di Andrea Bricchi
Se vi stabiliscono un dialogo fecondo di suggestioni, i classici, per chi li legge, si configurano come degli «equivalenti dell’universo, al pari degli antichi talismani» (Calvino). Così, portati sempre con sé, possono sortire effetti benefici e domare i demoni interiori. Alcuni meritano di essere spolverati, altri non hanno mai smesso di stare appesi al collo di qualcuno, ma tutti, se lucidati, risplendono di una bellezza più viva. Da dove nasce la loro magia?
Ingiustamente considerato per troppo tempo una mera lettura per ragazzi, I viaggi di Gulliver è in realtà tra i primi e migliori esempi di narrativa satirica e denuncia comportamenti, manie e pregiudizi che a distanza di tre secoli non possono ancora dirsi debellati.
Quel che colpisce di più è come Swift si stagli quale antesignano degli esponenti dell’Illuminismo maturo, e in particolare di coloro che, nei contes philosophiques, addolcivano la medicina amara della realtà con il miele della forma narrativa, con il pungente valore aggiunto di una sferzante ironia. Ironia che troviamo più o meno costantemente nell’opera in oggetto. Come quando, per via dell’ingratitudine di un sovrano guerrafondaio di Lilliput che Gulliver ha avuto la colpa di non lusingare, il protagonista è condannato alla “magnanima” sentenza di essere solo accecato e non giustiziato. O come quando si ritraggono gli assurdi cittadini-scienziati di Laputa come a tal punto persi dietro alle proprie elucubrazioni da non accorgersi di come le mogli mettano loro le corna davanti ai loro occhi.
Il punto di vista dell’autore irlandese, così come appare soprattutto nelle parti ambientate a Brobdingnag e nel paese degli Houyhnhnm e degli Yahoo, è quello di un moralista scettico, di un satiro che getta il seme del dubbio, sia pure con la dovuta prudenza richiesta dai tempi. Uno dei maggiori pregi dello scrittore è stato sicuramente non voler imporre a tutti i costi un’idea tramite la propria opera, o quantomeno di non cercare di farlo con arroganza (Swift, se vogliamo, fu un Voltaire senza spocchia), e di aver mostrato come, facendo uso con indubitabile maestria delle variazioni di statura dei personaggi o consimili effetti speciali, si possano favorire una coscienza e una comprensione maggiori delle società – non fittizie ma non per questo meno bizzarre – in cui viviamo.
Con I viaggi di Gulliver insomma si può godere dell’indubbio privilegio, confinante con il prodigio (è uno dei sortilegi che regala la grande letteratura), di poter esaminare le cose da una prospettiva nuova, originale, rivelatrice. Sono, quelli di Gulliver, viaggi fantastici intrisi di realtà. Amara, certo (e non a caso, al ritorno, il protagonista diverrà un misantropo recluso). Ma la presa di coscienza, per il lettore, è una base da cui si può ripartire.