lettura, non prenderla come una critica
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Non prenderla come una critica – Le donne amate di Francesco Pacifico

di Valentina Grotta

È stato appena pubblicato Io e Clarissa Dalloway, di Francesco Pacifico, un libro in cui, con la scusa di mettersi a confronto con uno o più testi letterari del passato, i protagonisti della collana “Passaparola”, edita da Marsilio, parlano di sé. Qui Pacifico ragiona su alcuni temi che sembrano essergli diventati, nel tempo, molto cari: quello del rapporto tra la scrittura e il genere di chi scrive e della scrittura come strumento per comprendere la propria visione del mondo.

Ritrovare la propria voce

Cosa diventa una donna se la trattiamo come fosse un uomo, o come una terza cosa che non è né una donna né un uomo? La donna catturata col retino della prosa viene fissata alla carta con uno spillo. Cosa è libera di fare, ora che l’ho messa qui nella mia bacheca, insieme alle altre?

Questa citazione è tratta da un libro che Pacifico ha scritto nel 2018. Si intitola Le donne Amate. Abbiamo parlato spesso di scrittura femminile, male gaze e punto di vista, ma cosa succede se uno scrittore si interroga su cosa significhi davvero – dal punto di vista narrativo maschile – scrivere di una donna e lascia traccia di questa sua riflessione nel libro stesso? Gli stralci che mostrano questa valutazione sono quelli che l’autore stesso – che è anche editor – ha giudicato superficiali o scorretti ai fini di una descrizione onesta, realistica e non stereotipata di una figura femminile all’interno di un romanzo. Mentre in “Io e Clarissa Dalloway” Pacifico usa i libri di altri scrittori come chiave per capirsi, qui lo scrittore osa molto di più.

Indipendenza economica, emotiva, sesso e rapporti di potere: Pacifico tocca tutti questi temi affrontando, di volta in volta, il rapporto del protagonista Marcello con le donne che ha amato.

Amare le donne (narrativamente)

Il sempre attuale testo Visual Pleasure and Narrative Cinema, di Laura Mulvey nel 1974 teorizzava in ambito cinematografico che, se il punto di vista della storia è maschile, se quindi il protagonista del film è un uomo – e nel cinema classico hollywoodiano cui fa riferimento il testo lo è quasi sempre – la donna diviene oggetto di sguardo ‘passivo’, quindi oggetto di desiderio o, nella peggiore delle ipotesi, oggetto feticistico (in senso freudiano). Mutuando questa riflessione presa dal cinema possiamo osservare quali e quanti sono i modi in cui un protagonista maschile può guardare una donna e farne oggetto di desiderio scopico, desiderio sessuale o come oggetto attraverso il quale manifestare la propria individualità.

Errori ingenui: lo sguardo filtrato attraverso lo stereotipo

“Cenai da solo nella trattoria della piazza dietro casa, dove la cameriera mi chiamava amore. Doveva avere la mia età. [Nel frattempo ho scoperto che ha dieci anni più di me e che il locale è suo, non è la cameriera, ma ho lasciato la precedente descrizione, così ingenua, perché già che parliamo di donne mi pare significativo aver commesso quell’errore madornale (…)].

Così Pacifico riflette, in una delle parti iniziali del suo romanzo, sulla ‘prima impressione’, ovvero su un classico stereotipo sociale prima che narrativo: quello per il quale una donna che serve ai tavoli è per forza una cameriera e non può essere la padrona del locale. Più avanti, invece, Marcello fa dire al suo migliore amico una riflessione maggiormente edificante:

Francesco sostiene che nei romanzi degli uomini veri, da Philip Roth a Edoardo Nesi, per citare i migliori, l’uomo “subisce” l’incomprensibilità della donna, come fosse parte naturale dell’ingiustizia della vita: questi romanzi secondo lui non raccontano rapporti veri, uomini e donne che si sono conosciuti in profondità. In quei grandi romanzi di maschi, gli uomini si agitano, sbagliano, si sbattono, e il romanzo è un flipper in cui le donne sono le sponde che squillano e baluginano appena toccate; appariscenti e cruciali, tanto che sembrano protagoniste – ma sono pura funzione della pallina di metallo dell’uomo.”

Ed ecco che inizia a delinearsi la riflessione sul ruolo della donna all’interno del racconto, su come vengono definiti i suoi meccanismi, se davvero le donne sono portatrici di azione o vengono rappresentate solo come il muro di gomma dove rimbalzano le azioni di qualcun altro (in particolare, degli uomini). Qui la riflessione si fa più profonda e si passa da un livello puramente incidentale al tema che è alla base di tutto il romanzo.

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Errori gravi: la moglie e l’indipendenza economica

Alcuni dettagli su mio padre [(…) La disattenzione di un uomo nei confronti delle donne ha molto a che vedere con la forma della sua attenzione maniacale nei confronti del padre].

Qui Pacifico affronta un tema molto spinoso dal punto di vista del protagonista Marcello, ovvero quello dell’eroe borghese che fatica a chiedere al padre una cosa tanto scontata – per lui – quanto preziosa agli occhi di chiunque altro: l’acquisto di una casa. Il fatto è che non si tratta di una casa qualunque, ma della villetta della sua amata Barbara (la donna che diventerà sua moglie). Nel momento in cui Marcello dichiara a Barbara di voler comprare la sua casa la mossa si rivela – naturalmente, direbbe una donna – fatale.

Sto ricordando un periodo recente della mia vita per capire se sono in grado di descrivere le donne che amo o che ho amato senza farne caricature di salvatrici o dannatrici, di spose madri o puttane. Ormai mi stanca la commedia dell’uomo goffo che fa sempre la mossa sbagliata, e siccome al ritorno a casa feci la mossa sbagliata di raccontare il mio progetto a Barbara senza alcuna preparazione o strategia, eviterò di raccontare la scena trita dell’uomo che si mette nei pasticci per troppa dabbenaggine – il punto di vista nevrotico, ossessivo, infantile del tipico narratore maschio – e racconterò invece la situazione vista dagli occhi di Barbara. Anche perché in seguito discutemmo tanto che credo di poter ricostruire, come si direbbe nei videogiochi o nella pornografia, il suo POV, la soggettiva.

E infatti Marcello propone questo scambio: immagina la scena dal POV di Barbara, riuscendo in questo modo.

Confusione. La prima cosa definita che riuscì a leggere dentro si sé fu il pensiero di non avere che i trentamila euro accumulati in dieci anni con un fondo assicurativo e di non poter chiedere denaro a suo padre. (…)

Poi si mette proprio in soggettiva, una soggettiva in cui forse non riesce del tutto ad abbandonare il punto di vista maschile poiché risulta distorta da una certa autocommiserazione:

Chi è questo principino che arriva, completamente sottomesso a quel re di suo padre, e mi annunzia che ha conquistato il mio piccolo ducato e me lo annuncia come fosse una mia vittoria? È una storia orribile, sono una donna che dopo aver penato per costruirsi una vita sua vede arrivare questi due uomini con un sacchetto di fiorini…
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Barbara si sente scavalcata, ma alla fine reagisce praticamente: chiede che gli venga intestata metà della proprietà “come gli aveva insegnato una sua amica femminista”, chiosa Marcello. Qui si propone, dunque, il tema della donna come essere indipendente, soprattutto economicamente, mentre l’uomo – il suo uomo – la vede come entità non capace di movimenti economici autonomi pagandone le conseguenze.

Errori veniali: la cognata e l’indipendenza emotiva e lavorativa

Passando in rassegna le donne della sua vita, Marcello punta quindi l’attenzione sulla cognata.

Parlando della “dolce creatura” che è Daniela, “angelo del focolare”, dopo le donne lavoratrici di cui ho scritto finora, quelle che non saprebbero dove mettere un figlio, mi trovo (sembra una vera e propria legge fisica della narrazione, una forza di gravità) a dover fare da giudice, a decidere quale delle due creature, la mamma o la donna senza figli, viva a una vibrazione più alta. Il punto di questo libro è proprio qui: visto che non tocca a me decidere, cosa rimane della prosa di un uomo che scrive di una donna? Rimane qualcosa? Amo ogni donna cui ho dedicato una sezione di questo romanzo, ma rileggendomi scopro che, questi due tipi di donna (…) sembrano diventare le concorrenti di un immateriale concorso di bellezza in cui non si giudicano le gambe e le acconciature ma l’anima. la prosa maschile è un concorso di bellezza per donne?

Questo è il tema dei temi: Marcello si interroga su come – in un’ipotetica classifica delle donne a cui vuole bene – si possa onestamente mettere in fila le qualità emotive delle donne che rappresenta, facendo sua una riflessione in cui nota che, se si scavalca il livello puramente superficiale, estetico dell’intera faccenda, anche le qualità interiori delle donne vengono idealmente messe in fila per essere giudicate. Qui si può trovare un momento di vera parità nelle riflessioni di genere. Anche le donne si possono trovare davanti a dubbi dello stesso tipo rispetto agli uomini e alle qualità che possiedono. Questo, rispetto agli altri temi, non sembra quindi essere uno specifico maschile, sebbene lo sforzo di portarlo alla luce riveli più di quanto ci si aspettasse.
Più specifico è invece il tema successivo. Daniela confessa al cognato il desiderio di scrivere un romanzo. Marcello non comprende la realtà materiale di questo desiderio e sottovaluta la cognata.

Sembra solo una fantasia, una tua fantasia di riuscita professionale, e ti stimo troppo per pensare che puoi metterti a perdere tempo dietro a una cosa seria come scrivere un romanzo solo perché hai una fantasia di vendetta verso i tuoi suoceri o tuo marito.» [Ma perché l’ho trattata così?] (…) Francesco, il mio lettore e editor informale, di questa parte ha detto: Leggendo tutto il manoscritto e pensando poi a singoli momenti come questo, mi sorprende veramente quanta poca gente ti mandi affanculo.

Se all’inizio del libro Pacifico ravvisa come errori nella rappresentazione elementi più veniali, qui avidamente lo scrittore non cancella nemmeno per pudore l’atteggiamento paternalistico e discriminatorio dell’uomo libero, borghese, felice e realizzato nei confronti di una donna che esprime un desiderio legittimo di autoaffermazione personale ed economica. Pacifico si mostra molto, qui, e nei panni di Marcello si espone e fa confessare al suo protagonista ben altri difetti, che non scompaiono nemmeno nel momento dell’ “azione”.

Mi piaceva stare lì in quella casa ad occuparmi per poche ore di corvée defatiganti, pulire per terra lavare i piatti aggiustare un giocattolo o un pensile calmare una crisi di nervi sistemare un vasino far salire le scale del palazzo, una quantità di attività che promana da una vocazione cui alcuni limiti psicologici mi negano l’accesso.

E più avanti, a partire dalle alte vette delle sue riflessioni, nel momento in cui Marcello descrive un momento di intimità con la moglie non si nega a una confessione ancora più ardita, che rivela la possibilità sempre attivabile di uno sguardo del desiderio anche in zone di solito precluse, ovvero quelle familiari:

Mentre facevamo l’amore al buio, a letto, pensai un po’ a mia moglie un po’ a mia cognata, come tutti i mariti che hanno fratelli sposati.

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Errori da non rifare

Può essere liberatorio, da parte di uno scrittore, confessare i propri limiti e analizzare i propri difetti senza nasconderli. Questo sistema di tracce visibili, di impronte digitali lasciate ‘sulla scena del crimine’ (il libro), attivano un meccanismo di riconoscimento in cui il principio auto-accusatorio viene efficacemente disinnescato proprio nel momento in cui si manifestano, visibili, le tracce. Ovvero: tutte queste tracce sono evidentemente anche un’ammissione: lo scrittore sembra dire che non sarà possibile nemmeno più avanti eliminare questi difetti di visione – e quindi di rappresentazione – perché risultano dei fatali ‘marchi di fabbrica’ dovuti ad alcuni famigerati ‘limiti psicologici’.
Può rivelarsi liberatorio, da parte di una donna, la lettura di queste tracce; raccogliendole si può provare una sorta di piacere pacificatorio, anche un po’ vendicativo, ma sicuramente simbolico, nel vedere tutte le volte in cui un uomo si è accorto di essere scivolato su una rappresentazione preconfezionata, irrealistica e stereotipata di una donna e se n’è accorto.

Come ci dice Rebecca Solnit nel suo Gli uomini mi spiegano cose:

Gli uomini (alcuni uomini) spiegano le cose, a me come ad altre donne, indipendentemente dal fatto che sappiano o no si cosa stanno parlando.

Qui Pacifico confessa di non sapere sempre quello di cui sta parlando e lo fa in un modo onesto e creativo. Confessa, è vero, che non sarà mai possibile sapere esattamente cosa prova, cosa pensa, come pensa una donna, e ammette di poter non essere sempre un testimone attendibile. Eppure ci sono molte parti del libro in cui una donna potrà pienamente riconoscersi e apprezzare il modo in cui un uomo, un marito, uno scrittore e un editor, è stato in grado di raccontarla. Perché è giusto che ci sia un punto di vista esterno, altrimenti verrebbe meno non solo ogni possibilità, ma anche ogni necessità di raccontare. Si tratta di una storia, e come tale è la rappresentazione di un solo punto di vista, come è giusto che sia. Ma l’esperimento di Pacifico ci racconta che il dubbio, l’apertura all’altro, lo scambio, sono sempre il solo modo per non incatenarsi ad un’unica rappresentazione e quindi per non zittire l’altro.

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