La scrittura è un fantoccio appeso sopra la mia testa
di Beatrice Galluzzi L’ossessione per le parole è nata assieme alla smania del non poterle usare. Tra i banchi di scuola, costretta a un silenzio riverente, incapace nell’osservanza delle regole più elementari, quelle dello stare ferma e zitta. Nella perenne distrazione dai discorsi di cui intravedevo il significato, e che fluivano dalle labbra di maestre pazienti e volitive. Così come si conviene, dovevo stare attenta e partecipare, interloquire, rispondere. E invece, scrivevo. Più nozioni venivano messe in cattedra più il pensiero si dispiegava in diramazioni che non potevo fare a meno di imboccare, senza mai scegliere la strada che mi portava indietro, ma accelerando il passo. Come forma, la mia scrittura è cominciata in rima. Reduce da pomeriggi passati ad annusare l’enciclopedia dei Quindici, alternando filastrocche a detti popolari, costruivo poesie inzeppandole di parolacce, per poi leggerle ai miei compagni e divertirmi con loro. E ogni volta, venivo ripresa. Parla troppo, dicevano gli insegnanti, Beatrice parla sempre. Avevano ragione, ma se non avessi scritto sarebbe andata anche peggio. Sicuramente non avrei saputo che cosa farne, …