lettura, non prenderla come una critica
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Sei ciò che scegli. Critica a “Cosa pensavi di fare?” di Carlo Mazza Galanti

L’uomo fa le scelte e le scelte fanno l’uomo. Che succede allora se si prende in considerazione una specie d’uomo molto particolare, l’umanista, che ha compiuto lo sconsiderato peccato originale di non voler entrare nei meccanismi del «capitalismo occidentale», decidendo di porsi in una posizione a margine rispetto al «sistema produttivo», per esserne osservatore critico nel ruolo – che pur qualche prestigio ancora conserva – dell’intellettuale, e lo si innesta quale protagonista in un modello narrativo, quello del librogame, che lo piazza da quel momento in avanti di fronte alle difficoltà della vita rude e materiale? Riuscirà a mantenere alte le sue aspirazioni e a concretizzare i suoi sogni? Si realizzerà nel lavoro e nell’amore? Dipenderà dal lettore, cioè dalle scelte che compirà in ciascuno dei bivi prospettatigli da Carlo Mazza Galanti nel suo ultimo libro Cosa pensavi di fare? Romanzo a bivi per umanisti sul lastrico, il Saggiatore.

Il flusso del diagramma

Se c’è una cosa che va riconosciuta subito a questo romanzo è la sua chiarezza e fluidità narrativa, in quanto – risultato altissimo per uno scrittore – appare insolitamente difficile mettere giù il libro. Aiutano in questo senso la sintassi per lo più paratattica, i procedimenti accumulativi, gli elenchi. Non meno funzionale risulta la concatenazione dei paragrafi, a proposito dei quali va inoltre notato come il meccanismo di scelta tipico del genere non rallenti né spezzi realmente la lettura, ma anzi aggiunga una spezia in più alla già gustosa ricetta letteraria messa a punto dall’autore.

Potrebbero farlo viceversa i lanci di moneta o di dadi, ma questi espedienti sono ridotti al minimo. Verrebbe da dire per fortuna, salvo il fatto che la loro presenza possiede una funzione ludica non secondaria, oltre a stare a significare, nelle varie occorrenze, il carattere aleatorio di certe scelte.

I capitoli hanno pressoché tutti una densità semantica che, dipendente com’è dalla volontà dell’autore di dare di essi, nella brevità, un’immagine il più possibile vicina a quella dei paragrafetti dei librogame, lo ha spinto a concentrare il massimo di concetti e immagini nel minore spazio possibile. Ne risultano brani tesi e concentrati alla fine dei quali di regola si trova un cliffhanger: ogni situazione in bilico è lasciata alla libera scelta del lettore, che si trova a dover opzionare un’alternativa fra due e più raramente fra tre.

Immergersi nell’antiromanzo

Sarà la canonica seconda persona singolare, sarà lo spirito giocoso sapientemente alternato a pillole di lucida profondità e di placida amarezza, sarà l’incedere ipnotico del discorso, il suo agglutinarsi, il suo vortice di termini pop, tecnicismi, riferimenti alla storia recente d’Italia, all’immaginario collettivo, saranno le tangenze che quasi a ogni pagina, fatalmente e inopinatamente, si possono rinvenire con la propria biografia o con qualcuna delle centomila vite concentrate nell’unica esistenza che è dato a ciascuno di condurre (tutte caratteristiche, quelle elencate, che ricordano da vicino certo Perec degli anni Sessanta), ma l’immersione che dà questo romanzo di romanzi, questo antiromanzo uno e trino, sfaccettato ed esponenziale, è notevole.

È tanto facile smarrirsi nei suoi sentieri che si biforcano o triforcano che ci si ritrova a distanza di un’ora o più senza averne mai distolto gli occhi, specialmente se si condivide con il/i protagonista/i lo status di «umanisti sul lastrico», il che dà un sapore del tutto peculiare all’esperienza di lettura, permettendo di (ri)vivere intimamente le storie raccontate, (ri)percorribili e variabili a proprio piacimento n volte.

Ai libri chiediamo di non farci sentire degli spettatori distaccati, che osservano quanto accade da lontano, bensì di stregarci con l’illusione di essere nella storia: per conseguire simile risultato, quale migliore tecnica letteraria del librogame? La scelta è stata, in quest’ottica, fruttuosa e gravida di implicazioni. A ottenere l’effetto sopra descritto compartecipano una certa attenzione alle ambientazioni, una capacità descrittiva che si smarca scrupolosamente dal tedio, un indubbio talento nel restituire lo spirito del tempo o un vissuto comune o ancora un’atmosfera propria solo di certi anni e di certi ambienti (ad esempio le assemblee, le occupazioni, etc.)

Ci si potrebbe chiedere come sia possibile appassionarsi a una vicenda senza azione e avventura. Ma quest’ultimo assunto è errato: la vita, e quella degli «umanisti sul lastrico» in particolare, è irta di ostacoli e inciampi, quindi – per il lettore-giocatore – nient’affatto noiosa. Senza contare che lo spettat(t)ore potrà gustare il sapore squisitamente kafkiano dell’avventura nel mondo del lavoro (basti leggere un capitoletto come ‘Orizzonte scuola’).

La perdita delle illusioni

Poteva esserci il rischio che il protagonista delle vicende narrate non avesse profondità, in quanto il protagonista sei tu (senza offesa). Al contrario Mazza Galanti ci impone le profondità dei suoi personaggi quasi a ogni paragrafo: nel realizzarsi del proprio personalissimo romanzo di formazione (alla prima lettura, ad esempio, il sottoscritto si è ritrovato alla fine a essere un supplente scopertosi tardivamente gay che abbraccia uno stile di vita neorurale) lo scavo introspettivo c’è, a volte trasmettendo sentimenti misti di malinconia e disincanto, e altre volte sensazioni e pensieri di chi si arrabatta fra ruvida realtà, non priva di lascivi momenti di estasi, e ideali via via ridimensionati.

L’autore inoltre ci sorprende qua e là con punte di poesia e sapienza verbale, come la seguente frase, che salta all’occhio prima di tutto per la paronomasia e l’allitterazione: «Oltre le arcate, nel rosso oleografico di un tramonto romano, gli stormi di storni scolpiscono solo per voi forme maestose e cangianti», p. 87).

Tutto ciò conferisce intensità emotiva alla lettura. L’autore riesce a commuovere e a far ridere: l’abilità più encomiabile in chi scrive, poiché se hai il potere di controllare le mie emozioni, non c’è che dire, stai facendo dannatamente bene il tuo lavoro.

Mazza Galanti si tiene alla larga da cliché e stereotipi, e lo fa anche nella progressione delle trame, che se da una parte sono determinate dalle scelte del lettore, non sempre sfociano in ciò che ci si aspetterebbe di trovare. È la dinamica scelta–imprevisto tipica dei librogame che, replicata con maestria dall’autore, movimenta qui la lettura.

Un librogame adulto

Una volta appurata l’originalità di un’opera è opportuno chiedersi: questa originalità si è tradotta in un buon risultato? Verifichiamo prima di tutto se un’originalità effettivamente c’è. Cosa pensavi di fare? assomiglia a tentativi (penso soprattutto ad Andrea Angiolino e Alina Reyes), già compiuti nei decenni passati, di sganciare il librogame da una dimensione prettamente ludica o frivola e di eleggerlo viceversa a struttura che non solo possa coinvolgere di più il lettore, il quale oltre a essere spettatore si fa tramite le sue scelte anche attore delle vicende, ma offra un simbolo metatestuale dei sentieri intricati, variegati, labirintici, della vita (o di certi suoi episodi o frangenti), o per lo meno una tematizzazione del libero arbitrio (questione problematica: «La decisione è un prodotto ibrido di automatismo, fattori esterni e desideri», p. 84).

In considerazione di questi precedenti, il romanzo di Mazza Galanti rappresenta una novità relativa. Tale cioè rispetto alla schiacciante maggioranza di romanzi, che solo in rari casi, come questo, si avventurano nell’esplorazione delle potenzialità di forme diverse e anomale d’espressione narrativa.

Per dirla tutta, però, il genere librogame – sottogenere della letteratura ergodica imparentato con l’Oulipo e a proposito del quale viene spesso evocato il nome di Borges – è tornato in auge proprio negli ultimi anni, soprattutto per influsso di alcuni prodotti audiovisivi e più in generale per un revival della cultura pop e dell’estetica degli anni Ottanta, tanto da indurre gli editori a ristampare la celebre serie di Lupo Solitario, che peraltro l’autore cita nel suo libro.

Fatto tutto questo preambolo, occorre specificare che, originalità o non originalità (per me è il perfetto coronamento di un processo di nobilitazione), Mazza Galanti quello che fa lo fa bene, certo con un pizzico di sana nostalgia, ma con strumenti concettuali ed espressivi adulti nel senso ampio del termine.

Romanzo generazionale?

Il librogame di Mazza Galanti è uno di quei libri che ti fanno sentire una persona diversa a lettura terminata, regalandoti uno sguardo nuovo, lo sguardo del loro autore. Ha organizzato, imbrigliandolo in questa struttura sofisticata, un ragionamento che unisce i puntini di tante questioni che concernono chi ha scelto la strada degli studi umanistici, ma non solo, perché per almeno due terzi il romanzo parla di tutti noi. In particolare della generazione dei nati negli anni Settanta e Ottanta (che, forse non è un caso, è anche il periodo in cui sono nati i primi giochi di ruolo e i primi librogame), ritrovatisi adulti nei primi decenni di questo secolo irrequieto. Cosa pensavi di fare? è forse, in questo senso, il romanzo generazionale che mancava alla nostra letteratura.

Di certo costituisce una notevole variazione sul tema delle illusioni perdute, declinato nelle tre diramazioni del lavoro, dell’amore e della vita. Incidentalmente, con un confronto fra i rispettivi diagrammi, è da rilevare che l’amore appare più complicato delle altre faccende dell’esistenza umana. Ad ogni modo, che si tratti dello scendere a compromessi nella ricerca del lavoro, dell’assalto all’altra metà del cielo, o della continua dialettica fra realismo e idealismo che guida le scelte di vita di ciascuno, il motivo ricorrente dell’agile libretto e degli anni da esso rappresentati sembrerebbe essere la precarietà, o per essere meno riduttivi la problematicità, l’aspetto incidentato del vivere, che ci pone di continuo di fronte a bivi.

Bivi rispetto ai quali si compie di volta in volta il gesto inaudito della scelta, che ci preclude altre strade (splendida l’immagine delle «sirene che cantano davanti alle biforcazioni che non imboccherete mai», p. 69), ci fa interrogare talora su ciò che avrebbe potuto essere e non è, oppure sulle soluzioni a tutti i nostri problemi che forse ci hanno sfiorato ma che ci siamo lasciati scappare («Ti chiedi se da qualche parte, in qualche snodo della vicenda, c’era una soluzione che ti sei lasciato sfuggire, un’opzione mancante, una botola o una biforcazione che non hai visto e che ti avrebbe guidato altrove», p. 52), e ci conduce inesorabilmente verso altri bivi, altre scelte e altre, corrispondenti, ramificazioni esistenziali.

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