di Luigi Loi
Una collana di perle.
Prima di acquistare mi piace sfogliare il catalogo dell’editore che si trova in coda ai suoi libri. Per esempio, 680. Hervé Clerc, Le cose come sono / 681. Alan Bennett, Gente / 682. Otto Carter, La chiave turchina etc. etc. Si tratta del piacere del collezionista, è il piacere di osservare l’abbondanza anche se non avrò mai la capacità materiale di leggere tutte queste pagine. Forse, è anche la possibilità di intuire una relazione tra questi libri, ordinati secondo numeri progressivi. Helgoland di Carlo Rovelli è al 756 della piccola biblioteca Adelphi, preceduto dai racconti di Jorge Luis Borges. Rovelli, da ottimo divulgatore e narratore qual è, racconta la storia della rivoluzione quantistica seguendo il movimento cronologico e la ricostruzione, ma le conclusioni sono paradossali: ogni elemento della realtà è sempre collegato agli altri, sia che si stia osservando il mondo degli atomi, sia che si osservi il mondo macroscopico. Insomma, la perla certamente esiste, ma è irrilevante fino a quando non è parte di un sistema di perle che si chiama collana. Rovelli esiste indipendentemente? Sì, ma se vogliamo capire il sistema Adelphi, dobbiamo guardare prima Borges.
La scoperta del Novecento
Siamo nel giugno del 1925, quando Werner Heisenberg, in vacanza sull’isola di Helgoland, formalizza per la prima volta la teoria dei quanti.
Erano più o meno le tre del mattino quando il risultato finale dei miei conti fu davanti a me. Mi sentivo profondamente scosso. Ero così agitato che non potevo pensare di dormire. Lasciai la casa e mi misi a camminare lentamente nell’oscurità. Mi arrampicai su una roccia a picco sul mare, sulla punta dell’isola, e attesi il sorgere del sole. (pag. 21)
Heisenberg si trovava a Helgoland per alleviare i problemi allergici di cui soffriva, ma soprattutto per studiare in tranquillità un problema matematico sollevato da Niels Bohr ancora senza soluzione. Le formule di Bohr riuscivano a prevedere le proprietà degli elementi, prima ancora di una misurazione: un assurdo logico-matematico. Bohr era già famoso e aveva raccolto attorno a sé i migliori fisici dell’epoca. Tra questi Wolfgang Pauli e lo stesso Heisenberg.
Il 7 giugno, Heisenberg, riesce a imbastire una soluzione al problema del maestro: « mi sentivo stordito al pensiero che ora dovevo investigare questa nuova ricchezza di struttura matematica che la Natura così generosamente dispiegava davanti a me ».
Il 9 giugno è già di ritorno all’Università di Gottingen per confrontarsi con Pauli e Max Born. Vengono coinvolti anche Pascual Jordan e Paul Dirac. Insieme, in pochi mesi riescono a formalizzare una nuova meccanica. Le forze sono le stesse della fisica classica, così le sue equazioni: non resta che applicare la nuova teoria all’elettrone trovando una soluzione al problema di Bohr. Il calcolo si rivela troppo difficile. Chiedono aiuto a Pauli che «lo completa con tecnicismi acrobatici, nel giro di poche settimane». È un successo.
In più è una rivoluzione cognitiva. Se l’abate George Berkeley nel ‘700 poteva sostenere – in linea con la fisica classica – che un albero cadendo in una foresta disabitata non facesse rumore, ora le scoperte quantistiche dissolvono questa separatezza delle cose, affermando che non esiste materia osservabile a priori. I quanti dicono che la realtà stessa è fatta da una cronologia di relazioni: l’albero al centro della foresta cade rumorosamente perché l’abbiamo osservato cadere. Di più: noi abbiamo osservato, perché poco distante, forse nascosto dietro un cespuglio, qualcuno guardava la nostra schiena. È la vertigine più profonda mai scoperta dalla scienza.

Lo scrittore di Schrödinger
Erwin Schrödinger e Albert Einstein vissero e morirono senza trovare una risoluzione al rompicapo di Bohr e Heisenberg:
Quando Einstein obbietta alla meccanica quantistica che «Dio non gioca a dadi», Bohr gli risponde: «Smettila di dire a Dio cosa deve fare» Fuori di metafora: la Natura è più ricca dei nostri pregiudizi metafisici. Ha più fantasia di noi […] i nostri pregiudizi su come sia fatta la realtà sono il risultato della nostra esperienza. La nostra esperienza è limitata. (pag. 139)
La nostra esperienza è talmente limitata che si può solo arrossire di fronte agli scenari aperti dalla teoria dei quanti. Per esempio: non si può più conoscere contemporaneamente velocità e posizione di un elettrone, ma quando si misura la sua posizione si perde informazione sulla velocità o viceversa: « la meccanica quantistica ci ha insegnato che, in generale, i sistemi fisici possono fornire una quantità finita di informazione ».
Può sembrare irrilevante, ma le implicazioni sul concetto di tempo sono drastiche. Mi spiegherò tornando a quell’Otto Carter citato all’inizio (autore de La chiave turchina), fornendo una nuova informazione: si tratta di uno scrittore immaginario inventato da me. Quel Carter lì, almeno fino a questo punto, per voi lettori era contemporaneamente reale e immaginario, proprio come il gatto di Schrödinger. Il paradosso del gatto è un gioco inventato da Schrödinger che spiega quanto contradditorie siano le conseguenze della meccanica quantistica applicate ai sistemi fisici macroscopici. In poche parole, sia Heisenberg che Schrödinger, sembrano dire che non si può guardare il futuro perché non si può guardare con precisione assoluta il presente, lo stesso presente dove esisteva Otto Carter. Ma davvero Otto Carter smette di esistere perché affermo non esista? Einstein non sarebbero d’accordo, perché Dio non ama i dadi. Tuttavia sia che vi schieriate con Heisenberg o che lo facciate con Einstein è già il tramonto della fisica classica, del determinato scientifico e filosofico. Il secolo degli atomi e dell’indeterminato inizia lì e noi, viviamo ancora nel secolo dove la percezione della realtà è la realtà.
Il palazzo di Prospero
Il tema trattato da Rovelli è molto complesso, e chiunque non abbia fatto studi di fisica o matematica si deve affidare, spesso più che alla logica delle spiegazioni, a una buona dose di fiducia nell’autore. Alla fine di Helgoland Rovelli cerca un compromesso in questa ridda di interpretazioni centrifughe, attingendo alla dimensione poetica, letteraria e personale. Sono le pagine più suggestive del libro, infuocate ma proprio per questo più spericolate e convincenti. Dove non è ancora arrivato l’occhio del fisico, può la fantasia del divulgatore
Certo c’è qualcosa di sconcertante nella visione del mondo che emerge da questa teoria. Dobbiamo abbandonare qualcosa che ci sembrava molto, molto naturale: l’idea di un mondo fatto di cose. Dobbiamo riconoscerla come un vecchio pregiudizio, un vecchio carretto che non ci serve più. La solidità del mondo fisico sembra essersi sciolta nell’aria, come le torri coronate di nubi e i palazzi meravigliosi di Prospero. La realtà si è sfrangiata in un gioco di specchi. (pag. 194)
Un articolo che mi è piaciuto davvero molto. Lineare, pulito, elegante, in linea con la materia trattata.
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Ti ringrazio Silvia, troppo gentile. Sicuramente traspare l’affetto che provo per questo signore che nei suoi libri è riuscito a farmi intuire tante cose difficili (come la relatività, il tempo, i quanti) a me che non so nemmeno risolvere un equazione di secondo grado!
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Ti ringrazio Silvia, troppo gentile. Sicuramente traspare l’affetto che provo per questo signore che nei suoi libri è riuscito a farmi intuire tante cose difficili (come la relatività, il tempo, i quanti) a me che non so nemmeno risolvere un equazione di secondo grado!
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Molto bello questo articolo. Non ho un’educazione che mi permetta di parlare di quanti, ma sono curiosa, e leggerò il libro con ostinazione. E come dici te, con grande fiducia.
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Grazie Gwen. Rovelli è uno scrittore molto bravo e molto raro: riesce a spiegare cose complesse matematicamente in modo lineare e logico anche per chi ha conoscenze umanistiche. Consigliatissimo, come i suoi precedenti
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