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4+1: Anatomie di Tommaso Giagni

intervista a cura di Luigi Loi

4+1 è una madeleine fatta di libri: ogni scrittore sceglie i quattro che più rappresentano le connessioni tra corpo e narrazioni, più uno, il jolly: il libro legato alla sua personale visione del corpo come territorio di confine tra potere e autodeterminazione, tra significati politici e ridefinizioni. L’autore di oggi è Tommaso Giagni.

John Howard Griffin, Nero come me, 1960
Classico dimenticato (in Italia) della non-fiction, è il diario di uno psichiatra bianco che alla fine degli anni Cinquanta, con l’aiuto di un dermatologo, cambiò la pigmentazione della propria pelle e da nero attraversò il profondo sud razzista degli USA. Da nero conobbe la segregazione, le ipocrisie, la disuguaglianza. Cambiare il proprio corpo per non riconoscersi e poter assumere davvero una nuova prospettiva. Inchiesta di un’attualità drammatica, che sarebbe il caso di riportare in libreria.

Giovanni Boine, Il peccato, 1914
Altro testo un po’ nell’ombra della trascuratezza, Il peccato è modernissimo, pionieristico romanzo psicologico (in anticipo su Zeno, per dire) e contemporaneamente ricerca di corporeità, di un contatto fisico impedito da una barriera robusta come un convento. “Sentivi sotto il severo dell’abito la giovinezza del corpo”.

Fleur Jaeggy, I beati anni del castigo, 1989
La scoperta del corpo, come arma e come estensione di un sé che allo stesso modo è oggetto di rivelazione. In un’atmosfera che ha almeno la stessa definitezza di un personaggio in carne e ossa – per così dire –, è documento di un tempo lontano, storia di un’educazione sentimentale, romanzo magistrale per equilibrio tra precisione e levità.

Jeffrey Eugenides, Le vergini suicide, 1993
Negare il corpo e l’identità, attraverso una repressione sistematica e cieca, proseguendo senza curarsi del fallimento del metodo via via che la catastrofe prende forma. Un magnifico romanzo sulla società statunitense degli anni Settanta, un saggio sull’umanità dei sobborghi benestanti, un libro esemplare per chiunque si sia confrontato con la tenuta di una voce e di una struttura narrativa. Eugenides, in stato di grazia, mostra come tecnica non significhi freddezza e come sentimento non significhi sentimentalismo.

Cesare Pavese, La casa in collina, 1948 + Jean Genet, Diario del ladro, 1949
Se ragioniamo di identità, non mi è possibile scampare alla contraddizione tra l’uomo che si ritrae e quello che butta il corpo nel mondo. E per me tutto può concentrarsi in questi due romanzi, separati da pochi mesi soltanto. Il protagonista di Pavese guarda da un lato le cose succedere, aspetta dalla cresta di una collina che la Storia avvenga. E poi elabora, solo dopo e proprio perché si è data l’assenza. Genet incontra i margini d’Europa e la propria oscurità, racconta i bassifondi dalle altezze del lirismo, attraversa i confini mostrando i segni lasciati dalle scariche del cortocircuito.

Tommaso Giagni è nato a Roma. Ha partecipato a varie antologie, tra cui: Voi siete qui (minimum fax 2007), Il lavoro e i giorni (Ediesse 2008), Ogni maledetta domenica (minimum fax 2010). Per Einaudi ha pubblicato L’estraneo (2012) e Prima di perderti (2016).

immagine di copertina di shane rounce

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