Io e mio figlio Andrea siamo in macchina, è appena finita la sua giornata all’asilo, lo riporto a casa, ci lamentiamo del sole che rimbalza sul parabrezza e ci acceca.
Andrea dice: Mannaggia mamma, questo sole lo dobbiamo fare grigio.
Io rispondo: Ma no, che tristezza il sole grigio.
Andrea scoppia a piangere. Gli chiedo che succede, ma lui va avanti a singhiozzi così forti che sono costretta a fermare la macchina, raggiungerlo sul seggiolino e stringerlo forte: gli faccio ‘nzù ‘nzù nelle orecchie, gli asciugo le guance con i baci, gli do un po’ d’acqua.
Prova a spiegarmi che a lui il sole grigio piace, perché è bello, perché così non dà fastidio. Perché non vuoi fare il sole grigio con me? mi dice. Sono così mortificata che non faccio di meglio che perpetrare la mia ostinazione: hai ragione, a mamma, è solo che pensavo che con il sole grigio venisse la pioggia, e a noi non piace quando piove – e sbaglio di nuovo, perché Andrea dice a me la pioggia piace, e ricomincia a piangere.
Scrive Marcello Fois nel suo “Manuale di lettura creativa“:
“Ogni lettore deve essere libero di tradurre il proprio libro, di leggere il libro che ha scritto lui, non il libro che ha scritto lo scrittore. Questo fa la differenza tra lo scrivente e lo scrittore: lo scrittore è quello che sa liberarsi del suo libro. E il lettore creativo lo sa, lo capisce con passione. Dice a se stesso che quel libro che ha scelto, ha deciso di comprare, ha pagato, è diventato roba sua. Dentro quelle pagine ci mette tutto il suo patrimonio, che è diverso, complementare, opposto, rispetto a quello dello scrittore. Uno scrittore del proprio libro può raccontare i motivi che lo hanno generato, ma non certo il risultato: quello è un esito che spetta al lettore.”
Andrea ha pianto perché io mi sono comportata da lettore che traduceva il suo libro. Lui aveva una storia in mente: una storia in cui il sole era grigio. E io ho letto quella storia mettendoci dentro il mio patrimonio, e nel mio patrimonio SOLE GRIGIO=PIOGGIA e PIOGGIA=TRISTEZZA.
Fossi stata una lettrice avrei avuto ragione, ma da madre ho avuto torto; e avrei avuto torto anche da editor: lavorare sulle storie degli altri vuol dire cercare sempre l’equilibrio tra la volontà di miglioramento («Guarda: ti faccio notare che se racconti di un sole grigio trasmetti tristezza») e la consapevolezza che quella storia non è tua, e che il tuo patrimonio deve restarne fuori.
Interessante davvero.
"Mi piace"Piace a 1 persona
grazie 🙂
"Mi piace"Piace a 1 persona
carina questa riflessione, te la rubo!! 😉
"Mi piace""Mi piace"
Adotto questo post, Francesca, sul gruppo #adotta1blogger. Concordo in pieno con la visione espressa da Marcello Fois (mi ricorda Jerome Bell e le sue riflessioni sul teatro e la danza contemporanei, su come essi siano del tutto in mano alla visione di un pubblico che, mettendo insieme i pezzi, costruisce il proprio spettacolo. Liberatorio.). Grazie.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Grazie! Sì anche io sono convinta che sia così: ogni forma di arte (ma anche ogni forma di comunicazione) diventa dell’altro dal momento in cui ne può fruire.
"Mi piace""Mi piace"
Bellissima riflessione. Grazie
"Mi piace""Mi piace"
grazie 🙂
"Mi piace"Piace a 1 persona
Una riflessione vera sempre, ma ancor più quando si tratta dei nostri figli: quante volte abbiamo la tentazione di interpretare coi nostri occhi ciò che loro raccontano? Bisogna davvero fare un passo indietro e mettersi in ascolto, ricordandosi sempre che loro sono “altro da noi”.
"Mi piace""Mi piace"