Il mese di Beatrice Galluzzi
Come diversivo nel marzo dell’insonnia e dell’agitazione mi sono dedicata alle letture che più mi rilassano: quelle inquietanti. Ho cominciato con Orient di Christopher Bollen un thriller in cui l’attenzione è centrata sulle falsità intrinseche di un gruppo di ricchi artisti newyorkesi che credono di ritrovare l’ispirazione su una punta estrema di Long Island. Un’altra lettura davvero appagante è stata quella di Carnaio di Giulio Cavalli, in cui un’apocalisse di cadaveri tutti uguali per età, colore della pelle e peso, si arena sulla costa di un paesino di provincia, i cui abitanti, all’inizio destabilizzati, ne sfruttano le potenzialità in modo macabro. Ho riletto l’intramontabile I ricchi, di Joyce Carol Oates, stavolta in un audiolibro interpretato da Riccardo Bocci. Con rinnovata riconoscenza mi sono fatta cullare dalla voce di Richard, ricco emarginato e incattivito, ossessionato da una madre incostante, assassino e distruttore di sé stesso e del suo privilegiato status.
Rimanendo sempre sul tema del grottesco e dell’angosciante, ho visto la serie tv The staircase, girata durante i tanti processi allo scrittore Michael Peterson, accusato di aver ucciso la moglie, ritrovata in un lago di sangue ai piedi delle scale. Non si capisce – non si è mai capito fino in fondo – come due delle sue compagne siano morte in modi simili, avendo solo lui come costante ad accomunarle. Eppure, nonostante la condanna, ci ritroviamo davanti a evidenze che confermano il contrario, ovvero la sua possibile innocenza. I’m a killer è l’altra serie che mi ha fatto compagnia: documentari in cui vengono intervistati detenuti nel braccio della morte, ricostruendo le vicissitudini che li hanno portati a compiere un omicidio.
Con il Tarantino di Grindhouse – A prova di morte mi sono davvero tirata su di morale. Vale la pena vederlo anche solo per ammirare le straordinarie doti della stuntwoman professionista Zoë Bell che interpreta se stessa. Non sono molto al passo con i film candidati agli Oscar di quest’anno, ma ho visto e apprezzato Don’t Look up, quantomeno perché ha centrato un tema scomodo in modo creativo e ricreativo.
Il mese di Chiara M. Coscia
È stato un mese di lavoro intenso e affaticamento mentale, che mi ha portata a leggere davvero pochissimo. Però ho scoperto un paio di cose che vale la pena lasciare qui: Poet X di Elizabeth Acevedo, tradotto da Simona Mambrini e Anna Rusconi, un diario in versi con dei guizzi poetici freschissimi (la voce narrante è una ragazzina di 16 anni) e una costruzione avvincente. Per restare nel dolore, che – quando non nego – frequento con ossessione, ho divorato in unica seduta Appunti sul dolore di Chimamanda Ngozi Adichie, tradotto da Susanna Basso (che io ho ascoltato in audiolibro in inglese qui, per chi volesse cimentarsi. Adichie è, anche, una lettrice meravigliosa e dalla lingua chiarissima). È un brevissimo memoir sulla morte del padre, avvenuta in pieno lockdown, e sulla necessità assoluta dei rituali di addio.
Ho visto diversi episodi pilota e recuperato con estremo ritardo Inventing Anna, di cui ho solo da dire “Shonda Rhimes è sempre Shonda Rhimes, per chi la frequenta è confortante”, ma c’è una sola serie nuova che sto seguendo con interesse: Severance su Apple TV, serie di fantascienza speculativa su un mondo in cui l’io lavorativo è scisso dall’io privato, per cui gli esseri umani si fanno letteralmente mettere uno sdoppiatore nel cervello che separa la propria esistenza in due. Estremamente attuale e deprimente nei temi e curatissima nell’estetica minimale e vagamente brutalista, ci sono John Turturro e Christopher Walken innamorati a rendere l’atmosfera sopportabile.
Sono un po’ delusa dagli Oscar di quest’anno, perché non c’è niente che mi abbia fatto saltare dal divano in preda al mio classico esplosivo e maniacale entusiasmo, però ho molto apprezzato Licorice Pizza di Paul T. Anderson, un film dalla trama esilissima che si regge molto bene su dialoghi estremamente curati, personaggi magnetici e una colonna sonora che penso smetterò di mettere in loop a settembre. Eccola: Licorice Pizza soundtrack.
Altro candidato che segnalo: un documentario sulla tragedia degli homeless della West Coast, Lead me home. Lo trovate su Netflix, se avete la forza di arrivare alla fine, sui titoli dì coda vi aspetta un pezzo bellissimo di Angel Olsen, Endless Road.
Il mese di Francesca de Lena
Marzo in compagnia del covid e quindi più tempo per le storie.
Ho letto Cane da petrolio di Rick Bass, raccolta di racconti (Mattioli 1885, traduzione Silvia Lumaca) scritta con una penna che coagula sguardo impressionista ed espressionista e tratta le ambientazioni come quadri; Anche le sante hanno una madre di Allan Gurganus (PlayGround, traduzione di Baiocchi e Tagliavini) di cui mi ero innamorata tanti anni fa con Santo Mostro (e mi accorgo solo ora della coincidenza di titoli): breve, ritmato, leggero di quella leggerezza che ha da dire qualcosa; Felici i felici di Yasmina Reza (di cui ora c’è in libreria Serge), polifonia di prospettive, personaggi che si intrecciano ma che intanto si auto-concludono a ogni singolo capitolo; il reportage Racconto di una guerra di Emmanuel Carrère: maestro del “racconto laterale”, mentre tutti guardano da una parte lui tira fuori le storie nascoste dell’altra, in questo caso in Russia.
Ho scovato Cruel Summer su Amazon Prime: serie tv teen-thriller con qualche ingenuità ma con un bel lavoro cromatico che rappresenta e esaspera le tre diverse linee temporali.
Ho recuperato un Clint Eastwood, Richard Jewell, meraviglioso, forse uno dei suoi più belli, con protagonista un Paul Walter Hauser ingiustamente poco premiato, attore comico in parte come non mai in un ruolo drammatico.
Ho recuperato anche un Emma Dante, Le sorelle Macaluso, capolavoro di costruzione scenica e di regia (la casa è protagonista della vicenda: il famoso “non detto” sviluppato in ogni camera, angolo e scaffale, ogni inquadratura una storia intera). Tre soli piani temporali che racchiudono una lunghissima vita: sembra la costruzione di un racconto, una cosa piccola che scoppia. Oscar: ho visto Il potere del cane, di Jane Campion. Classicone, attoroni, bellissima tensione, spazi e fotografia, qualche svolta un po’ forzata. Mi dicono che non ho capito il finale, secondo me sì.
Ho ascoltato Perché Pasolini? podcast di Walter Siti prodotto da Chora. Io non amo Pasolini, né come autore né come intellettuale, amo però Siti ed è stato molto bella, interessante e formativa la conferma di quanto anche le storie a te più lontane (nel mio caso la storia-Pasolini) possano coinvolgerti e avvicinarsi alla tua esperienza a seconda di come ti vengono raccontate. Nella sua introduzione Siti dice che non si ha bisogno di Pasolini in virtù di quello che ha fatto ma in virtù del nostro bisogno di letteratura, e io il bisogno di letteratura ce l’ho senz’altro.
Ho scoperto su IG, non ricordo più come, il profilo di Vincent Bal, artista belga che disegna giocando con le ombre degli oggetti. Mi fa impazzire.
Il mese di Luca Mercadante
Fuori orario di Martin Scorsese. Da ragazzino mi capitò di vederlo su un canale privato locale, non sapevo neanche chi fosse Scorsese e per anni credetti fosse un film ignoto, un capolavoro che conoscevo solo io, ma del quale non sapevo il nome e che quindi ero sicuro non avrei più rivisto. L’altra notte è tornato a farmi compagnia su Prime video.
The Story of Film: An Odyssey Sono passati dieci anni da quando ho visto per la prima volta (ma sarebbe il caso di dire “ho studiato per la prima volta”) questo documentario: monumentale, impegnativo. Quindici puntate, disponibili su Raiplay, in cui Mark Cousins rilegge la storia del cinema dagli albori fino all’avvento del digitale. Per me meglio di un corso di laurea.
Tognazzi. La voglia matta di vivere di Ricky Tognazzi su Raiplay. Perché, quell’uomo lì, Ugo Tognazzi, mi ha insegnato a ridere della cattiveria con cattiveria.
Il mese di Primavera Contu
Ho iniziato a leggere Quel fantastico peggior anno della mia vita, di Jesse Andrews, e per adesso è una continua risata. Sembra di leggere il pilota di una serie tv e non è certo un caso: Andrews è, tra le altre cose, sceneggiatore di Luca, candidato agli Oscar come Miglior Film di Animazione. Ho iniziato anche Dove sei, mondo bello (Einaudi, traduzione di Maurizia Balmelli), ultima fatica di Sally Rooney che rientra nella mia zona di comfort (ma spero di trovarci anche qualcosa di più del mero riconoscimento).Mi accomodo di meno, invece, suMemorie della piantagione. Episodi di razzismo quotidiano (Capovolte, traduzione di Mackda Ghebremariam Tesfau e Marie Moïse), dell’autrice portoghese afrodiscendente Grada Kilomba, nota per l’uso sovversivo e non convenzionale delle pratiche artistiche. Fin da pagina 25: “Scrivere, dunque, emerge come un atto politico”. Sul metaforico comodino mi aspetta anche Trevor Noah, con il suo Nato fuori legge. Storia di un’infanzia Sudafricana (Ponte alle Grazie, traduzione di Andrea Carlo Cappi).
Mi fanno compagnia anche la quarta e ultima stagione di Killing Eve e la prima di From, un horror che mi ricorda le atmosfere di tanto teatro anni 2010, e la deludente seconda stagione di Guida Astrologica per Cuori Infranti (di cui però ascolto ossessivamente la colonna sonora). Ho recuperato finalmente BlacKkKlansman e Velvet Buzzsaw, quest’ultimo dallo stesso regista e sceneggiatore di Nightcrawler, un bizzarro thriller/horror, parodia del mercato che regola l’arte contemporanea.
Infine, sono tornata a teatro dopo un periodo lunghissimo: ho visto Best Regards, di Marco D’Agostin; si parte dalla personalissima riflessione dell’autore e coreografo sulla corrispondenza e sulla morte per arrivare a un piccolo rituale collettivo