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Le mappe sono storie

di Marco Malvestio

1. Di solito, si comincia a parlare delle mappe evocando il paradosso di Borges: perché la mappa sia davvero fedele all’impero che rappresenta, dovrebbe essere in scala 1:1. A quel punto, però, non solo occorrerebbe che la mappa contenesse anche la mappa stessa, ora parte integrante del territorio, ma l’impero sarebbe travolto e soffocato dalla mappa. Il problema è che questo paradosso è stato sciolto dall’invenzione delle mappe satellitari, da Google Earth; lo zoom permette di visualizzare la totalità e il dettaglio quasi contemporaneamente, e la mappa si fa oggetto navigabile, esplorabile. E quindi, come cominciare?

2. Parlare di mappe e letteratura vuol dire parlare più o meno di tre cose: del fascino della mappa come suggestione letteraria; della mappa e delle sue rese testuali come strumenti veritativi; della mappa come tema.

3. Occorre discutere anzitutto del fascino della mappa. Si potrebbero portare aneddoti, ma sono quasi tutti scontati: non c’è lettore bambino o adolescente per cui il fascino di certi romanzi non passi anche e soprattutto attraverso le mappe che li corredano. Se abbiamo letto Tolkien nell’edizione Rusconi, lo abbiamo fatto anche per il gigantesco pieghevole della mappa che sta all’inizio. Il nostro interesse per il lavoro di George R.R. Martin passa anche per la chiarezza e la plausibilità della mappa dei Sette Regni con cui si apre ogni volume – e ogni puntata della serie tratta dai romanzi.

4. Naturalmente, per molti (come il sottoscritto) la mappa continua a esercitare un fascino enorme anche da adulti. La mappa è un territorio concluso (esiste solo quello che c’è nel riquadro), preciso, e allo stesso tempo indefinito: l’affollarsi di nomi e fiumi e montagne non ci dice niente, o perlomeno ci dice solo una parte, di quello che questi indicano. Le mappe possono offrire dettagli solo parziali (e spesso nemmeno quelli) su un territorio: il clima, la densità di popolazione o di vegetazione. Mai tutto insieme. E quindi la mappa non può che offrirsi come spazio aperto all’immaginazione e all’infinita possibilità; uno spazio non solo per inventare storie, ma per costruire e completare geografie.

5. La mappa è il contrario della flânerie: la totalità è visibile, sono invisibili i dettagli. Immaginarli è il compito, e il piacere, di chi la consulta.

6. Lo sa bene Michel Houellebecq, per esempio, quando ci parla della sua passione per le guide turistiche. Non si tratta di mappe cartografiche, ma di descrizioni verbali che assolvono lo stesso scopo della mappa: selezionano, isolano, presentano. Tutto nelle guide turistiche è facilità, felicità, scoperta – il mondo reale si trasforma in un mondo piacevole, consumabile. Le mappe non fanno in fondo niente di diverso.

7. Non solo la carta non è il territorio: la carta è più interessante del territorio (Houellebecq 2010, p. 78). La carta offre conclusione e senso, lasciando allo stesso tempo spazio per la scoperta: il territorio, per sua natura, si rifiuta ineluttabilmente di essere ridotto a un significato coerente.

8. La mappa, allo stesso tempo, non è un semplice catalogo, ma un insieme di relazioni, e, in quanto tale, una promessa narrativa. La mappa che correda il libro, a seconda della vastità o del mistero dei territori che rappresenta, suggerirà diversi sviluppi delle vicende. La distanza tra i luoghi, la posizione tra le catene montuose, lo stendersi di un mare non navigabile: tutti elementi che imprimono un moto a una storia, e non un altro. La mappa, per quanto chiara, è insufficiente, e richiede la cooperazione del lettore.

europecentral

Europe Central, mappa

9. Prendiamo un caso limite, prendiamo Vollmann: se apro Europe Central, la mappa che trovo all’inizio non è uno strumento, ma una poesia, un’evocazione. La mappa di Vollmann non serve a niente, se la si usa per seguire i personaggi dei racconti nelle loro peripezie, o se ci si vuole orientare nelle campagne militari della seconda guerra mondiale. Diverse campagne vi figurano massicciamente, che non hanno rilevanza nel testo, come l’Operazione Blu. I nomi dei personaggi non sono legati ai luoghi dove si svolgono le loro vicende: Roman Karmen passa in Spagna solo poche pagine, ma è lì che è vergato il suo nome. In basso a destra si può spiare un ritratto di Rommel, che non compare mai nel libro. Al contrario, la mappa, pur restituendo lo spazio preciso entro cui si è svolto il conflitto, evoca i temi e i luoghi della guerra, li amplifica e li moltiplica rifiutandosi di esaurirli.

10. Vollmann, come sempre, sa quello che fa; e i suoi personaggi hanno lo stesso rapporto con le mappe che il lettore è invitato ad avere con la mappa di Europe Central:

Oltre il muro, i neri tentacoli gommati si diramano per l’Europa. Le mappe militari li raffigurano sotto forma di linee del fronte, trincee, salienti e movimenti a tenaglia. I politici li codificano in confini (“distrutti, rasi al suolo, totalmente polverizzati”). Gli amministratori li credono fiumi e strade. I funzionari della sanità pubblica li vedono come neri rivoli di persone che per le strade ghiacciate di Leningrado si assottigliano di giorno in giorno. Per i poeti sono le vene del corpo martoriato della partigiana Zoja. Sono qualunque cosa. Possono tutto (Vollmann 2010, p. 20).

11. Questa rete di relazioni si esplica anche in quei racconti in cui alla mappa vera e propria si sostituisce la descrizione del territorio. La descrizione topografica dall’alto, come in una carta, è uno dei modi per creare un effetto di realtà: in alternativa a descrivere con precisione un edificio o una strada (la casa avita, il centro del paese), si descrivono una regione, i suoi fiumi, le sue strade, affinché la storia raccontata avvenga in un luogo che il lettore possa percepire come reale.

12. È quello che accade, per esempio, in Lovecraft, un autore in cui la nevrotica precisione descrittiva si accompagna sempre a narrazioni imperniate sull’indicibile, l’incomunicabile. Lovecraft è un autore quasi proverbiale per affollare le sue storie di elementi inventati ma credibili che facciano da supporto all’invenzione orrorifica, come la lunga tradizione filologica dello pseudobiblion Necronomicon, o appunto quell’insieme di città e cittadine del New England (Arkham, la valle del Miskatonic) che ha assunto nei decenni il nome Lovecraft Country – segno eloquente di quanto HPL ci tenesse a creare un sense of place.

13. Lovecraft apre così uno dei suoi racconti più belli, L’orrore di Dunwich:

Il viaggiatore che nel Massachusetts centro-settentrionale imbocchi il bivio sbagliato al raccordo del picco d’Aylesbury, appena oltre Dean’s Corners, si ritrova ben presto in una regione strana e solitaria (Lovecraft 1991, p. 197).

Lovecraft ci dice esattamente dove siamo, da che cittadina del Massachusetts si diparte la strada che ci porta però in una regione identificata immediatamente coi tratti del vago e dell’inquietante: solitaria, curiosa. Così come descrizioni maniacali dei mostri che pullulano nei suoi racconti si infrangono contro la certezza che queste descrizioni sono inevitabilmente insufficienti a descriverne l’orrore, così in tutta l’opera di Lovecraft la precisione topografica della descrizione degli spazi si spalanca su vaste aree oscure, ignote. La mappa è necessaria a dare realtà al racconto, ma è solo nei suoi spazi bianchi che il racconto può svolgersi.

14. Vale la pena di ricordare che i luoghi inventati da Lovecraft sono tanto credibili e suggestivi che torme di scrittori dopo di lui li hanno popolati dei loro personaggi.

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foto di gleb kozenko

15. D’altra parte, non essendo tracciate da cartografi, le mappe dei libri sono spesso, se non imprecise, poco plausibili: le montagne e i fiumi della Terra di Mezzo sono completamente privi di senso secondo le nostre conoscenze geologiche e idrografiche. La disposizione ad angoli retti delle catene montuose, il corso forzoso dell’Anduin, servono esigenze narrative, ma non potrebbero esistere nel mondo reale.

16. Le mappe, inventate o meno, sono il prodotto di un sistema culturale. Non è una sorpresa, allora, scoprire il velato razzismo che sottende alcune di esse, come per esempio, di nuovo, quella di Tolkien:

Il genere fantasy, strutturato com’è su una versione immaginaria dell’Europa medievale, sembra legato indissolubilmente a un oceano Atlantico che pone limiti invalicabili alla curiosità umana verso ovest. Pensate e tutte le mappe dei continenti fantastici che conoscete, in cui le terre orientali sono più vaste, più selvagge, più misteriose. In ogni mappa pieghevole della Terra di Mezzo c’è un luogo chiamato Rhûn (che vuol dire “est” nell’elfico di Tolkien) sul margine orientale: l’accento circonflesso basta a segnalare che siamo ben lontani dalla familiarità della Contea. Non sappiamo nulla di questo luogo, se non che le genti che lo abitano sono “orientali” alleati di Sauron. Come ci spostiamo al margine destro della mappa, le cose si fanno nebulose, e non poco razziste. (Here at the End of All Things, trad. mia)

17. Connotazioni del genere, nelle mappe, avvengono perché chi le compone è influenzato, inconsciamente, dal sistema culturale del suo tempo: ma anche la cartografia in sé, come tutti i saperi, è una disciplina ben identificabile con una precisa stagione culturale. La mappa come la conosciamo oggi è frutto non solo della rivoluzione scientifica, ma soprattutto di un’idea di scienza e conoscenza positiva, oggettiva, puntuale.

18. In questa forma, come oggetto, la mappa è apparsa spesso nella narrativa del ventesimo secolo come bersaglio di derisione: come reificazione di un’ambizione a una conoscenza totalizzante cui la modernità, con le sue scoperte e i suoi stravolgimenti, ha reso impossibile aspirare.

19. Si tratta di una parodia che ritroviamo costantemente in Borges, la grande figura di connessione tra modernismo e postmodernismo: dal paradosso che ha aperto questo articolo; all’Aleph dell’omonimo racconto, punto in cui sono contenuti tutti i punti, mappa di tutte le mappe che a causa della sua natura sintetica offre un’esperienza essenzialmente incomunicabile, e dunque inutile; all’infinita planimetria della Biblioteca di Babele, il cui moltiplicarsi di esagono in esagono rende vano lo scopo principale di una biblioteca, che non è solo quello di raccogliere, ma anche di ordinare, di catalogare.

20. Un discepolo eretico di Borges, un certo Roberto Bolaño, inserisce una quantità abnorme di mappe (e di altre figure di catalogazione: liste, riassunti, cataloghi) nelle sue opere. Gli scrittori di estrema destra di La letteratura nazista in America scrivono poesie-mappa, romanzi mappa, o libri ucronici fondati su geografie d’invenzione, come nel caso di Harry Sibelius, autore de Il controllo delle mappe. E poi, naturalmente, c’è l’enorme mappa del wargame di Udo in Il Terzo Reich, e ci sono i misteriosi diagrammi di Amalfitano in 2666, che uniscono in schemi alcuni grandi nomi della filosofia occidentale, suggerendo oscuramente relazioni ed equivalenze che sono solo nella testa del loro autore.

21. C’è un’ambivalenza, in Bolaño: il dispiegarsi, ovunque nella sua opera, di allusioni alla mappa, segnala che l’autore stesso non era immune al fascino suddetto. Sarebbe stato impossibile, peraltro, essendo Bolaño, prima che un uomo di lettere, un lettore. Per non menzionare la leggenda che lo vuole grande appassionato di wargame.

22. Allo stesso tempo, tutte queste immagini di totalità e di chiarezza sono evocate per essere annientate. Negli scrittori nazisti, l’ossessione per la mappa procede di pari passo con un bisogno cupo di chiusura, di purità, di morte. In Il Terzo Reich, Udo è così assorto dagli eventi che avvengono sul suo tabellone da perdere il controllo su quello che accade intorno a lui. I diagrammi di Amalfitano sono l’opera di uno squilibrato.

AreaXTheSouthernReach

23. Anche nella Trilogia dell’Area X di Jeff VanderMeer, libro modellato obliquamente e perversamente sulle grandi narrative di esplorazione dell’imperialismo ottocentesco, i protagonisti hanno spesso mappe (e schemi, e cataloghi, e classificazioni tassonomiche) per le mani, solo per rendersi conto dell’inutilità delle stesse. La spedizione del primo libro penetra nell’Area X, misteriosa e aliena, munita di una mappa per orientarsi, ma questo strumento si rivela inservibile sin dalla prima riga di testo, che si apre su una “torre che non avrebbe dovuto essere lì”, e che si avvita nella terra invece che emergere da essa (VanderMeer 2014, p. 3; trad. mia). L’esibita centralità della parola razionale, catalogatrice, da parte degli individui che si avventurano nell’Area X, insieme alla sua manifesta inutilità, suggeriscono l’inservibilità delle tradizionali categorie discorsive e concettuali nella comprensione dell’Area.

24. Cos’è una mappa, commenta la biologa, se non la prima fonte di errore – un modo per enfatizzare alcune cose e renderne altre invisibili? Assuefatti alla mappa e a quello che contiene, i membri della spedizione smettono di porsi domande circa l’Area. Smettendo di chiedersi cosa si cela dietro la mappa, e rifiutando di cercare di inserire le istruzioni che hanno ricevuto entro un contesto più ampio, i membri della spedizione vengono manipolati e ingannati dall’agenzia governativa da cui dipendono, che sa di stare inviandoli in una missione suicida. Allo stesso tempo, la mappa impedisce loro, letteralmente, di vedere il territorio che attraversano: fornisce un insieme di dati e di aspettative, ma non dà loro alcuno strumento per interagire con l’ecosistema in cui si ritrovano. Il distant reading che la mappa opera sul territorio dell’Area X rende invisibili i processi infinitesimali che fanno dell’Area ciò che è.

25. Si potrebbe continuare all’infinito. Anche in questo, come si diceva, sta il bello delle mappe.

Bibliografia
Roberto Bolaño, 2666, Milano, Adelphi, 2009.
Roberto Bolaño, Il Terzo Reich, Milano, Adelphi, 2010.
Roberto Bolaño, La letteratura nazista in America, Milano, Adelphi, 2013.
Jorge Luis Borges, Tutte le opere, Milano, Mondadori, 2011, 2 voll.
Michel Houellebecq, La carta e il territorio, Milano, Bompiani, 2010.
Howard Philips Lovecraft, Tutti i racconti 1927-1930, a cura di Giuseppe Lippi, Milano, Mondadori, 1991.
Jeff VanderMeer, The Southern Reach Trilogy, New York, Farrar, Straus and Giroux, 2014.
William T. Vollmann, Europe Central, Milano, Mondadori, 2010.

 

immagine di copertina anthony intraversato

1 commento

  1. Stefano Trucco says

    Bello ma manca un tipo di mappa romanzesca che io amo molto: la pianta della casa dove è avvenuto il delitto nei vecchi romanzi gialli, con la posizione del cadavere e quella dei sospetti e degli accessi e delle porte.

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