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Voglie

A seguito della nostra call abbiamo ricevuto 106 racconti. Letti e selezionati dalla classe di Apnea ’20/’21, ne sono infine stati scelti 14 per la pubblicazione.


Questo è l’undicesimo, lo ha scritto Daniel Coffaro e ha richiesto poco più di una correzione di bozze, per chiarire al massimo la sintassi, più un ragionamento sul finale: troppo rassicurante e basato sull’anafora, è stato prima eliminato dalla corsista di Apnea Sara Cappai e poi recuperato solo in piccola parte da Francesca de Lena per dare chiusura. Alla compiutezza finale del testo hanno lavorato le redattrici.


Fotografia di una coppia apparentemente male assortita che in qualche modo prova a stare in piedi: due quarantenni single si trovano a cena per il loro primo appuntamento, legati dalla paura di restare soli. Un racconto amaro, che la schietta ironia riesce a trasformare in sorpresa e in una strana forma di dolcezza.


di Daniel Coffaro


Teresa ha un leggero strabismo convergente e il respiro di una che ieri ha mangiato aglio, due cose che mi fanno sentire a mio agio. Il suo accento siciliano me la fa sembrare antica, ma a vederla non le si darebbero venticinque anni. Di anni ne ha trentacinque, dice.

Ci siamo dati appuntamento alle 21.30 perché prima non poteva. Alla prenotazione ci ha pensato lei. Si è presentata puntuale, con le sue gambe a X e la sua voce alta, sguaiata. Siamo entrati nell’atmosfera formale di questo ristorante, lei ha salutato e il cameriere deve aver pensato a una rapina. Per intenderci: il sommelier che ci ha portato il vino ne ha versato un po’ sulla tovaglia. Teresa ha intinto un dito nella macchia e se l’è passato sul collo. Porta bene, ha detto.

Oltre alla presunta età e al fatto di essere single, non abbiamo molto altro in comune. Io spillo birre da dietro a un bancone, lei fa la segretaria in uno studio di commercialisti. Io fermerei l’auto alle strisce pedonali per far attraversare un sacchetto mosso dal vento, lei passerebbe con il rosso. Io direi sempre una parola in meno del necessario, lei manterrebbe la sua verbosità vibrante anche al cospetto di una valanga. Lei viene da Catania, io sono cresciuto a Torino, ma ora che siamo seduti a un tavolo, così vicini, le nostre differenze si accentuano. Di fatto sembriamo un’ecuadoregna e un lappone.

«Sai di cosa ho voglia? Di cozze in umido», mi dice.

Le cozze sembrano delle vagine, ma il pensiero di sentirla succhiare un chilo di cozze, collezionando un cumulo di gusci neri timbrati di rossetto, non mi attizza.

«E tu di cosa hai voglia?», mi chiede.

Di tornare a casa. Di togliermi questi pantaloni che da seduto non mi arrivano alle caviglie. Di guardare una serie tv thriller. Capiresti, Teresa?

«Ho voglia di carne».

Apro il menù sul foglio secondi di carne e punto il dito a caso. Filetto alla Rossini. Quarantadue euro: la prossima volta.

Il cameriere ci chiede se sappiamo già.

«Cozze alla marinara per me. A seguire tagliata di tonno con pesto di menta». È probabile che lo sappia già da stamattina. Io, invece, sono indeciso. Abulico, più che altro.

«Cosce di pollo con zabaione salato per me, grazie».

Il tizio mi dice che se ho piacere di assaggiare il pollo la prossima volta conviene prenotare in prima serata perché è un piatto molto richiesto e, purtroppo, per questa sera è esaurito.

“Esaurito”, sì. Credo che la vita in batteria sia la prima causa di stress nei polli.

«Allora prenderei il petto d’oca floreale».

«Signore, purtroppo…».

«La zuppa di germogli?».

«Una zuppa di germogli per il signore. Gradite altro?».

Il tizio si allontana a mento alto e culo stretto. Teresa mi dice che le dispiace tanto, ma può succedere che quando si fa tardi ci si debba accontentare. Mi sembra inconsapevole del significato sotterraneo contenuto nella sua affermazione, ma le propongo un brindisi: al nostro amico comune che ha raccolto due single di quasi quarant’anni arrivati tardi agli appuntamenti della vita e li ha fatti incontrare. Ci accontenteremo, Teresa?

Mi propone di conoscerci meglio e quindi mi chiede di che segno zodiacale io sia.

«Scorpione, credo».

«Ne ero sicura», commenta.

Alla radice del collo, Teresa ha un tatuaggio. Il simbolo dello zolfo alchemico; o del mercurio, magari del sale, non lo so. Dev’essere una tipa che colloca esoterismo, omeopatia e fisica quantistica sotto un’unica voce: “Le discipline invisibili che governano il mondo (e di come la mia sensibilità mi permetta di intuirle)”. Una tipa scientificamente superstiziosa. Le tavole ouija degli elementi, i tarocchi al ginseng e la luna nera supermassiccia. Una tipa timida, alla ricerca di qualcosa che possa servire a portarla dov’è già. Non a caso deve aver sgranocchiato una testa d’aglio prima dell’appuntamento, alcuni credono sia di buon auspicio. Se non altro, un ottimo rimedio nel caso in cui io mi fossi presentato con i canini lunghi e una sete bestiale.

Mi sembra rispettoso, a questo punto, rivelarle che non sono uno che crede in ciò che non si può vedere.

«Che cosa triste», dice lei. «Ascolta, te ne racconto una».

Vai Teresotta, segretaria gitana, stupiscimi.

«C’è questa mia amica che tiene in casa un grande dipinto, un ritratto della sua nonna defunta. L’estate scorsa voleva andare in vacanza, ma non sapeva come fare con il gatto, un Maine Coon, un felino grosso, addomesticato per un soffio, quello che può essere per i cani un cane lupo. Anche se aveva vissuto tutta la vita in casa, era pur sempre un animale dall’indole selvatica, per cui non sapeva se era una buona idea lasciarlo solo, non era abituato a stare…».

Arrivano le sue cozze erotiche e la mia zuppa insipida.

«Dicevo, non era abituato a stare senza compagnia tutto quel tempo. Insomma, io adoro i gatti e, poiché quell’anno non avevo vacanze in programma, mi sono offerta di passare a casa sua una volta al giorno per dargli da mangiare e fargli un po’ di coccole. Così lei è andata via tranquilla. Per ogni mattina, quelle due settimane, sono passata dal gatto. E fino a qui tutto bene…».

Teresa si è calata sulla bacinella di cozze, mastica e parla insieme. Ha una gran fame, mi sembra una tipa vorace, una che gratterebbe i muri con le dita per mangiarseli. La sola cosa che trovo interessante del suo racconto, finora, è che non avesse programmi per l’estate. E con questa, le cose di Teresa che mi mettono a mio agio diventano tre: dev’essere la mia anima gemella.

«Quando la mia amica è tornata, il gatto era contento di rivederla. Però, quella sera, è successa una cosa strana. Una cosa che si è ripetuta anche la sera successiva e quelle dopo ancora…».

Con il pretesto della marinatura, Teresa si sta ciucciando via lo smalto dalle unghie.

«A mezzanotte il gatto scala il mobile e punta il grande dipinto che raffigura la nonna. Gli viene il pelo alto e inizia a soffiare contro il quadro, miagolando con un tono grave, una voce aggressiva e di paura. L’ho visto io stessa, con i miei occhi. Che ne pensa uno scettico come te di questa cosa?».

Penso che per avere un Maine Coon e un dipinto della nonna in casa, questa tua amica dev’essere molto più che benestante. C’è gente che nasce predisposta, penso. Con un destino facile. Io ho quasi quarant’anni e lavoro in un pub, la cena di stasera mi costerà un quarto di stipendio. Il figlio del mio titolare ha dodici anni e guadagna ottocento euro al mese suonando il flauto traverso in Polonia.

«Allora, che ne dici?».

«Dico che i gatti sono animali misteriosi».

«Esatto!».

E gli esseri umani di più, Teresotta.

Questa donna è carina davvero, comincio a credere. Mentre mi alitava addosso la sua parabola mi è aumentata la voglia d’aglio. Un tipo di voglia che non ho mai avuto. Una scoperta. Il cameriere porta via i piatti vuoti e io sono tentato di chiedere se ci sia una specialità dello chef ad alto contenuto aglioso. Così, per togliermi via la voglia di baciare la bocca aromatica di Teresa a fine serata visto che lo farei per l’aglio, e non per lei: non mi sembrerebbe corretto.

«Hai le posate incrociate», mi dice, con un sorriso di provocazione.

«E quindi?».

«E quindi porta male. Permetti?».

Teresa sposta la forchetta addossata al coltello e la posiziona parallela a esso.

«Non ci credo che non conosci il galateo scaramantico. Le posate non vanno mai incrociate! E non si regalano i coltelli. Inoltre se ti cade una posata per terra vuol dire che presto qualcuno busserà alla tua porta: una femmina se a cadere è un cucchiaio, un maschio se è un coltello».

«E se fosse una forchetta?».

Teresa mi vede perplesso e mi dice che sono giochi, più che altro.

Le racconto che, in effetti, mia madre a Natale mi ha regalato un set di coltelli dal manico viola ed è da gennaio che non ci parliamo più. Ma forse il motivo è che li ha visti pochi giorni dopo al mercatino dell’usato e si è offesa. Non avevo spazio per un ceppo con dei coltelli, in cucina. Sai, le madri ci provano fino all’ultimo ad arredarti casa.

Arriva la tagliata di tonno per Teresa e il cameriere chiede se vogliamo un paio di posate e un piattino extra per dividerci la portata. Io credo che non sia necessario sottrarre cibo a questa creatura famelica, ma lei risponde: perché no? Forse trova imbarazzante essere l’unica a mangiare, o forse la convivialità meridionale glielo impone.

Il pesto di menta è servito a parte, in una scodellina con un cucchiaino. Odora di aglio. Ne metto un po’ sul pane. L’aglio è freschissimo, prima mi pizzica la lingua, poi me la anestetizza leggermente. Bene, Teresa, da ora giocheremo ad armi pari. Lei stende un po’ di pesto sul tonno, ma il cucchiaino le scivola dalle mani e le cade per terra. Le dico che, stando alle credenze del galateo scaramantico, busserà alla sua porta una bambina. Teresa ride e ha davvero un sorriso coinvolgente, seppur costellato da particelle di menta. Poi si fa seria. Mi dice che tempo fa ci ha provato ad avere un bambino, ma non ha funzionato.

«Mi dispiace».

«No figurati, sto meglio adesso. Sai cos’è che mi ha fatto soffrire più di tutto?».

«Non saprei».

«Le voglie. Già al terzo mese ho iniziato a desiderare cibi che per la mia condizione non era consigliabile consumare. Carni crude, per lo più. Carpacci, tartare, filetti al sangue, sushi. Ma anche cozze, vongole, ostriche. Non ho mai mangiato ostriche e comunque ne avevo voglia. E poi bevande fredde, gelide, non riuscivo più a bere neanche un bicchiere d’acqua se a temperatura ambiente. In alcuni giorni ho perfino desiderato masticare del ghiaccio. Ovviamente mi sono sempre trattenuta, ma il desiderio era lì. Il mio corpo, d’istinto, voleva rigettare quella gravidanza. E infine, per altre cause, ci è riuscito. Questa cosa che ho avuto i medici la chiamavano “propensione al picacismo”, che in generale vuol dire che ti viene voglia di ingerire sostanze non nutritive, ma si può anche usare per descrivere una donna incinta incline a mangiare cose dannose per il bambino».

“Picacismo”. Sì, mi ricordo. C’era un tipo francese, uno showman televisivo, famoso per le sue performance. Mangiava di tutto: metallo, vetro, gomma, biciclette, padelle, televisori.

«A cosa pensi?».

«Teresa, te lo ricordi il Signor Mangiatutto?».

«Chi?».

«Un tizio francese che andava in tv e mangiava di tutto. Una volta si è mangiato un aeroplano».

«Un aeroplano?».

«Sì, un piccolo monomotore a due posti. Ci ha messo due anni, ma se l’è mangiato tutto».

«Ed è morto?».

«Sì. Trent’anni dopo, di cause naturali».

«Non ci credo».

«Ci crederai. Lo puoi vedere su Youtube».

Negli occhi strabici di Teresa convergono una propensione a ridere e una voglia di prendermi a schiaffi. Conosco bene la sensazione, provo qualcosa di simile nei confronti della mia vita.

Se ci fossimo incontrati qualche anno fa, io e Teresa, non ci saremmo scambiati uno sguardo. Ma oggi una cosa ci accomuna, ed è la paura. Nella sua tasca c’è un telefono in cui è installata un’app di incontri. Nella mia c’è il bisogno incatenato di dirle che io e lei non avremo mai nulla da spartire. Ma i nostri pensieri divergenti si attraversano in un punto, in una filosofia del tutto nuova per entrambi: l’idea che forse sia meglio male accompagnarsi che non restare soli. E in questo luogo preciso, mentre muore il desiderio, può nascere l’amore.

Teresa mi chiede se voglio il dolce e ammetto che se spendo ancora un euro non avrò di che nutrirmi nei prossimi giorni.

«Te lo offro io».

«No, grazie, mi laverebbe via il gusto che ho in bocca».

Chiediamo il conto, paghiamo metà a testa e usciamo. Passeggiamo un po’ nel parco, poi ci sediamo su una panchina, sotto la pioggia di luce calda di un lampione.

Teresa si avvicina: «Allora… ti va di darmi un bacio?».

«No, in questo momento no».

«A cosa stai pensando?».

«Che si dica dell’aglio che abbia un’anima».

«Senti… adesso cosa vuoi fare?».

«Pensavo di andare a casa, mettermi qualcosa di comodo, guardare una serie tv thriller. Ti va di venire con me? Ho due gatti. Non sono Maine Coon, ma…».

Teresa sorride e mi dice sì con la testa. Non sa se la bacerò, se faremo del sesso o se invece guarderemo davvero qualcosa in tv, e non lo so neanche io. Di cosa ho voglia? Siamo fatti l’uno per l’altra? Può darsi che ci accontenteremo o che non ci vedremo mai più. Forse l’unica cosa che resterà di questo appuntamento sarà l’immagine di un gatto che soffia contro un quadro. O di una donna incinta che cerca nel freezer qualcosa da masticare: una vita alternativa.


Daniel Coffaro è nato in un paese tra le montagne di Torino, nel 1988. Ha studiato fotografia e ha un master in storytelling. Collabora con agenzie digitali per progetti di narrazione crossmediale. È autore e produttore di opere audiovisive, alcune delle quali sono state selezionate alla Mostra del Cinema di Venezia e al Sundance Film Festival. Dal 2020, i suoi racconti sono ospitati dalle riviste letterarie: “Bomarscé”, “Crack”, “inutile”, “Narrandom” e “retabloid”; ha ottenuto un riconoscimento al Premio InediTO ed è stato finalista di 8×8 si sente la voce. È appassionato di hiking e di buona cucina.


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