questo articolo è già uscito su Satisfiction
“La verità, vi prego” è la posta del cuore della scrittura: inviami un tuo racconto o il primo capitolo del tuo romanzo e ti scriverò una lettera di valutazione franca, pubblica e gratuita. Per sapere come funziona leggi qui.
La lettera di oggi è per Raffaella Terribile e il suo racconto “Il gatto” Chi è Raffaella Terribile: Amo da sempre la lettura e la scrittura. Insegno da quindici anni storia dell’arte, dopo aver lavorato come archeologa. Mi occupo di critica d’arte e collaboro con alcuni blog in rete (La dimora del tempo sospeso, Cartesensibili, TornoGiovedì). Abito a Padova, dove lavoro al liceo artistico.
Cara Raffaella,
probabilmente l’idea di scrivere questo racconto è tua, e lo hai fatto solo perché ti andava di farlo. Eppure per me è utile parlarne come di un esempio di esercizio di scrittura creativa e di una dimostrazione del perché alcune cose nelle scuole di scrittura creativa non funzionano – e chi desidera scrivere dovrebbe rifiutarsi di farle.
È molto diffuso usare gli animali e gli oggetti come personaggi sui quali esercitare l’abilità degli allievi nel modellare il primo elemento necessario alla narrazione: il punto di vista.
“Fai finta di essere il tuo divano” si dice. Oppure: “Fai finta di essere uno specchio”, “fai finta di essere un palloncino”.
O ancora: “Qual è l’oggetto al quale tieni di più? Racconta la tua giornata dal suo punto di vista”, fino ad arrivare a: “Sei un gatto. Prova a pensare e parlare come un gatto”.
Questi esercizi hanno lo scopo di far uscire l’aspirante scrittore dalla propria personalistica e autobiografica visione del mondo e allenarlo a inventare altri sguardi. Si pensa, così, di insegnargli a “mettersi nei panni degli altri”, per far sì che un giorno, quando riuscirà a comporre una narrazione complessa, che richieda diversi personaggi, sappia caratterizzare le diverse prospettive.
Ma il punto è, secondo me, che quegli altri sguardi non servono a niente.
Il punto è, secondo me, che l’aspirante scrittore non dovrebbe distogliere l’attenzione dalla sua visione del mondo, perché, se mai scoprirà di avere del talento, saranno solo quello sguardo e quella visione a permettergli di scrivere, e di scrivere qualcosa di interessante.
Raccontare significa avere un’idea sulle cose che accadono e trasformare quell’idea in rappresentazione: e la tua idea non è certo quella di un gatto.
Quando tu scrivi della giornata di quest’animale:
Sono un gatto grasso e pigro. Non esco mai. Non potrei, perché la casa del mio padrone è a un piano alto di un vecchio condominio. Mi piace guardare fuori dalla porta-finestra della cucina. Guardo il cielo, le macchie di verde lontane, dall’altra parte della valle. In primavera e in estate, quando riesco ad andare sulla terrazza, mi arrivano odori che risvegliano ricordi lontani di libertà, portati dal vento. Ogni tanto il mio padrone pianta qualche fiorellino, lo cura come un bambino.
devi sapere che l’unica immagine di cui il lettore s’interessa è quella del padrone che pianta il fiorellino. Potrà sembrarti assurdo ma il particolare che resterà nella testa del lettore non sarà il vecchio condominio, né la porta finestra, né il cielo e neanche la terrazza: sarà il fiorellino, perché l’unico a instaurare una relazione con il padrone invece che col gatto.
È così. È il padrone, è l’essere umano a interessare chi legge. E anche a te interessa lui. Il tuo esercizio, infatti, ha comunque l’obiettivo di raccontare il personaggio umano: le donne che incontra, le relazioni che intreccia, i punti di crisi.
Il racconto si chiude sul dolore di quest’uomo:
Ieri sera il mio padrone era agitato. L’ho sentito urlare al telefono, in salotto, e non mi piace il rumore. A orecchie abbassate ho sopportato per un po’ la sua voce, così diversa. Poi mi sono stancato e sono saltato giù dal mio pouf per mettermi lontano dal divano rosso scuro. Accoccolato nell’angolo del corridoio, nella penombra sotto la libreria, mi sento abbastanza tranquillo. Lontano dal dolore. Posso chiudere gli occhi e continuare a sognare.
un dolore di cui il lettore non saprà niente – perché il gatto se ne va – e che, invece, era l’unico possibile nucleo della storia.
La verità è che i punti di crisi sono tutto ciò da cui bisogna partire per raccontare storie. Possono essere spostati avanti o indietro nella trama, ma restano il cuore di ciò che si scrive.
E che all’inizio siano personalistici e autobiografici è normale, e va bene.
Quando s’imparerà ad evolvere lo sguardo da sé si starà imparando a inventare una storia che non sia meramente autobiografica, ma la visione del mondo resterà quella personale, perché non potrebbe essere altrimenti. Resterà il tuo sguardo, che però avrai imparato a conoscere, educare, allenare e saprai scorporarlo, differenziarlo, approfondirlo.
E perché la tua visione del mondo raggiunga questa maturità non ha alcun bisogno di essere messa in secondo piano dalla visione del mondo di un gatto.
Un caro saluto,
Francesca de Lena
La maggior parte del tempo della giornata dormo, nel silenzio rotto da qualche porta che sbatte, dal ronzio dell’ascensore, dalle voci concitate dei vicini napoletani che litigano. Non mi piace il rumore. Preferisco il silenzio ovattato di queste stanze vuote dove la vita sembra essersi fermata. La mattina il mio padrone si alza presto, se è inverno non c’è ancora la luce del sole. Sento il suo passo sincopato avvicinarsi sulla moquette del corridoio, conto fino a 20 e la maniglia della porta del bagno si abbassa per dare inizio al nuovo giorno. Eh sì, perché io dormo in bagno, dove c’è anche la cassettina per i miei bisogni, e il mio padrone non vuole che disturbi la sua notte, girovagando nell’oscurità come fanno i gatti.
Sono un gatto grasso e pigro. Non esco mai. Non potrei, perché la casa del mio padrone è a un piano alto di un vecchio condominio. Mi piace guardare fuori dalla porta-finestra della cucina. Guardo il cielo, le macchie di verde lontane, dall’altra parte della valle. In primavera e in estate, quando riesco ad andare sulla terrazza, mi arrivano odori che risvegliano ricordi lontani di libertà, portati dal vento. Ogni tanto il mio padrone pianta qualche fiorellino, lo cura come un bambino. Io per gelosia vado a raspare la terra, ma mi scopre quasi sempre. D’inverno invece mi piace osservare la neve cadere dietro il vetro appannato. Qualche volta il mio padrone mi fotografa per mandare le foto a qualche sua amica. I gatti, si sa, fanno tenerezza.