Il nuovo, bellissimo, romanzo di Domenico Starnone s’intitola “Lacci” e racconta lo stare insieme. Non l’amore, non la coppia, non il matrimonio, ma: frequentare la vita insieme, che in alcuni casi prevede anche separarsi e poi ritornare, senza che questo significhi ritrovarsi.
Il romanzo ha una struttura che in ogni parte evoca la forma del racconto; com’è ovvio non la duplica fedelmente, ma ne suggerisce di continuo il legame: questo è un pezzo a sé; questa scena si basta da sola; qui puoi anche fermarti per un po’, c’è tutto quello che bisogna sapere.
È composto di tre parti, e queste parti non si chiamano Parti, ma Libri (storie con un inizio e una fine): Libro primo; Libro secondo; Libro terzo.
Il “Libro primo” è il più affascinante e il più tecnico del romanzo: la voce narrante di Vanda, la moglie lasciata, costruisce il periodo della rottura del matrimonio attraverso 12 lettere indirizzate al marito fedigrafo. Starnone fa qui in maniera magistrale un’operazione a metà tra “La voce umana” di Jean Cocteau e “Caro Michele” di Natalia Ginzburg. Nell’atto unico di Cocteau c’è un solo personaggio in scena: una donna che viene lasciata al telefono dall’amante e che da sola, con le sue battute di dialogo senza risposta, costruisce la progressione della narrazione. Con un manipolo di personaggi la Ginzburg tira su un intero romanzo composto delle lettere che si scrivono a vicenda e che rappresentano, senza bisogno di molto altro, le loro relazioni.
Starnone prende la forma epistolare, prende il dialogo a una voce della donna abbandonata e crea il primo racconto del suo romanzo: quello che è successo prima.
Non che potrebbe reggersi da solo (non potrebbe) ma questo Primo libro è comunque una narrazione conclusa. Ci sono i personaggi principali: moglie, marito, figli, amante. C’è il fatto che succede: il tradimento e l’abbandono. C’è il conflitto: affettivo (tra marito e moglie; tra padre e figli; tra moglie e amante) e storico-culturale (cos’è il matrimonio? Si è più rivoluzionari a essere sposati o a non esserlo?).
C’è una progressione di eventi che si apre in un punto in cui il protagonista si è completamente liberato delle proprie responsabilità:
Se tu te ne sei scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie. Lo so che questo una volta ti piaceva e adesso, all’improvviso, ti dà fastidio. […] Ma che tu lo voglia o no il dato di fatto è questo: io sono tua moglie e tu sei mio marito, siamo sposati da dodici anni – dodici anni a ottobre – e abbiamo due figli, Sandro, nato nel 1965, e Anna, nata nel 1969. Ti devo mostrare i documenti per farti ragionare?
E si chiude in un punto che è il momento in cui comincia a riprendersele:
Scrivi che hai bisogno di ristabilire un rapporto con i figli. Ritieni che, essendo ormai passati quattro anni, sia possibile affrontare il problema con serenità. Ma cosa c’è ancora da affrontare? […] Ad ogni modo ho letto loro questa tua richiesta e hanno deciso di incontrarti. Ti ricordo, nel caso te ne fossi dimenticato, che Sandro ha tredici anni e Anna nove. Sono schiacciati dalle incertezze e dalle paure. Non peggiorare ulteriormente la loro condizione.
C’è un tema a sostenere il racconto: il tono arrabbiato, sarcastico e impaurito di Vanda.
Il “Libro secondo” ha la voce di Aldo: il marito che ha tradito, che poi è tornato, e che adesso ha settantaquattro anni e vive di nuovo in casa con sua moglie, la madre dei suoi figli ormai grandi e con una vita propria. Aldo e Vanda vivono a Roma, fanno le vacanze, battibeccano, hanno un gatto, invecchiano: un nuovo presente per un nuovo racconto.
C’è il chi siamo, il dove siamo e c’è l’avvenimento: Aldo e Vanda tornano dalla vacanza al mare e trovano la casa a soqquadro. Il gatto non c’è più. La concretezza dei mobili sfasciati, dei libri fatti a pezzi, degli specchi rotti, diventa la fragilità emotiva dei due anziani e serve a rimettere le cose in discussione, a incrinare ancora una volta la condizione di normalità.
Per gran parte della sua durata questo “Libro secondo” racconta cosa succede dopo il punto di crisi: Aldo prova a mettere ordine nella casa distrutta e ritrova le lettere che gli scriveva Vanda. Si riapre così al passato, e si chiede (fin qui non aveva avuto il tempo di farlo? Non se l’era concesso?) cosa gli sia successo in quegli anni: perché ha fatto quello che ha fatto? Perché è tornato indietro? Aveva ragione prima o ha ragione ora? Il tradimento viene ricostruito secondo il suo punto di vista.
Ma prima di dare spazio alla versione di Aldo, Starnone scrive due paragrafi per altrettante scene che creano le basi del nuovo racconto e danno un nuovo ordine (il primo comincia proprio così: “Andiamo con ordine”). Con queste sole due scene mostra il rapporto che tra i due dura da quarant’anni, da quando Aldo è tornato in famiglia.
Nella prima qualcuno bussa alla porta e Aldo va ad aprire: una giovane donna è venuta a consegnare un pacco che stavano aspettando. La donna è disinvolta, si complimenta per la casa, accarezza il gatto, chiede duecentodieci euro. Aldo è impacciato, ha paura di sbagliare, obietta di doverne solo duecentocinque. Alla fine delle due pagine (tante dura la scena) decide di dare comunque alla donna quanto gli ha chiesto. Ma un attimo dopo tornano i dubbi, e in quei dubbi s’insinua Vanda: lo accusa di farsi ancora beffare dalle belle donne, s’incupisce per i soldi persi. Aldo si sente gabbato dalla donna e ridicolizzato dalla moglie; scrive una mail di protesta alla ditta ma poi decide di lasciar perdere. Non riesce a essere sicuro di quello che è successo, ancora non è certo di voler accusare. La mail non la invia, ma dice a Vanda di averlo fatto.
La scena si chiude così, come si chiuderebbe un racconto. Una coppia, un interno domestico, qualcuno che bussa alla porta e che con un piccolo gesto mette allo stesso tempo in mostra e in crisi la relazione tra i personaggi.
La seconda scena ripropone la stessa situazione della prima, ma ci va giù più pesante.
Devono partire per il mare. Aldo sta sistemando le valigie nel portabagagli dell’auto, quando un uomo accosta con la propria e gli parla come se lo conoscesse bene. Aldo fatica a riconoscerlo ma finge di ricordarsi di lui. L’uomo insiste nei convenevoli (Uno passa e guarda un po’: lei, proprio lei, qua per strada, così. Quando lo dirò a mio padre, resterà a bocca aperta.). Gli parla della fabbrichetta di pellame che ha aperto in Germania. Infine gli propone dei regali: Le voglio lasciare almeno un omaggio, a lei e alla sua signora. Ma quasi subito l’omaggio si trasforma in una donazione “a piacere” e la donazione a piacere in furto.
Tutta la scena è fatta della dinamica tra i due, di un Aldo disorientato rispetto alle proprie emozioni (fidarsi o non fidarsi? Reagire bruscamente o lasciar perdere?) e si chiude con la recriminazione di Vanda: Siamo cresciuti a Napoli, santodio, e tu ti fai prendere in giro così?
Il “Terzo libro” ha la voce narrante di Anna, la figlia minore, e non lo si può raccontare: si scopre qualcosa di inaspettato che tale deve rimanere. Si può dire, però, che la verità arriva al momento giusto. Non si capisce prima, né accade come colpo di scena finale: viene fuori un po’ per volta e c’è un punto in cui diventa chiara. E si può dire che quest’ultimo racconto, anche questo autonomo, compie il percorso medesimo della storia di Aldo e Vanda (rottura, composizione) e contrario delle due scene (dei due “racconti nascosti”) che mostrano la loro condizione presente (composizione, rottura).
Anna e suo fratello Sandro hanno litigato per una questione di eredità: una zia ha lasciato tutto all’uno e niente all’altra, e da allora non si parlano. Il Libro parte dal punto in cui si spezza la condizione di rottura (Anna telefona a Sandro) e lungo il percorso ricompone il loro rapporto. In mezzo: suspense. Come si sa da Edgar Allan Poe, l’elemento di sospensione della verità è il più importante nella costruzione di un racconto. Dai mistero a una storia introspettiva, mantieni alta la tensione, svela una verità nel finale e avrai un racconto perfetto.
Il sapore di racconti che ha questo romanzo sta nelle singole parti, costruite in maniera precisa e autonoma, con scene che, da sole, illuminano un conflitto e operano una trasformazione – così come succede nei racconti. Ma è un sapore che si sente anche e soprattutto nell’opera completa, negli enormi spazi di ellissi su cui è costruita. Con “Lacci” Starnone mostra la storia di Aldo e Vanda più in quello che non dice che in quello che dice, più negli anni che salta che in quelli che descrive, più con le risposte non date che con le domande poste. Tacere, omettere, sono senza dubbio le caratteristiche migliori delle storie brevi e non si fa fatica a immaginare perché si scelga di usarle anche per un ottimo romanzo.
Enigma per i cultori: esiste un racconto in cui c’è una scena molto simile a quella in cui il finto conoscente di Aldo gli rifila borsa e giacca di pelle e gli sfila i soldi. Non ricordo quale sia il racconto, né di chi (forse di un autore americano). Sto maledicendo la mia smemoratezza. A qualcuno viene in mente?