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Camera di smontaggio: pezzi da “Maternità” di Sheila Heti

Negli ultimi tempi abbiamo assistito spesso alla discussione sul metodo che un lettore critico deve porsi rispetto a un testo. Il nostro punto di vista è che il metodo smonta-frasi senza contesto allo scopo di deriderle sia inopportuno, perché non ci piace deridere il lavoro degli altri, ma sia soprattutto fallace: quasi tutti i testi, soprattutto se romanzi, hanno in mezzo delle frasi brutte, insensate, sciatte o altro: fate la prova anche con i migliori classici e troverete abbastanza frasi da farvi dire “che?” e spingervi a scriverne una recensione sarcastica.

D’altro canto, siamo dell’idea che i testi “parlino” da sé, e che una serie di stralci messi in mostra, senza alcun accompagnamento critico, di analisi sull’autore, sul momento storico dell’uscita del romanzo, sui temi trattati, ecc, qualcosa da dire ce l’abbiano e siano in grado di significare almeno in parte la riuscita o la non riuscita di una scrittura. Questo è il nostro esperimento, la nostra camera di smontaggio.

 

MATERNITÀ

di Sheila Heti
traduzione di Martina Testa
Sellerio

 

DICHIARAZIONE DI POETICA O AUTO-INDULGENZA?

Avrei voluto avere il tempo di mettere insieme una visione del mondo, ma il tempo non c’era mai, e oltretutto chi ce l’aveva sembrava avercela avuta fin dalla più tenera età, non aveva cominciato a quarant’anni. L’unica cosa che si poteva cominciare a quarant’anni, lo sapevo, era la letteratura. Lì, se quando cominciavi avevi quarant’anni, si poteva dire che eri giovane. In tutto il resto io ero vecchia, le navi erano già salpate, avevano preso il largo, mentre io dovevo ancora arrivare alla spiaggia.

INTUIZIONI ORIGINALI

La cosa da fare quando si è indecisi è aspettare. Ma per quanto tempo? La prossima settimana compio trentasette anni. Per certe decisioni il tempo stringe. Come facciamo a sapere come andrà a finire per noi, trentasettenni indecise? Da un lato, la gioia dell’avere figli. Dall’altro, le tribolazioni dell’averne. Da un lato, la libertà di non averne. Dall’altro il rimpianto di non averne mai avuti: ma in fondo cos’è che ci si perde? L’amore, il figlio e tutti quei sentimenti materni di cui le madri parlano in tono così allettante sono cose che si hanno, non cose che si fanno. È la parte del fare che sembra difficile. La parte dell’avere sembra meravigliosa. Ma i figli non si hanno, si fanno.

Oggi, fra me e me, ho definito così il concetto di sentimentale: il sentimento sull’idea di un sentimento. E mi è sembrato che le mie propensioni per la maternità fossero molto legate all’idea di un sentimento sulla maternità. E come la storia che mi ha raccontato mia cugina una volta che eravamo a casa sua per la cena dello Shabbat: quella della ragazza che cucinava il pollo come lo cucinava sua madre, che a sua volta lo cucinava come faceva sua madre, cioè legandogli sempre le zampe prima di metterlo in pentola. Quando la ragazza chiede alla madre perché lega le zampe al pollo, la madre risponde: perché mia madre faceva così. Quando la ragazza va a chiedere alla nonna perché faceva così, la nonna risponde: Perché mia madre faceva così. Quando la ragazza va a chiedere alla bisnonna perché era tanto importante legare le zampe del pollo, la nonna risponde: Perché altrimenti nella pentola che avevo non c’entrava. Ecco, penso che l’idea di avere figli per me sia un po’ così: un gesto un tempo necessario che adesso è diventato sentimentale.

Mi infastidisce lo spettacolo di tutto questo riprodursi, lo vedo come un voltare le spalle ai vivi: un segno di insufficiente amore per noialtri, noi miliardi di orfani che già viviamo sulla terra. Questa gente si volta a braccia aperte verso una nuova vita, sperando di creare una felicità più grande della propria, piuttosto che occuparsi di chi è già vivo. Non è giusto, non è gentile, quando quelli che hai intorno sono tutti neonati in lacrime, eppure ecco che le mie amiche si mettono a farne altri — a farne un altro ancora! un’altra nuova luce nel mondo.

Ci sarà sempre questo o quell’altro uomo, o sua madre o suo padre, o qualche ragazza o ragazzo che si metterà di traverso, sul sentiero luminoso della sua libertà, e si adotterà da solo come figlio di questa donna, costringendola a fargli da madre. Chi sarà stavolta a metterla incinta? Chi sbucherà all’improvviso, piazzandosi davanti a lei e dicendo con un sorriso: Ciao mamma? Il mondo è pieno di persone disperate, persone sole e mezzo distrutte, persone irrisolte e bisognose con le scarpe che puzzano e sono pieni di buchi persone che ti chiedono di dargli le vitamine giuste, o che hanno bisogno dei tuoi consigli a ogni passo, o che vogliono semplicemente parlare e bersi una cosa — e che ti convincono a trasformarti nella loro madre. È difficile riconoscere questo processo, ma prima che ce ne rendiamo conto, è già avvenuto.

INTUIZIONI TRITE

No infatti. Lo sapevo. Uno prova così tante sensazioni nel corso della giornata. È evidente che non sono quelle il timone — né l’oracolo — né la cosa che dovrebbe darti la rotta nella vita, né la mappa. Anche se la tentazione c’è sempre. Qual è, sennò, una base migliore su cui stabilire la rotta? I valori?

Le ho detto: Invidio le madri perché qualunque cosa succeda hanno sempre questa persona, una cosa tutta loro. Lei ha risposto: Ma non è così. Io un tempo ce le avevo delle cose. Adesso non ho più niente. Non ho il mio lavoro… e mia figlia è una persona a sé. Non è che mi appartiene. In quel momento ho capito che era vero: sua figlia era qualcosa di separato da lei, non la possedeva né le apparteneva.

Ma avere figli non porta a destinarsi la porzione più avara in fatto di spazio e di tempo? Avere un figlio risponde all’impulso di non dare nulla a sé stesse. Trasforma tale impulso in una virtù. Nutrirsi per ultime per abnegazione, sacrificarsi negli spazi più piccoli nella speranza di essere amate: queste sono tendenze totalmente femminili. Essere virtuosamente avare verso sé stesse nella speranza di essere amate: avere figli è un modo rapido per arrivarci.

INDUGI

È un buon punto di partenza?
no
È troppo ristretto?

Posso mettercela dentro comunque, l’anima del tempo?
no
Sono autorizzata a tradirti?

Allora sarà decisamente quello uno degli argomenti del libro. Magari non avrei dovuto dire che voglio spiegarlo a me stessa ma che voglio spiegarlo agli altri. Così va meglio?
no
Forse incarnarlo invece che spiegarlo?

Mi fa male la testa. Sono stanca morta. Non mi sarei dovuta fare quel sonnellino. Ma se non mi fossi fatta quel sonnellino adesso sarei di umore anche peggiore, no?
no

Io non voglio fare altro che starmene seduta tutto il giorno a fissare un cocomero. Cullarmelo fra le braccia. Cantargli delle canzoni, portarmelo in giro. Non voglio fare altro che addormentarmi e dormire per un milione di anni. O forse voglio avere un bambino — ma con qualcuno che lo vuole veramente — lo vuole, e vuole farlo con me. Oppure scoprire se voglio davvero un figlio stando con un altro uomo e vedere che succede.

EROTISMO E MATERNITÀ

Mi è tornato in mente che dopo aver cominciato a uscire con Miles mi ero ritrovata a passeggiare da sola lungo la spiaggia, a Los Angeles, euforica all’idea che un giorno avremmo potuto avere un figlio, e quanto mi arrapava pensare a Miles con un anello al dito, che lo rendeva mio marito agli occhi del mondo, e quanto trovavo erotico immaginare di portare dentro di me un figlio, per metà suo.

A volte mi sembra che sarebbe facilissimo avere un figlio da Miles: la sua carne dentro la mia, la sua pelle profumata, pulita, liscia; quel cervello, quel cuore, mescolati coi miei. Quando ho descritto tutto questo a Erica, lei ha risposto: Non stai parlando del desiderio di avere suo figlio dentro di te. Stai parlando del desiderio del suo cazzo. 

Ho capito che era vero: quando immagino di essere incinta, è più che altro la sensazione di avere una cosa incastrata dentro di me: qualcosa di grosso, di profondo, che mi dà piacere. Probabilmente non sarebbe così. Allora lo voglio davvero un figlio, o voglio soltanto una quantità maggiore di Miles? Un figlio non è una quantità maggiore di lui. Un figlio non è il tuo compagno. E quando il figlio cresce e comincia a fare sesso con altre persone, allora in particolare non è affatto tuo.

Ultimamente, ogni volta che facciamo sesso, immagino che Miles mi venga dentro, come se volesse fare un bambino, e l’idea che abbia questa voglia mi eccita — più di qualunque altra fantasia. In passato volevo che mi dominasse sessualmente, ma negli ultimi tempi non più. Se avessi un bambino, sarei dominata dalle esigenze del bambino. Non che essere dominata dalle esigenze di un neonato sia una mia fantasia sessuale. Ma immagino comunque che Miles mi venga dentro.

DIARIO (CHE NON È) LETTERATURA?

Sono una rovina per la mia stessa vita. Come faccio a smettere di essere una  rovina per la mia stessa vita? Non è giusto rovinare quel ben di dio che è la vita. Non è giusto starmene sempre seduta qui a piangere. Correre più veloce delle lacrime, batterle sul tempo: ecco l’unica cosa che uno può fare. Battere sul tempo le lacrime, ogni giorno, come un atleta. Battere sul tempo le lacrime come una persona che ha fede. Ok, batterò sul tempo le mie lacrime e vincerò.

La sensazione del pianto ce l’avevo dentro quando mi sono svegliata, ma non ieri sera, quando ero sola. e difficile stare in mezzo alle altre persone. DA soli si percepisce l’intero universo, e non si percepisce affatto la proprio personalità. Forse è la sensazione della mia personalità che mi fa venire da piangere. Senza personalità non possono esserci lacrime. Hai anche la stessa età di tua madre quando era infelice e piangeva costantemente pure lei. Potrebbe essere una fase biologica. O potrebbe essere colpa delle scelte che hai fatto. Ieri sera hai detto che se avessi fatto un errore ti saresti perdonata. Se hai fatto un errore, hai detto che ti saresti perdonata. Mi dispiace — ti perdono — scusa — ti perdono — ti perdono — ti perdono — ti perdono. Non eri sicura di aver fatto qualcosa di male ma hai detto che ti saresti perdonata, anche se non ne eri proprio sicura.

CORPO

Stanotte, in sogno, mi guardavo le tette allo specchio. Mi penzolavano dal torace, mi arrivavano all’ombelico. Piangevo di tristezza, al vederle crollate così. Strillavo, in lacrime: Oddio quanto mi sono scese le tette! Poi le guardavo meglio, e vedevo che in ciascuna erano piantati cinque chiodi, e che in realtà non erano tette ma zoccoli, e se arrivavano così in basso era perché ci potevo camminare.

Ci si può abituare a tutto nella vita, ma che una volta al mese ti esca del sangue dalla vagina non è la fine del mondo. Penso: Non è stupido che il mio corpo l’abbia fatto di nuovo? Possibile che non impari mai? Che non capisca l’antifona? No, risponde lui, possibile che tu non la capisci?

Miles una volta mi ha detto che quando ho il ciclo sanguino meno di qualunque altra donna con cui sia stato. Con le altre donne, ogni volta che facevano sesso durante il ciclo, si ritrovava il sangue fino a metà della pancia e metà delle cosce. Con me, al massimo una macchiolina. Chissà se vuol dire che ho l’utero molto piccolo, ho commentato, la volta che mi ha detto così. Lui ha scrollato le spalle e basta. Per lui non significava niente. Eppure per un’ora sono rimasta sospesa fra l’idea di essere una donna veramente raffinata, visto che sanguino molto meno delle altre, e l’idea di non essere veramente una donna.

SCRITTURA VS FIGLI: CON MOLTA ONESTÀ

L’arte è una cosa viva? Mentre uno la fa, intendo. Viva come qualunque altro essere che definiamo vivente?

altrettanto viva quando è stampata in un libro o appesa al muro?

Allora a una donna che fa libri l’universo può anche perdonare di non aver fatto gli essere viventi che chiamiamo bambini?

Quanto mi sento aggredita quando sento che una persona ha avuto tre figli, quattro, cinque, di più ancora… Mi sembra segno di avidità, prepotenza e maleducazione: un espandersi arrogante della propria individualità. Eppure forse non sono tanto diversa da quelle persone: anch’io mi espando per tante pagine, e sogno che le mie pagine si spandano per il mondo. Mia cugina, che ha la mia età ed è molto credente, ha sei figli. E io ho sei libri. Forse non c’è tutta questa differenza fra noi, solo una leggera differenza nelle cose in cui crediamo — nelle parti di noi che ci sentiamo chiamate a espandere.

Sono convinta che mi andrebbe di vivere avventure, di respirare l’aria fresca del giorno, ma tutto ciò mi lascerebbe meno tempo per scrivere. Quando ero più giovane, scrivere mi sembrava più che abbastanza, mentre adesso mi sento una tossica, sento che mi sto perdendo il bello della vita. Non avere figli permette di scivolare nell’inedia, nell’indolenza del non far nulla se non stare di fronte a un computer a digitare parole. Mi sento una renitente alla leva rispetto all’esercito in cui tante mie amiche sono arruolate: me ne sto a ciondolare nel paese che loro stanno costruendo, imboscata dentro casa, che vigliacca.

Ricordo che quando avevo vent’anni ho visto una serie di scrittori su un palco per una tavola rotonda letteraria: erano maschie e femmine. Dicevano che ovviamente la scrittura per loro era importante, ma che i loro figli erano molto più importanti. Io sono rimasta delusa. Mi sembravano così poco seri. Non avrei mai voluto essere come loro: avere qualcosa, nella vita, di più importante della scrittura. Perché si erano fatti così del male?

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