lettura, non prenderla come una critica
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Non prenderla come una critica – Il libro che visse due volte di Sally Rooney

di Valentina Grotta

A 28 anni Sally Rooney è già una scrittrice dal successo planetario, e questo dal suo primo libro Parlarne tra amici (Einaudi, traduzione di Maurizia Balmelli). Osannata, a giusta ragione, dal New Yorker, è stata selezionata con il suo secondo libro, Persone normali (Einaudi, traduzione di Maurizia Balmelli), per il prestigioso Man Booker Prize.
La casa editrice Faber&Faber ha appena annunciato che la BBC sta girando una serie tratta dal secondo libro, con Daisy Edgar Jones e Paul Mescal. Persone normali è uscito da poco, a nemmeno un anno dal primo libro, e già tutti ne parlano. Se ne parla perché è un libro molto bello, ben riuscito, ma soprattutto: identico al primo.

Normal People: il libro che visse (già) due volte

Questa somiglianza è strana, ma innegabile per diversi motivi. I due romanzi sono simili in almeno tre elementi: la trama, la conseguente dinamica tra i personaggi e il leitmotiv di fondo.
Schema della trama: A ama B, da questi ricambiato. Una serie di avvenimenti, tumulti interiori, insicurezze e fraintendimenti dividono la coppia fino al casuale e drammatico prefinale in cui, in entrambi i romanzi, un evento casuale e più grande dell’insicurezza li fa finalmente riavvicinare.
Dinamiche dei personaggi: A e B si incontrano in un contesto (familiare nel primo libro, socio culturale nel secondo) fortemente contrastato. In Parlarne tra amici la relazione amorosa tra i due protagonisti avviene dentro la cornice dell’adulterio, in Persone Normali, invece, i due amanti sono due post adolescenti problematici, profondamente insicuri di sé e di ceto sociale diverso. Questo non permette a entrambe le coppie di avere una relazione esplicita, condivisa da famiglia e amici, il che innesca la maggior parte dei conflitti sia interiori che ambientali di entrambi i romanzi.
Il leitmotiv: le dinamiche interpersonali di cui abbiamo parlato sono, in entrambe le storie, delineate sulla base di rapporti di potere e dipendenza. Il tipo di potere che la Rooney ci racconta, però, è molto particolare. A una prima lettura sembra che in entrambi i libri sia l’uomo a dominare la donna: in Parlarne tra amici una studentessa ventunenne si innamora di un bell’attore infelice e sposato e in Persone normali la bruttina della scuola, anch’essa ventenne, emarginata e ancora vergine, si innamora del bel ragazzo figlio della sua governante. Eppure entrambe le ragazze sembrano esercitare un controllo passivo sull’altro, senza subire soltanto il suo desiderio. Un esempio in cui si delinea il potere di Frances, protagonista di Parlarne tra amici, è in un paragrafo, un po’ involuto, in cui la ragazza descrive cosa fa durante il sesso con Nick, il suo amante attore:

Intuivo che gli piaceva quando gli dicevo quanto mi facesse stare bene. Se mi dilungavo troppo era molto facile farlo venire. A volte mi piaceva farlo solo per sentire di avere un potere su di lui, e dopo lui diceva: Dio, mi spiace, è stato così imbarazzante. Sentirgli dire questo mi piaceva più del sesso in sé.

Oppure, poco più avanti, esplicitando l’intermittente posizione di potere/passività della protagonista:

E mi ha infilato la mano tra le ginocchia. Indossavo un vestito a righe e avevo le gambe nude; nell’istante in cui mi ha toccata mi sono sentita eccitata e passiva come se fossi addormentata. È stato come se le forze mi avessero abbandonata, e quando ho cercato di parlare balbettavo.

Poco dopo la protagonista chiede al bel Nick cosa succederà quando la moglie tornerà a casa. La risposta che le viene data non è proprio di uno dal polso di ferro. Nick dice infatti: “Ci inventeremo qualcosa”. Anche successivamente, Nick non farà nulla per esplicitare la relazione e cercherà sempre di proteggere il suo matrimonio.

Allo stesso modo, in Persone Normali, la protagonista Marianne si trova a destreggiarsi tra la capacità che ha di far fare a Connell, il suo amante segreto, cose che lui non vorrebbe davvero fare e la voglia di farsi dominare – e addirittura picchiare – da chi gli sta vicino. All’inizio della loro relazione, in una scena in cui Marianne confida a Connell che la madre non la ama e il fratello è uno psicopatico, Connell dice a Marianne di amarla. Il ragazzo si pente subito di averlo detto. Sembra proprio che Connell si senta in qualche modo spinto da Marianne a dire questa cosa a causa del suo background familiare (una tale pressione psicologica porterà poi Connell a lasciarla).
Viene spiegata così la reazione di Connell alla sua dichiarazione d’amore:

Ha iniziato a dirle che l’amava. È semplicemente successo, come ritirare la mano quando si tocca qualcosa di bollente. (…) Era vero? (…) In un primo momento ha pensato che doveva essere vero, dal momento che lo aveva detto (…) ma poi si è ricordato che ogni tanto mentiva, senza premeditarlo né sapere perché.

La dinamica di passività della protagonista è invece spiegata bene in una scena a metà del libro. Dopo la fine della relazione tra Marianne e Connell, i due si incontrano per un caffè. Marianne racconta, in un dialogo un po’ sadico, che il suo nuovo ragazzo, Jamie, la picchia durante il sesso. La reazione di Connell è sconcertata: ora sono amici, e lui si preoccupa per lei. Ma Marianne spiega così la sua relazione:

Con Jamie è come se recitassi una parte, fingo di sentirmi così, come se fossi in suo potere. Ma con te era davvero una dinamica, quelle sensazioni le avevo sul serio, avrei fatto qualunque cosa tu avessi voluto. Lo vedi, adesso pensi che sia una cattiva ragazza. Che sia sleale. Chi non vorrebbe picchiarmi?

Dunque in entrambe le relazioni sembra che le due donne protagoniste siano profondamente desiderose di lasciarsi andare e di farsi dominare, e allo stesso tempo (e forse proprio per la loro immensa disponibilità) armate di un potere di persuasione che gli uomini non sanno gestire e che ne provoca l’allontanamento. In entrambi i libri questo rapporto di potere, derivante da una dinamica di dipendenza, innesca nelle ragazze due reazioni simili nel momento in cui i rispettivi uomini si allontanano: in Parlarne tra amici Frances rafforza i suoi comportamenti autolesionisti mentre in Persone normali Marianne lambisce l’autodistruzione diventando anoressica.

rooney

Una questione di ripetizione

Riassumendo: A e B si amano, vivono tristemente – e segretamente – la loro storia poi per caso si ricongiungono; due uomini dominanti loro malgrado e dinamiche di potere sbilanciate; due donne enormemente passive che grazie a questa immensa disponibilità spaventano uomini meno disponibili di loro.

Si manifesta qui, con questa configurazione ripetuta di temi, dinamiche e personaggi, quello che Zizek, nel suo bellissimo saggio sul remake (Hitchcock: è possibile girare il remake di un film?, Mimesis edizioni) intravedeva nei film di Hitchcock: i segni della coazione a ripetere esistono non solo per ribadire un concetto, ma per legare i racconti tra loro in modo tale da costruire un corpus unico di scene e storie che si parlano tra loro. Come la vertigine rappresentava per Hitchcock un leitmotiv non solo figurativo (si pensi all’inizio di Psycho o ai titoli di testa di Vertigo (La donna che visse due volte) e anche alla scena nella chiesa di San Juan Batista) il potere e la dipendenza psicologica sono il filo rosso nei due romanzi della Rooney al punto che le intense scene d’amore dei personaggi in entrambi i libri si confondono le une con le altre creando un unico universo sessuale ben delineato, dove, come abbiamo visto, domina la sottomissione e il piacere come cessazione della volontà.

Certo, due opere non sono ancora sufficienti per delineare un’intera poetica, ma questi romanzi sono simili in un modo che sembra così pensato e coerente che è possibile intravedere una sicura progettualità. E questo progetto, delineato in questo modo, si avvicina molto all’idea di remake in cui la coazione a ripetere restituisce quello che Lacan chiamava sinthomo (in Il seminario. Libro I. Gli scritti tecnici di Freud. 1953-1954, traduzione di Antonello Sciacchitano e Irène Molina, Einaudi), ovvero il segno che ripetuto nelle diverse opere dà spazio a “uno strano godimento”. È vero che la presenza di elementi così simili può deludere il lettore che vuole leggere sempre nuove storie (e abbiamo parlato solo delle dinamiche e dei personaggi principali, ma anche quelli secondari e addirittura il viaggio ‘catalizzatore’ di tensioni nascoste è lo stesso in entrambi i libri). Ma qui si innesca un altro piacere, più sottile. Perché è innegabile, infatti, che la similitudine tra i due libri, lungi dall’essere noiosa o ripetitiva, possa avere lo stesso potere delle favole: restituire il piacere di un elemento conosciuto, che ci attraversa in sentieri già parzialmente battuti, in cui i personaggi e le situazioni sono così vividi e speciali che anche il ritrovarle in forma diversa non gli toglie nulla della loro bellezza e potenza.

“Non so cos’ho che non va” dice Marianne ad un certo punto. “Non so perché non riesco a essere come le persone normali.” È un dubbio universale, questo di Marianne, e ci vuole tempo per avvicinarsi a possibile risposta. E questo dubbio, nella letteratura come nella vita, non viene mai fugato una volta per tutte.

1 commento

  1. Silvia says

    Grazie per questa analisi.
    Non avevo riflettuto su tutto questo o almeno non ero riuscita a dare un nome al benessere, alla nostalgia, alla tenerezza che ho provato durante la lettura di questi libri. Sono le somiglianze, non copie, elementi ripetuti che ci fanno sentire a casa. Molto azzeccato il paragone con Hitchcock, che, almeno a me, provoca esattamente lo stesso effetto!

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  2. tinetta80 says

    Ciao Silvia, grazie a te. Hai ragione, la ripetizione ci fa sentire a casa, ci mostra un mondo di cose già conosciute che sappiamo ‘decodificare’. Forse ci serve? Ne abbiamo bisogno perché il mondo è diventato difficile da abitare? Intendo anche il mondo… emotivo. Non so, è un’altra cosa su cui riflettere!

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    • Sì! Sulla nostalgia e sulla ripetizione c’è un bellissimo libro che si intitola, appunto, “L’invenzione della nostalgia”, di Emiliano Morreale. È incentrato in particolare sul cinema e la tv, ma anche lì si parla di come temi, stile e oggetti del nostro immaginario, attraverso la fiction, puntino a costruire un mondo confortevole, che a volte non abbiamo nemmeno conosciuto in prima persona!

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