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“The Haunting of Bly Manor”: l’universo fantasmatico di Henry James riscritto da Mike Flanagan

Quella di Mike Flanagan verso l’opera di Henry James è di sicuro una storia d’amore. Uno di quegli amori talmente ossessionanti e inebrianti da farti vedere l’oggetto amato circondato di un’aura di luce purissima, al punto tale da riscriverne il carattere, le movenze, le motivazioni, e dare voce a un desiderio di possibilità, più che a una presa d’atto di realtà. Ecco perché sono convinta che non a tutti gli appassionati e studiosi di James possa piacere la nuova serie Netflix The Haunting of Bly Manor, scritta, diretta e prodotta dal regista statunitense, nonché ispirata a Il giro di vite. Chi si aspetta l’ambiguità e la sospensione del racconto si troverà deluso. Questa serie risponde a tutte le domande che Il giro di vite solleva, in maniera esplicita e palese, andando a colmare tutti gli interstizi vuoti e lasciando pochissimo spazio a quella libertà interpretativa che è la cifra stilistica dell’opera di James. 

Flanagan è autore di alcuni degli horror più interessanti e di successo degli ultimi anni, Oculus, Ouija, Il gioco di Gerald, ed è noto nell’ambiente horror per essere un regista raffinato, uno che con l’orrore ci gioca in profondità, per usarne la potenza evocativa e mettere in scena temi, personaggi e situazioni che lo affascinano, piuttosto che per raccontare storie che finiscono male e in cui ci si spaventa molto. In effetti, definire horror la serie The Haunting of Hill House (2018), liberamente ispirata all’opera della magnifica Shirley Jackson, significa limitarsi a vedere solo un aspetto della storia – che poi questo accada con moltissimi dei prodotti che finiscono nel calderone “horror” è cosa nota agli appassionati, ma torniamo a James. Come in Hill House, anche questa stagione si basa a grandi linee sul testo di riferimento, e che testo! Una storia che, secondo le annotazioni del diario dello stesso James, è oscura e imperfetta, ma piena di suggestioni, dal carattere sfuggente e ambiguo, che all’epoca della sua uscita scatenò un dibattito critico nel posizionarsi in una zona grigia che confinava da un lato con lo spiritualismo, preciso fenomeno di costume dalla dignità quasi scientifica in epoca vittoriana, e dall’altro con le nascenti influenze filosofiche psicanalitiche. 

Se con Hill House però Flanagan aveva limitato la propria esplorazione a un unico testo (Abbiamo sempre vissuto nel castello), usando la casa stregata per raccontare una storia di famiglia disfunzionale, di trauma, di lutto, con questa seconda stagione antologica ha voluto creare un mosaico di contenuti usando altri racconti di James per andare a colmare gli spazi vuoti e gli angoli oscuri della tenuta di Bly, dimostrando non solo un’enorme passione per lo scrittore, ma anche la capacità di creare un corpus unico da una molteplicità di storie, tutte accomunate dalle stesse atmosfere di sospensione esistenziale, di vaga angoscia, tutte stracolme di presenze umane e meno umane, storie d’amore, di gelosia, di rimpianto, tutte, insomma, storie di fantasmi. Così, Il giro di vite, già di per sé costruito a cornice, diventa una vera e propria matrioska di cui qui proviamo a osservare da vicino tutti i pezzi (n.d.A. i racconti sono tutti presenti in traduzione nella raccolta Racconti di fantasmi, fatta eccezione per L’allievo e Le due facce).

Il luogo benedetto 

Il primo episodio richiama un racconto non particolarmente macabro, la storia di uno scrittore, George Dane, in cerca di un luogo in cui ritirarsi, lontano dalle incombenze lavorative e sociali. Un luogo ideale, sospeso e lontano dalla realtà, ma popolato di presenze umane, la cui sovrannaturale essenza è data dall’essere fuori dal tempo e dalla struttura sociale. Come lo scrittore, Dani arriva a Bly Manor guidata da un desiderio di fuga, una fuga da un trauma doloroso, ma le stanze della magione, che le sembrano allargarsi di notte come si allarga la stanza di George Dane alla fine del racconto, non le danno alcun senso di pace. Già qui vediamo come l’uso che fa Flanagan del racconto di James è certosino nell’attenzione al dettaglio, pur operando, come del resto farà anche con gli altri episodi, una quasi totale riscrittura. 

L’allievo 

Nel secondo episodio siamo trasportati nella storia di Miles e di quello che, solo a posteriori, scopriremo essere il suo rapporto con il fantasma di Peter Quint. Il racconto di James  tratta della relazione tra un giovane di talento, ma di pessima famiglia, e il suo insegnante, un intellettuale squattrinato. I toni della tragedia si esplicitano non solo nella realtà sociale ed economica che fa da impedimento alla realizzazione del potenziale del giovane, ma anche nella speranza disattesa della relazione (l’insegnante tentenna nell’accettare di farsi carico del ragazzo, e questo muore). Negli interstizi scavati dal non detto, la relazione tra i due va in realtà ben oltre quella pedagogica, così come viene fatto accenno nel caso di Miles e Quint. Flanagan, lungi dal lanciarsi nell’ipotesi di esplorare situazioni al limite della pedofilia, risolve quest’allusione sovrapponendo Peter a Miles nel rapporto di possessione, tuttavia le discussioni tra i due assumono spesso delle tinte di vaghezza morale che richiamano alla relazione del racconto. James spesso inseriva nelle sue storie il tema della pulsione erotica, anche transgenerazionale, e questo è ripreso dalla serie solo nella presenza fisica di Miles come “vettore” di Quint, il che fuga ogni “pericolo” di indugiare in territori particolarmente scomodi. 

Le due facce 

I due episodi sotto questo titolo riguardano la storia di Rebecca Jessel e Peter Quint, una storia d’amore tormentato dietro la cui facciata si cela una relazione abusante e manipolatoria. Il racconto a cui fa riferimento è un racconto che all’apparenza tratta di una relazione clandestina, un tradimento e una vendetta, ma la cui vera tematica cardine è la trasgressione di classe. Aspetto ripreso costantemente dal personaggio di Peter Quint, nella sua invidia di classe che palesa sia con Rebecca che con Hannah, si tratta di un tema caro a James, presente anche ne Il Giro di Vite in maniera accennata, sotteso a tutta la narrazione. Inoltre, il rapporto tra Rebecca e Peter è duplice, a metà strada tra la relazione consensuale e l’abuso, è una relazione in cui la giovane istitutrice si ritrova letteralmente intrappolata in una dinamica di possesso, che è anche una sorta di eco lontana al capolavoro di James, Ritratto di Signora. L’attaccamento di Peter è manipolatorio, letteralmente omicida, in quella che diventa una sorta di rappresentazione del femminicidio di cui vediamo tutto il travestimento da dichiarazione “d’amore” eterno. 

Gli amici degli amici 

Altro racconto a cornice, una narratrice racconta della sua ossessione verso una sorta di affinità elettiva sovrannaturale tra due suoi amici, che però trovano risoluzione della propria unione predestinata solo in spirito, dopo la morte. L’episodio riguarda la backstory di Dani e del fidanzato morto, Ed. Qui troviamo un altro racconto nel racconto, Sir Edmund Orme, la storia di una donna perseguitata dal fantasma di un fidanzato abbandonato alla vigilia delle nozze. Il riferimento alla tematica del rimpianto, del senso di colpa, e della persecuzione, che in James si risolvono solo nella morte, trova una sorta di lieto fine catartico qui, con il falò in cui Dani brucia gli occhiali di Ed riuscendo così a liberarsi dalle sue apparizioni. In un certo senso, Flanagan trasforma questa storia in una storia di accettazione della propria sessualità, poiché solo nel momento in cui Dani si lascia andare al rapporto con Jamie (alla quale sembra essere legata da una potente affinità elettiva, come i protagonisti del racconto) può liberarsi dal peso della colpa e dal passato che la perseguita. (Inoltre, a riunirsi nella morte qui sono Owen e Hannah, che finalmente riescono a trovarsi nel dolore del lutto, a tutti gli effetti, pur essendo ormai troppo tardi per vivere la propria storia d’amore.)

L’altare dei morti 

Il protagonista del racconto, George Stransom, prova a tenere in vita la memoria dei suoi affetti defunti celebrandoli in una chiesetta defilata con un altare pieno di candele, e condividendo questo rito con una donna conosciuta lì, con la quale scopre di avere anche altro in comune. Il tema del ricordo e della memoria, del lutto e della paura della morte si affiancano qui al tema del rimpianto e del non detto, del perdono e della liberazione dal rancore che pesano sull’esistenza di George e dal quale riesce a liberarsi solo in punto di morte. 

Il quinto episodio è forse il più potente di tutta la serie, e ruota tutto intorno ad Hannah Grose. Qui vediamo la donna alla prese con le vicende che l’hanno portata a chiudersi in una vita votata al suo ruolo di governante, senza darsi la possibilità di vivere un nuovo amore dopo l’abbandono del marito. Il tema della memoria ritorna fortissimo in questo episodio, che è qui, come nel racconto, la memoria dei morti. Scopriamo la vera storia di Hannah solo alla fine, e da quel punto, da quella crepa nel muro, possiamo ripartire a ritroso a rileggere tutta la serie appena vista. 

L’angolo prediletto 

Uno dei racconti più famosi di James, che parla di un uomo perseguitato dal suo doppio, il fantasma di colui che sarebbe potuto essere ma non è stato. In questo episodio scopriamo la storia di Henry, anche lui perseguitato dal suo doppio, e condannato a rivivere il doloroso passato della sua relazione con Charlotte nonché della morte di Charlotte e Dominic. Il senso di spaesamento che trasuda dalle pagine del racconto di James si ritrova nello spettatore atterrito di fronte alla bravura di Henry Thomas, che riesce a risultare nello stesso tempo straziante e terrificante. 

La romanzesca storia di certi vecchi vestiti 

Questo episodio funge da origin story/spiegone dell’intera serie, nonché da film a parte. Preso singolarmente, infatti, La romanzesca storia di certi vecchi vestiti ha dignità di storia conclusa di per sé. La serie e il racconto qui si sovrappongono quasi completamente, fatta eccezione per la scelta di motivare il personaggio di Viola di una potenza volitiva e di una “gravità” che poi fungeranno da fulcro dell’intera casa stregata. Tutto l’episodio, tranne pochissimi momenti, è raccontato dalla voce narrante, che riesce a conferire i sentimenti e la profondità dei personaggi rappresentati, come una sorta di versione audio del racconto di James corredata di immagini in bianco e nero (forse la scelta formale meno interessante e più didascalica di tutta la serie). La storia della gravità di Viola, del suo desiderio di ricongiungersi con la figlia, la sua ossessione e il suo attaccamento alla vita oltrepassano la memoria. La spinta del fantasma che si muove oltre i confini del racconto di James (che termina sulla morte della sorella di fronte al baule aperto), resiste alla fugacia del ricordo che sbianca e cancella i volti, permanendo in quel passato su cui non si può contare, come dice Owen ad Hannah, parlando dell’inattendibilità del ricordo che, come un narratore jamesiano di cui mettiamo in discussione la credibilità, riscrive, offusca, estingue il nostro legame con il passato e con i morti. Viola che si rifiuta di essere dimenticata e di “andare in pace” è l’emblema del lutto, tema portante di tutta la stagione, nonché della serie in generale. 

La bestia nella giungla 

La bestia nella giungla, considerato da molti il miglior racconto di James, dà il titolo all’episodio finale, che contiene un finale multiplo: la fine della maledizione e dell’infestazione di Bly Manor, il racconto della storia d’amore di Jamie e Dani, e il finale più esterno al racconto, che si chiude circolarmente con l’inizio. La storia d’amore, nello specifico, è la riscrittura del racconto di James di cui Flanagan sconvolge le conclusioni, riscrivendolo totalmente, in un certo senso, a lieto fine. Nel racconto, May Barthram conosce un uomo che è ossessionato dall’idea che qualcosa di terrificante e catastrofico gli accadrà nella vita, qualcosa di nascosto e oscuro che, come una bestia in attesa nella giungla, lo assalirà, destinandolo a una fine terribile. Afflitto da questa paura, John Marcher trascorre i suoi giorni nella negazione di ogni possibilità, e non vuole sposarsi per non trascinare un’altra persona in questo destino. Alla fine dei suoi giorni si accorge di aver sprecato la sua esistenza, e l’amore della donna che gli è stata accanto. Sembra chiaro che il fantasma della bestia nella giungla è la paura stessa, quella paura che paralizza e impedisce i movimenti, l’attesa della catastrofe che è essa stessa catastrofe e tragedia. Ecco che in questo finale vediamo come la riscrittura di James che fa Flanagan si spinge a voler dare una possibilità a i nostri John e May,   che qui sono Dani e Jamie, che riescono in qualche modo a “vincere” sulla bestia nella giungla, vivendo il proprio amore giorno per giorno, senza paura. 

The Haunting of Bly Manor: ogni storia di fantasmi è una storia d’amore

Nonostante il rischio di trasformare questa seconda stagione in un mix pasticciato, il lavoro ambizioso sembra essere riuscito a Flanagan, grazie anche alla coerenza delle tematiche dell’opera di James, nonché al potenziale intrinseco de Il giro di vite di espandersi in maniera tentacolare in un quadro più ampio in cui le altre storie si inseriscono con estrema naturalezza, pur mutandone profondamente le conclusioni. La serie si muove sulle tinte (e sulle pompose sottolineature musicali drammatiche) del romanzo gotico, esattamente come l’opera dell’autore americano, ma prende una direzione precisa che James non ha osato chiudere intorno alla propria ampiezza narrativa. L’esplorazione dei sentimenti si risolve in una dichiarazione finale: quella che abbiamo visto è una storia d’amore, poiché ogni storia di fantasmi è, a suo modo, una storia d’amore. Amare, di fatto, significa anche soffrire, prima o poi, per il lutto, per la perdita, e tutte le storie di fantasmi sono storie di lutto e perdita.

Non è certo lo spazio vastissimo e complesso, sociale e culturale, in cui si muoveva Henry James con i suoi fantasmi, ma di sicuro è uno spazio che possiamo riconoscere come profondamente umano e toccante.

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