lettura, non prenderla come una critica
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Non prenderla come una critica – Taccuino delle piccole occupazioni di Graziano Graziani

La vertigine di catalogare

Il protagonista di questo romanzo è Girolamo, e forse ha un problema di memoria. Il condizionale è d’obbligo, visto che anche i suoi interlocutori sono dubbiosi in proposito:

mi deve scusare, avevo premesso che questa cosa le sarebbe sembrata assurda, ma sa, ero venuto qui per un problema di memoria, i ricordi che ho nella testa mi si mescolano e non riesco più a metterli in fila. È un bel problema, fece lui, ma io non so se posso esserle utile. Non lo so neanch’io, dissi, perdendo il filo, ma poi gli chiesi, Perché, di cosa si occupa? pg 202

Girolamo è nato il 29 febbraio, un giorno che esiste solo ogni quattro anni: «ha un nome importante. Si chiama Girolamo Girolimoni, come il mostro di Roma». Forse ha un sosia, un doppio nato anche lui il 29 febbraio, nello stesso ospedale, nella stessa città e alla stessa ora. Forse ha amato e continua ad amare una donna di nome Viola. Non continuo. Si sappia solo che Il taccuino delle piccole occupazioni oltre a interrogare il lettore sul problema della casualità e della simultaneità degli eventi, dichiara attraverso la sua struttura fratturata, l’impossibilità del tempo assoluto di esistere. Ma se Newton ha torto anche Propp ha torto e la fàbula è impossibile per definizione. Otterremo così un romanzo di solo intreccio dove i piani temporali sono sfalsati, il prima e il dopo sono relativi.

Il tempo, così come ce lo figuriamo, non esiste, replicò. Ma questo certamente lei lo sa, lo avrà letto in una delle sue enciclopedie. Ma le fanno ancora? O anche quello è un ricordo di un mondo editoriale ormai estinto? A ogni modo non mi preoccuperei del tempo in sé. Ci sono diverse spiegazioni possibili per quello che le sta accadendo. Allora azzardai, si tratta di una malattia, di una qualche anomalia? Anche sul concetto di normalità ci andrei piano, rispose. Non c’è niente di davvero normale, mi creda. Tutto è un’approssimazione statistica. pg 31

Io non conosco Graziano Graziani ma lo immagino afflitto dal problema del tutto e della sua catalogazione. Un hobby appassionante, settecentesco, ma frustrante, quello dell’inventario organico. Graziani lo ha già sperimentato in altre prove ibride, per esempio con il Catalogo delle religioni nuovissime, dove con un po’ d’ironia di fondo fa un inventario di tutte le religioni sorprendenti e non (e tutte, ecumenicamente, lo sono per una mente razionale). E ancora nell’Atlante delle micronazioni, che racconta quanto la geografia può essere convenzione astratta e ideale, ma contemporaneamente quanto questa suddivisione dello spazio sa essere pratica. Non c’è spazio per il registro epico in questo modo di raccontare. L’andamento è quello colloquiale della minuta, e si è consapevoli di questa concretezza fin dal titolo: la frattura si può raccontare soltanto attraverso un catalogo, i suoi pezzi si possono raccogliere dentro un atlante, ma soprattutto le osservazioni di un cervello, quello di Girolamo per esempio, possono entrare dentro un taccuino.

Viaggio intorno al cervello di Girolamo

Leggendo Il taccuino delle piccole occupazioni mi è tornato in mente un piccolissimo romanzo di viaggio. Xavier De Maistre, costretto agli arresti domiciliari per 42 giorni, decide di intraprendere un’avventura rocambolesca. Ne scriverà appunto nel suo Viaggio intorno alla mia camera. Un monologo divertente e curioso, architettato su di uno spazio di appena 50 metri quadri. Come nel taccuino la materia di partenza è povera: una stanza, una reclusione forzata, la noia. Gli esiti di de Maistre sono geografici, quelli di Graziani morali, estetici. A mio avviso Girolamo non sempre centra il suo bersaglio polemico:

I bambini hanno una specie di radar […] riescono a percepire dove stai per mettere il piede, da che lato cerchi il sorpasso, e si mettono subito in mezzo con il loro corpicino tondeggiante. Uno, due, tre. Dribbli il fagotto ripetutamente ma lui ti anticipa, e ti costringe ad andare alla sua velocità. Cioè piano. pg 86

Girolamo è convinto fermamente che il turismo di massa imbruttisca i posti. Non perché i turisti sporcano, o fanno rumore, o sono tanti, o perché sono vestiti in modo ridicolo. Ma proprio perché per produrre denaro, tu devi necessariamente estrarre quel valore, e cioè la bellezza. pg 57

Niente di grave. Analizzare un cervello fin nei minimi dettagli porta i nodi al pettine: alcuni pensieri sono banali come certe consuetudini sono universali nell’uomo. Tutti sappiamo essere banali ovviamente, anche Girolamo. Così succede che i suoi lampi di genio o le intuizioni felici risplendono maggiormente, anche in funzione di tutta questa normalità apparente:

Di colpo, Girolamo, si sente malinconico. Non per le sorti del mondo, minacciate dagli appetiti delle multinazionali. Né per il suo conto in rosso, da cui pure dovrà strizzare il denaro sufficiente per rimpinguare il suo guardaroba. Girolamo si sente malinconico perché di colpo quelle due parole pronunciate dalla madre-fantasma, “avere cura”, gli si sono come stampate addosso. pg 112

È comprensibile che, passati tanti anni, non ci si riconosca subito. Si gira lo sguardo e ti si para davanti un volto sconosciuto. Perché questa è la sensazione che ha avuto Girolamo nel guardare il volto di Viola: non l’ho mai vista prima. E d’altronde quella non è la Viola di Girolamo. Quello è il volto di un’altra persona, è il volto di Viola da vecchia, che lui non conosce. E non riconosce. pg 32

L’ultimo foglio del taccuino

Il progetto di fare l’inventario di ogni attimo della propria vita era stata l’intuizione di almeno altri due personaggi letterari, Ireneo Funes di Borges, il signor Palomar di Calvino. Ma è proprio Calvino che ci avverte di un altro insormontabile problema quando registriamo la realtà: «nel tenere un diario e in genere nella letteratura autobiografica, così nella fotografia – insomma in queste cose che sembrano il colmo del rispecchiamento della realtà, della sincerità, della razionalità chiarificatrice, – c’è sempre in agguato un tentacolo di pazzia».

La pretesa del vero (e della narrativa che si finge di stampo naturalista) è quella di esaurire la realtà, ma è una pretesa assurda, è pazzia dice Calvino. Se il vero è illusorio, se la memoria fugge come l’acqua tra le dita di una mano, cosa fare? Bisogna rassegnarsi all’entropia? Senza dubbio, è nello stato delle cose; altrimenti, come accade a Girolamo nel finale del Taccuino, potremmo trovarci di fronte a qualcosa di inaspettato, ma assolutamente plausibile. Non posso svelare lo spin finale di questo bel romanzo, sospeso tra gioco e compassione per l’uomo. Ma una cosa è certa, e rubando i pensieri al suo protagonista, la condivido: «sembra che l’universo assuma un ordine intelligibile e tutto sommato rassicurante. Ogni cosa ha la sua collocazione, ed è naturalmente una cosa buona, oppure malvagia».

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