigio, dall’aspetto un po’ triste, in una zona della periferia.
La ragazza che mi apre la porta è carina, minuta e molto giovane. Ho il dubbio che non sia la persona che voglio incontrare. Ad ogni modo mi presento, spiego il perché della mia visita. “Potrei parlare con l’insegnante dell’annuncio? “ chiedo.
“Sono io, – dice – mi chiamo Panaghiota, ma tutti mi conoscono come Iota”.
Si allontana dalla porta e mi fa segno di entrare. “ Scusi il casino, ma le mie coinquiline non sono molto ordinate.”
Mi guida attraverso un lungo corridoio, sino a una stanzetta dove, oltre al letto sul quale è adagiato un buffo orso di stoffa che somiglia a Yoghi, ci sono una scrivania, due sedie e un armadio, tutta roba che ricordo di aver visto sul catalogo dell’IKEA. Appoggiata a un muro una scaffalatura traboccante di libri, sulle altre pareti alcune fotografie che la ritraggono in compagnia di diverse persone, sorridenti, in luoghi tipicamente greci. Sopra alla scrivania, un laptop. Un cavo lo collega al router, intravisto nel corridoio.
Da una rapida valutazione concludo che la ragazza avrà al massimo venticinque anni. Possibile che sia laureata in lingua e letteratura inglese? Oltretutto, di madrelingua greca, parla l’italiano come me? Ma dài…
“Vuole una tazza di caffè?” mi chiede intanto la giovane.
“Sì, grazie” rispondo.
“Bene. Nel frattempo, si sieda.”