la verità vi prego
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La verità vi prego: non giudicare i tuoi personaggi

“La verità, vi prego” è la posta del cuore della scrittura: inviami un tuo racconto o il primo capitolo del tuo romanzo e ti scriverò una lettera di valutazione franca, pubblica e gratuita. Per sapere come funziona leggi qui.

La lettera di oggi è per @GattaSorniona e il suo racconto “Tagliando”.

Chi è @GattaSorniona:
Sono nata e vivo a Firenze da “oltre” 40 anni, portati splendidamente.
Faccio un lavoro strano, di quelli “2.0” che nessuno capisce mai di che
si tratti e tutti si affrettano a cambiare argomento prima che abbia finito di spiegare.
Dal 2002 ho un blog giallo a cui sono molto affezionata in cui racconto le cose mie.
Poi mi diverto a scrivere racconti, più o meno lunghi, più o meno fuori di testa.
Odio i piccioni.

Cara @GattaSorniona,

ricordi la stra-citata citazione da Gustave Flaubert: Madame Bovary c’est moi?

Qual è la prima cosa che ti viene in mente se ci pensi, oltre allo scolastico: “con questa frase l’autore sancisce la propria vicinanza alla protagonista del suo romanzo, fondendo le basi del realismo in letteratura”?

La prima cosa che viene in mente a me è: Flaubert ha scelto Emma perché gli interessava davvero, gli piaceva, voleva provare a essere come lei e a dare a lei una parte di sé.
Se stai seguendo il mio ragionamento hai già capito dove voglio arrivare: a te cosa piace di Amy Lee? E cosa vorresti darle di te?


Il problema del tuo racconto è che è dettato dal giudizio che hai sulla protagonista.
Amy Lee è una psicopatica, ossessiva, obesa, che sente una voce parlarle in testa. Bene. Qualcosa di questa sua psicopatia, ossessione, obesità e allucinazione deve pur piacerti. Deve affascinarti. Altrimenti perché raccontarlo?
Le storie non sono giornalismo d’inchiesta né affreschi della realtà. Le storie mettono in azione personaggi e fatti allo scopo di far vivere al lettore una vita che non è la sua. Come faccio io a vivere la vita di Amy Lee se non sei tu a farlo per prima?

Non basta narrare dal punto di vista interno al personaggio:

Non si era mai sentita meglio. Era l’America quella, lei era una donna fortunata e se ne rendeva conto. Avrebbe potuto nascere in uno di quei brutti paesi poveri, dove la gente vive nella miseria più nera, senza tutte le meravigliose possibilità che le erano toccate. Posti orribili; ogni tanto Ophra ne parlava, raccontava di guerre e carestie, ma Amy cambiava subito canale. Certe scene erano per lei insostenibili. Sì, Dio le voleva davvero molto bene se aveva deciso di farla nascere in Wyoming, e di farle avere tutto quel bendidio. Perché lei possedeva già tutto, ma sopratutto poteva avere ogni cosa avesse desiderato, senza limiti.”

Non basta riportare il suo modo di vedere le cose o far sentire i pensieri che le ronzano in testa:

Le piombò sulle spalle il peso del fallimento. Eppure la sua vita andava così bene. Stappò un energy drink giallo fosforescente e lo bevve tutto, alla goccia, senza riprendere fiato. Ansimando ruttò con fragore. Vedi com’è bello avere le cose gratis? Adesso vai a fare la spesa e aumenta la tua scorta. Ci sono spazi vuoti che devi riempire, Amy. Il Lavoro è lungo. Hai una scorta del valore di $ 32.000. Pensa al Lavoro che hai fatto per averla. Pensa che puoi migliorare. Pensa che non ci sono limiti.”

Per mettere in scena Amy Lee tu devi pensarla come lei. Non è la tua donna cannone: non sta lì per dare spettacolo. Non mostrarci quanto sia orribile, squallida, fuori di testa e dannosa per il figlio. Mostraci quanto c’è in lei che somiglia a tutti noi, e a te per prima.
Immagina se Breat Easton Ellis avesse scritto American Psycho pensando che Patrick Bateman fosse solo un pazzo criminale. Cosa avrebbe fatto il suo romanzo che le cronache americane di ogni giorno non facciano già? Per scrivere della vita di un serial killer devi diventare un serial killer. Per scrivere della vita di una donna obesa e ossessiva devi assumere una posizione scomoda, indossare i suoi panni over-size e non vergognarti di essere come lei.

Non puoi stare con due piedi in una scarpa (o – come ho sentito ieri in una meravigliosa stupidissima commedia romantica: montare lo stesso culo su due cavalli) e entrare in casa sua con il dito puntato: guardate com’è grassa! guardate cosa fa mangiare al figlio! guardate come certa gente può impazzire dietro a certe cose!
La storia di Amy Lee e di suo figlio John farà breccia nel lettore se tu gli mostrerai qualcosa di loro che lui non abbia visto già.

Un caro saluto,
Francesca de Lena

Tagliando

«Vedi amore, la vita ti offre tante possibilità. Possibilità meravigliose; è nostro dovere coglierle tutte, altrimenti sarebbe come sprecare i bei doni del Signore» disse Amy Lee querula. Guardò suo figlio John con amore infinito. Non si era mai sentita meglio. Era l’America quella, lei era una donna fortunata e se ne rendeva conto. Avrebbe potuto nascere in uno di quei brutti paesi poveri, dove la gente vive nella miseria più nera, senza tutte le meravigliose possibilità che le erano toccate. Posti orribili; ogni tanto Ophra ne parlava, raccontava di guerre e carestie, ma Amy cambiava subito canale. Certe scene erano per lei insostenibili. Sì, Dio le voleva davvero molto bene se aveva deciso di farla nascere in Wyoming, e di farle avere tutto quel bendidio. Perché lei possedeva già tutto, ma sopratutto poteva avere ogni cosa avesse desiderato, senza limiti. Sospirò sorridendo. Guardò il tavolo cosparso di fogli. Ci sarebbe voluto ancora un po’ di tempo per sistemare tutto. Ma andava bene così. «Per ottenere grandi risultati ci vuole un grande impegno. E noi ce lo stiamo mettendo, vero caro?» Suo figlio John annuì senza staccare gli occhi dai ritagli di giornale che aveva in mano. Amy gli accarezzò i capelli, stava diventando un ometto. Il suo ometto. Poi si alzò a fatica dalla sedia – maledetta vita sedentaria – e quasi barcollando sparì dietro una piccola porta. Il pavimento scricchiolava ad ogni suo passo. Si sentì uno schiocco piuttosto forte. «Tesoro, non è niente sono solo queste vecchie assi, forse dovrei togliere ancora qualcosa da qui e portarla… e portarla di sopra. Ma prima ci devo pensare bene, è tutto così ordinato adesso» disse Ami Lee riemergendo dalla porticina. Teneva in mano una barretta al cioccolato, caramello e cereali. La soppesò per un momento, guardandola sorridente, infine la porse al piccolo John. Nel tendere il braccio, le lonze di grasso ondeggiarono come tendaggi pesanti. «John, amore prendi il tuo snack» disse Amy agitando la barretta. Il bambino alzò il capo lentamente, aveva lo sguardo spento: «Ma mamma, per una volta mi piacerebbe un sandwich, con pane, carne, lattuga e pomodori freschi» disse tutto di un fiato. Ingoiò la saliva che gli si era formata in bocca al pensiero di quei cibi che non gustava da… non se lo ricordava nemmeno più quando avesse mangiato della lattuga l’ultima volta. E pensare che da piccolo nemmeno gli piaceva la lattuga. «Ma amore, tu ami le barrette Crunch, con doppio caramello e triplo cioccolato. La mamma le compra apposta per te, perché so che le ami e anche io ti amo. Sei il mio piccolo tesoro» disse lei quasi cantilenando. Continuava a tenere la cioccolata a mezz’aria davanti alla faccia di suo figlio. «Va bene, mamma, come vuoi.» John prese la barretta con la punta delle dita e la scartò lentamente. Amy sorrise. «Bene, sei il mio bambino.» Ma come si permette questo piccolo ingrato? Ne avete parlato mille volte: questo è quello che deve mangiare. «Però tesoro, ne abbiamo già parlato tante volte, questo è quello che devi mangiare. È nutriente. È gustosa.» John annuì senza dire niente. Amy tornò a sedersi a fatica. La sedia, comprata a una svendita di mobili da giardino e pagata solo il 30% del prezzo di listino, cigolò sotto il suo peso. Le natiche di Amy strabordarono da entrambi i lati. Era un pomeriggio di fine estate. La luce, come miele liquido, filtrava discreta dalle fronde dei sicomori. A qualche centinaio di metri il traffico febbrile del raccordo autostradale sembrava un nastro scintillante. Amy guardò il suo giardino. L’erba era un po’ alta, ma non così tanto. Quegli impiccioni dei vicini di casa avevano parlato di giungla. «Esagerati, invidiosi e impiccioni» sussurrò stizzita.

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