Un nome e un cognome non fanno un personaggio. Non lo fa nemmeno la descrizione fisica, l’appartenenza alla classe socio-culturale, la professione. Se è vero che “Dio è nei dettagli” (come dicevano in tanti, tra cui, forse, Flaubert) è vero anche che i dettagli senza la selezione non servono a niente, per cui sapere a che cosa è allergico, come si tocca i capelli, se balbetta o zoppica, qual è il suo colore preferito e che tipo di maglioni indossa non produrrà un personaggio, ma un nome e cognome con la balbuzie e un maglione rosso.
Per fare un personaggio ci vuole la costruzione, che non procede per accumulo ma per la ricerca delle risposte ad alcune domande molto precise. Non tantissime (è davvero indispensabile sapere che cosa porta in tasca il tuo personaggio? No), ma in grado di suggerire risposte che non si limitino alla relazione diretta (Qual è il colore preferito del personaggio? Il rosso) ma mettano in moto il meccanismo di progressione della storia, accendano la luce nei diversi piani del palazzo durante il percorso di salita delle scale, quello che porta su al climax.
Costruire un personaggio vuol dire costruirgli una trama attorno, le due cose procedono di pari passo, ogni volta che lui entra in scena bisogna sapere che scena è quella (cosa succede? cosa rappresenta?), ogni volta che si crea una scena, bisogna sapere chi c’è dentro (chi è?, che sta facendo?, perché?, come?, per arrivare a cosa?). Ancora una volta la parola giusta è equilibrio: se sei troppo interessato alla trama usi il personaggio come un pretesto per andarci a zonzo, se sei troppo interessato alle minuzie caricate addosso a nome e cognome ne verrà fuori un ritratto, immobile e artificioso.
L’equilibrio è quello che deve essere in grado di trovare un editor: accorgersi della via che non svolti solo a destra né solo a sinistra, il che non vuol dire andare per forza dritti, vuol dire solo andare nella direzione giusta. La direzione giusta di un personaggio è il suo destino, che nulla ha a che vedere con il destino al quale siamo abituati ad appellarci, non c’entra il romanticismo, il fatalismo, il volere è potere, ed “è nato per questo”, ma l’inevitabile conclusione del suo arco di sviluppo, che è il fulcro di ogni storia ma soprattutto è l’hallelujah della razionalità.