Gattopardi editoriali #7. Brutti, sporchi e cattivi
Pensiero più o meno diffuso vuole che l’editoria di un tempo fosse migliore di quella di oggi: libri più curati, maggior rispetto per gli scrittori, poco interesse per il profitto. Ma è davvero così o è solo la patina nostalgica di ciò che non abbiamo vissuto a farci sembrare tutto oro quel che in realtà è piombo (tipografico)? “Gattopardi editoriali” è la rubrica sull’editoria che cambia per restare (quasi) così com’è da sempre. Tra le lamentele che ritornano spesso nei discorsi intorno ai libri, un posto d’onore spetta a quella sulla sovrabbondanza di “libri brutti”: le case editrici, si dice, non fanno che inondare il mercato di opere inutili, scadenti, culturalmente riprovevoli (i più ingenui si spingono a dire che si dovrebbero pubblicare “solo capolavori”).Come abbiamo visto nella prima puntata dei “Gattopardi”, la lamentela ha radici antichissime e, praticamente, nasce insieme all’invenzione della stampa. Da allora, non ha mai smesso di essere feconda. Infatti, ancora (e già) nel Settecento e poi nell’Ottocento: È una questione ancora aperta se l’invenzione della stampa abbia contribuito al progresso delle lettere …