Autore: Chiara Marianna Coscia

La rivoluzione in televisione. “1971”: la serie di Kapadia che racconta un’epoca.

Immaginando una graduatoria di forme narrative ordinate per potenza d’impatto, la musica occuperebbe il primo posto. I livelli di coinvolgimento e riconoscimento che suscita sono estremamente corporei: i bassi si sintonizzano sui suoni interni, le terminazioni nervose si allertano, il ritmo ci muove, le endorfine esplodono. Con la musica siamo sensi e unità senza scissione.  Siamo corpi che sentono.  L’immersività dell’esperienza musicale appartiene anche al cinema, alle serie TV, ai podcast: ovunque ci sia una colonna sonora che si intreccia con la narrazione si innesca una reazione emozionale. Altissimo punto di pregio artistico, infatti, è riuscire a mettere insieme la linea musicale e sonora di un prodotto visivo e farla dialogare con le scene. Potrebbe essere un discorso molto personale, intimo, ma in effetti lo sono anche la fotografia, la lingua, le ambientazioni, i costumi. Le storie sono fatte di scelte, e le scelte che caratterizzano questa storia partono proprio da lei, dalla musica. 1971: The Year That Music Changed Everything Un punto di forza di 1971: The Year That Music Changed Everything, la docuserie …

Chi ha paura di Biancaneve?

Tra Barhtelme, Sexton, Gaiman: di questioni di classe e dell’orrore perduto. “Biancaneve”, dicemmo, “perché rimani con noi? Qui? In questa casa?” Ci fu silenzio. Poi disse: “Credo che si debba a una mancanza di immaginazione. Non sono stata capace di immaginare niente di meglio”. […] “Ma la mia immaginazione si sta risvegliando”. Donald Barthelme, Biancaneve Quella di Biancaneve è una delle fiabe più conosciute di sempre. Delle origini, tuttavia, è difficile parlare. Nonostante ci rimandi immediatamente alla tradizione nordica, i dettagli, le linee archetipiche e i motivi si ritrovano in altrove diversi tra loro, dall’Asia al Mediterraneo. Più ci si allontana indietro nel tempo, più la ricostruzione si oscura, si mescolano versioni: per dirla con Deleuze e Guattari, siamo nella struttura rizomatica e volatile di una storia che muta in intersezioni variabili di cui è impossibile (ma poi – perché auspicabile?) avere perfetta contezza.  Cos’è una fiaba? Una fiaba è un continuo processo di negoziazione.  Con le fiabe, come coi miti, e con i testi sacri, ci troviamo di fronte a testi autoritari, a cui veniamo …

Riletture dell’American Dream tra “Nomadland”, “Furore” e “The Walking Dead”.

“L’avvenimento in sé e per sé è del tutto irrilevante. Una certa cosa può essere accaduta, ed essere una totale menzogna; un’altra cosa può non essere accaduta, ed essere più vera della verità.” scrive Tim O’Brien in “Come raccontare una storia di guerra”. E in effetti, la manomissione narrativa della realtà è necessaria al suo resoconto veritiero, anche quando si tratta di eventi reali. Ecco perché anche un’inchiesta giornalistica è, prima di tutto, un racconto. Maggiore sarà la sua evocatività, la sua ricchezza di dettagli, la vitalità narrativa, la letterarietà, maggiore sarà la sua risonanza. Sta anche qui il successo di Nomadland, un racconto d’inchiesta, di Jessica Bruder, in Italia pubblicato da Edizioni Clichy nella traduzione di Giada Diano. Lo sappiamo già da quel titolo, tradotto egregiamente, perché nonostante salti il riferimento alla sopravvivenza del titolo originale (che pure è rilevante), ci troviamo di fronte all’immediata assunzione della verità di un genere: Nomadland è un racconto d’inchiesta. Il racconto di inchiesta Il giornalismo d’inchiesta negli USA ha una lunga e rigogliosa storia, costruita su narrazioni …

I Golden Globe 2021: le nuove serie da vedere in un campionato che ha escluso la serie vincente.

La notte fra il 9 e il 10 febbraio 2020 non ho dormito. Non era ancora esplosa (almeno a livello visibile da quaggiù, in mezzo alla massa) quella che poi sarebbe diventata la causa principale di insonnia dei mesi successivi, eppure mi ricordo che quella notte sono rimasta sveglia e felice per un motivo molto preciso: seguire gli Academy Awards in compagnia, seppure virtuale, dalla pagina di Visionari, e commentare i vincitori. Soprattutto, festeggiare Parasite, perché a vincere l’anno scorso è stato, per la prima volta, quello che era davvero il mio film preferito.  Parte della bellezza dei premi, che siano cinematografici o letterari, risiede nella loro componente collettiva. Il potere aggregante delle storie che si trasforma in rituale tifoso. Il tifo bello, quello per e non quello contro, quello per cui si cammina nel mondo all’interno di una comunità immaginaria aggregata da un riconoscimento profondo (in un simbolo, in una maglietta, in una storia), quello per cui se vince il tuo film preferito sei felice – ma se non lo candidano neanche, ti passa …

“SanPa”: un’analisi testuale del documentario

Durante il primo episodio della seconda stagione di Dear White People, Sam White si trova nel pieno di un dibattito sulla neutralità o meno della forma documentaristica. Per avvalorare la sua tesi, la vediamo a cercare online “Documentari che non sono propaganda”. La ricerca non dà nessun risultato.  La scena iperbolica svolge la duplice funzione di punchline comica (Dear White People, per chi non lo sapesse, è una comedy brillante, molto tagliente e ben scritta) e di gancio per il dialogo successivo, in cui Sam afferma che non è tanto l’obiettivo del documentario in sé a dover essere più o meno palese, quanto il nostro sguardo a doversi mantenere il più aperto possibile rispetto alla complessità della verità in senso ampio, che include anche le verità non dette.  Ecco, quello che dice Sam mi ritrovo a ripetermelo ogni volta che approccio un documentario, di qualunque tipo e argomento. Lo guardo mantenendo sempre un piede fuori dalla porta, per timore di essere trascinata dal meccanismo di “educazione veicolata”, di manipolazione, che si può innescare. Questo per …

La divertentissima parodia che non vedremo mai: “Utopia” di Gillian Flynn

Quando Utopia di Dennis Kelly fece la sua comparsa sugli schermi era il 2013. Era un tempo in cui Game of Thrones aveva già animato eserciti di fan che viaggiavano in Nord Europa solo per andare a visitare la barriera. Più indietro negli anni, nel 1979, Jean Francois Lyotard parlava di grands récits e petit récits, e non sapeva né poteva immaginare che la sua analisi della “condizione” postmoderna sarebbe stata applicata, in futuro, anche alle serie TV. Da me.  Ecco, mi piace pensare che la fine di Game of Thrones abbia creato quel genere di spartiacque che Lyotard intercetta tra modernismo e postmodernismo, tra grandi narrazioni e grandi ideologie, e piccole narrazioni, destabilizzanti, parodiche, ripetitive e, tuttavia, fortemente innovative. Non è un giudizio di valore sulle serie pre e post GoT il mio (se ci fosse bisogno di specificarlo, sono un’amante della letteratura postmoderna), è solo una constatazione curiosa.  Era il 2013, dicevo, e scegliere una serie da vedere era questione di poco, non c’era bisogno di ore di scrolling su Netflix, bastava che …

“The Haunting of Bly Manor”: l’universo fantasmatico di Henry James riscritto da Mike Flanagan

Quella di Mike Flanagan verso l’opera di Henry James è di sicuro una storia d’amore. Uno di quegli amori talmente ossessionanti e inebrianti da farti vedere l’oggetto amato circondato di un’aura di luce purissima, al punto tale da riscriverne il carattere, le movenze, le motivazioni, e dare voce a un desiderio di possibilità, più che a una presa d’atto di realtà. Ecco perché sono convinta che non a tutti gli appassionati e studiosi di James possa piacere la nuova serie Netflix The Haunting of Bly Manor, scritta, diretta e prodotta dal regista statunitense, nonché ispirata a Il giro di vite. Chi si aspetta l’ambiguità e la sospensione del racconto si troverà deluso. Questa serie risponde a tutte le domande che Il giro di vite solleva, in maniera esplicita e palese, andando a colmare tutti gli interstizi vuoti e lasciando pochissimo spazio a quella libertà interpretativa che è la cifra stilistica dell’opera di James.  Flanagan è autore di alcuni degli horror più interessanti e di successo degli ultimi anni, Oculus, Ouija, Il gioco di Gerald, ed …

“I May Destroy You”: il come prima del cosa.

SPOILER ALERT: in questo articolo si fa riferimento a dettagli della serie nel titolo in maniera profusa, per cui se odiate gli spoiler vi conviene leggerlo con la mano davanti agli occhi 😉 Qualche giorno fa, Francesca De Lena scriveva, su Facebook, una cosa che dice sempre e che non ci stancheremo mai di ripetere qui: non è tanto il “cosa” si racconta a essere rilevante quanto il “come”. Ecco, se per I May Destroy You, come per la maggior parte delle storie che scelgo di analizzare, il cosa ha comunque sempre un suo accordo con le mie ragioni d’interesse, quello che colpisce più di tutto in questa serie è di sicuro il come, sotto più punti di vista. Ma partiamo dal principio.  Proprio la prima scena, sì.  La prima scena stabilisce non solo l’attacco, il tono, ma è una scelta precisa di messa a fuoco. Quando questa si limita a un’inquadratura fissa di qualche secondo, sappiamo che quell’inquadratura non è lì per caso, che anche se immediatamente dopo finiamo da qualche altra parte nell’universo …

Le scoperte dell’America: “American Gods”

Nell’incontro con un personaggio, se prestiamo attenzione, non ci mettiamo molto a intercettare le battute rilevanti, le linee di dialogo che ci serviranno dopo a indirizzarci nella storia. La percezione di dettagli del genere, ovviamente, si allena, finché arriva un momento in cui precede la nostra consapevolezza, e prima ancora di accorgercene siamo lì a ricordarci una frase letta o ascoltata il giorno prima, e a ripeterla ad alta voce nel bel mezzo di una conversazione.  “This is the only country in the world that wonders what it is”, questo è l’unico paese che si domanda che cos’è, dice Wednesday a Shadow all’inizio di American Gods, parlando dell’America. Eppure è un paese di cui tutto il resto del mondo pensa di aver capito tutto, ho pensato io. Esattamente come scrive Francesco Costa in Questa è l’America: “Ci sono molti posti del mondo di cui sappiamo meno che degli Stati Uniti d’America, ma non ci sono posti con un divario più ampio degli Stati Uniti tra quello che crediamo di sapere e quello che sappiamo effettivamente.” …

La fantascienza ci restituirà il futuro

“Perché non è vero che la vita è sempre bella, che va vissuta a piene mani, che nelle piccole cose sta la felicità. Sciocchezze. Siamo su una canoa senza remi e la corrente non si ferma. Questo è tutto.”  Questa è una citazione da Gli immortali, di Alberto Giuliani, una delle letture che stanno accompagnando un’insonnia comparsa senza preavviso, tra le altre novità di questa primavera. Trovo che sia una perfetta fotografia dell’umore del tempo, e anche il resto del libro, a suo modo, lo è. Il narratore fa un viaggio a metà tra l’autofiction e il reportage, alla scoperta di luoghi dove si scrive il futuro, quello che non vuole arrendersi alla fine, quello che non vuole restare solo un’ipotesi nel presente. Tra astronauti che si preparano alla vita su Marte, cyborg umanoidi, cani clonati e bunker sotterranei costruiti per resistere alla “fine” del mondo, Giuliani rincorre una domanda: come si sopravvive all’improvvisa consapevolezza della propria mortalità? È una domanda che riecheggia nell’aria (quest’aria di cui in queste settimane abbiamo sempre più fame) ma …