A seguito della nostra ultima call, la classe di Apnea ’22/’23, insieme con la redazione e sotto la supervisione di Francesca de Lena, ha letto, selezionato e poi editato 5 racconti per la pubblicazione.
I 5 racconti sono stati letti dalla giuria di scrittrici Barbara Fiorio, Veronica Galletta e Sarah Savioli, che hanno decretato il podio.
L’autore di Polly TV è Luca Dore. Il suo racconto è stato editato dalle allieve editor Daniela Pala e Dalia Merotto e ha vinto il secondo premio della nostra call: la consulenza sull’idea, con Francesca de Lena.
Marzio Maran, titolare di un’emittente privata prossima allo spegnimento digitale, in auto insieme alla sua amante slovena e al suo ex socio cui deve migliaia di euro, provoca un incidente stradale. Gli uomini si salvano mentre la ragazza, Apollonija, finisce in coma. Maran annuncia il suicidio in diretta dalla sala rianimazione, ma viene bloccato. I video finiti in rete fanno crescere l’attenzione e viene creata una trasmissione in streaming chiamata Polly TV, con un vero palinsesto quotidiano.
di Luca Dore
La telefonata tanto attesa da Marzio Maran arriva insieme ai digestivi – due maraschini offerti dal padrone del Capitano – e si protrae anche alla cassa, mentre lui cerca con pacche plateali la carta di credito nelle tasche della giacca. Apollonija passa in rassegna i fiori finti del ristorante, le saliere assemblate con cura, l’acquario appannato. Le è consentito guardare ogni cosa. E toccare. E ficcare l’anulare nella vasca delle aragostelle.
«Ci penso io. Tenga questa», dico per smorzare l’imbarazzo del giovane cassiere in attesa, e così Maran, che intanto esibisce la sua poderosa stretta di mano con bacio sulle guance al proprietario, mi deve trentamila euro giusti giusti.
Poi esce, prima di tutti, senza mai staccare l’orecchio dal cellulare.
Ed esco anch’io, con una ricevuta in penna azzurra su foglio a quadretti. Lo tallono a un centimetro, per ricordargli l’ammontare del suo debito.
Apollonija saluta, baci soffiati urbi et orbi e uno vero al cameriere più giovane.
Per tutto il pomeriggio è rimasta in spiaggia da sola, mentre Maran ogni mezz’ora le prometteva di arrivare. Invitarla a cena al Capitano è l’unico modo che ha trovato per farsi perdonare.
Forse da lei. Non certo da me, dai miei due figli, dalle mie sedici rate di mutuo residue.
Fa spallucce quando gli racconto delle minacce della mia banca o di quelle, venate di sangue, della mia ex moglie; non riesce a capacitarsi che a qualcuno possano servire davvero trentamila euro di arretrati.
Anche quando mette in moto, Maran continua ad annuire al telefono. Ma gli vengono fuori solo sbuffi e colpi di tosse. Si tocca la bocca dello stomaco, cercando conforto in Apollonija. La ragazza si volta verso di me, il suo naso è buffo e sensuale, gli occhi sgranati. Illuminata dalla lampadina del cruscotto dice: «Fa sempre così. Beve, beve e poi li sale gas da stomaco».
Maran si piega sulla destra del sedile per liberarsi dal fastidio della giacca e agganciarsi la cintura. Ne approfitta per tirare fuori la lingua, cerca il sale sulla coscia sinistra di lei, che ride e lo caccia con un pugno delicato sulla testa.
Quando riesce a fissare l’enorme smartphone alla calamita sul cruscotto e a schiacciare il tastino del vivavoce, Apollonija fa conoscenza del timbro stonato di Regazzoni, di cui io invece ho nausea.
Le ultime parole percepibili sono: «Marzio, mi dispiace. Avremmo voluto fare di più, ma… Ci vorrebbe una montagna, ti dico, una montagna di soldi. Sai che vor di’ in italiano switch-off: che noi ce la prendiamo in culo!».
Basta. Poi lo schianto.
La cabina a torretta della società elettrica, un parallelepipedo di cemento color zabaione, non aveva mai mietuto vittime. Ma non può opporsi allo scavalco di corsia di un ubriaco che cercava di grattar via i granelli di sabbia dagli slip di una ragazza.
Io, come probabilmente racconterò l’incidente negli anni a venire senza troppi particolari, esco dall’auto con le mie gambe.
Apollonija ha il cranio spaccato, su ogni frammento di vetro del parabrezza un campione del suo gruppo sanguigno.
Sul «Gazzettino» dell’indomani, a tutta pagina la foto del “miracolosamente illeso” Marzio Carmine Maran, titolare di TeleSabina. “Per la donna che lo accompagnava, A.V. 28 anni, trasferita d’urgenza al Santa Chiara, la diagnosi è riservata”.
***
Marzio Carmine sa che appena dimesso dal Pronto Soccorso non potrà più contare su sua moglie, principale finanziatrice di TeleSabina, anche se da sempre porta il suo nome.
La donna non credeva all’esistenza della “puttana slava”, così come la avvertivano le mie telefonate anonime negli ultimi tempi. Ma ora che la foto del cranio spaccato è sui giornali, si è arresa.
Non tirerà fuori nemmeno un soldo per risollevare l’emittente, tanto meno per salvare lui. Gli concederà giusto di abitare nella casetta in campagna, un rustico mai ultimato dove Maran era solito eseguire in boxer il grande show dell’accensione del camino davanti agli occhi di Apollonija, e prima ancora di Giorgia, la lettrice precaria del notiziario. Il tappeto bianco peloso davanti al fuoco impressionava le ragazze; quello, e l’odore di soldi che emanava il suo petto depilato e profumato.
Gli restano una telecamera a spalla, uno smartphone ancora attivo malgrado lo schianto, una scatola di gadget di TeleSabina. Qualcuno ha avuto l’ironia di poggiargli queste poche cose accanto al letto della stanza Uomini4.
Per me è solo questione di ore; non sarò ricoverato, né auscultato, né considerato dall’azienda sanitaria.
Come ogni notte nell’ultimo anno torno a casa dai miei. Certo, non si aspettavano di doversi riabituare alla luce azzurra del televisore della mia cameretta malgrado abbia già trentacinque anni e un matrimonio finito di cui a tavola non parliamo mai.
Sul 98 del digitale terrestre il segnale è ancora attivo, lo sarà per altre quarantotto ore. C’è una striscia di ultimissime con le notizie di una settimana fa. E la solita animazione di fine trasmissioni, un atomo che descrive ellissi sempre più lunghe; ricordo di aver pagato un programmatore per quella sigla.
Negli ultimi tempi l’effetto nebbia finale ha il potere di inocularmi il sonno. Una piccola febbre mi si attacca al retro delle orecchie. Giro e rigiro il cuscino per averlo sempre freddo a contatto.
Ma la luce nella stanza è decisamente reale. Non è un prodotto della febbre: il vano inseguimento del pallino grigio è sparito e Marzio Maran parla da quel cazzo di televisore.
Non è la casa di campagna, c’ero stato diverse volte, soprattutto con Giorgia, quella del notiziario.
Maran è un primo piano ossessionato dalla sua cintura di pelle: «Cuoio di prima scelta. Toh, com’è lunga. Domani alle 20, in diretta nazionale, non mancate. Su TeleSabina, canale 98 del digitale terrestre. Contro tutti i figli di puttana che l’hanno stretta attorno al collo dell’Italia che lavora! Domani alle 20. Vedrete che fine fa un vero uomo. Bastardi. Non è quello che volevate? Eliminare la pluralità, la chiamate così quando vi fa comodo. Vi ricorderanno per quello che siete: gli assassini di un uomo che ha dato tutto per la sua azienda».
Ritorna l’atomo, ma il sonno ormai se n’è andato.
***
Di primo mattino vado a recuperare Marzio nell’unico posto plausibile.
All’ingresso pretendono la tessera sanitaria, ma non è sufficiente per il Santa Chiara; solo un parente stretto di Apollonija può entrare.
«Non volevo essere costretto», dico alla guardia giurata che scorre con cura tutti i suoi messaggi Telegram, «ma credo che qualcuno sia già nella stanza della ragazza, da diverse ore».
«È impossibile», fa quello, il viso grasso e i riccioli induriti da un gel al pantenolo.
«Se vuole glielo dimostro. Cambi canale», e tocco il suo televisorino lcd che barcolla ogni volta che l’infermiera scrive qualcosa sul tavolo, «Metta al 98, per favore».
Allunga la faccia contro lo schermo, riconosce la tenda bianca e il crocifisso fluorescente, presenti in tutte le stanze dell’ospedale. «Chi è questo pezzo di merda?».
«No, non è pericoloso! Non è tipo da levarsi dalle palle così in fretta».
Esce dalla guardiola, le scarpe antinfortunistiche scricchiolano sul linoleum verso la sala rianimazione.
L’infermiera cerca il tasto del volume, così che l’astanteria si accorge man mano di quello che sta accadendo.
Approfitto del varco e li seguo.
Maran, la stessa camicia magenta, piange sgranato in primissimo piano sull’unica videocamera che gli è stata restituita, le lacrime gli riempiono la bocca. Dietro di lui Apollonija, in questo o in un altro pianeta vicino, dorme.
«Lei non meritava tutto questo. Quando l’ho conosciuta, oh, mammamia non ci voglio pensare, lei faceva la vita… Gustav, se mi stai ascoltando, sei un sacco di merda! Le avevi promesso di farla ballare in teatro. Guardala come balla adesso».
Maran prende fiato. Ogni strattonata sul cuoio gli suggerisce nuove idee: «Cosa ci mancava a TeleSabina? La cultura, avevamo. La musica, avevamo. Né più né meno come quella monnezza che rifilate ai vecchi. Sì, perché voi siete vecchi, e morti, ma sapete ancora uccidere un uomo».
L’irruzione – se così si può chiamare lo sfondamento di una porta imbiancata da poco ma completamente marcia – avviene in diretta. Il vigilante non ha capito bene cosa succede, deve solo convincere l’uomo a uscire, dice: «Non fare cazzate, ammolla la cintura».
Non può immaginare che pochi minuti dopo il video è già sui social e la sua battuta scoordinata un meme nazionale.
È mattina quando l’ormai mio ex-socio viene accompagnato in questura. Mi passa davanti, la giacca sulle spalle, nessuno gli ha messo le manette. Ne approfitto per dirgli: «Ti è andata male, ma domani mattina sarai già a casa. E sarò lì davanti a ricordarti quello che mi devi».
Lui finge un dolore intercostale e costringe il poliziotto a chiamare soccorso; vado via in tempo per non subire la pantomima.
E per arrivare in forma alla grande notte dello switch-off.
***
Attendo le 23.59 in piedi di fronte al televisore, con la giacca e le scarpe infilate, pronto a uscire. Festeggerò la fine delle trasmissioni al Capitano.
La beatitudine del momento è spezzata, Teresa mi chiama per dirmi che alla piccola servirà un apparecchio odontoiatrico. Costa una fucilata. E devo riavere i miei soldi.
L’infame non risponde, anzi il cellulare nemmeno squilla. O ha cambiato operatore o l’hanno arrestato per davvero.
Decido di riprendere l’evento per i posteri, col mio telefonino.
Sul timer mancano cinque secondi.
Quattro.
«Fanculo!».
Due.
«Atomo di merda, accelera!».
Uno.
Off.
Velo nero morte: in basso una riga bianca che si espande, prende spazio nello schermo: dalle 8 di domattina ci trovate su PollyTv.it.
***
Dietro l’idea dello streaming c’è quella vecchia faina di Regazzoni, ma chi tiene il frustino in mano è una certa Camilla detta Milly, presentatrice in un circuito regionale.
Il (tentato) video-suicidio di Maran ha fatto il botto, ne hanno parlato pure su Rete4.
PollyTv trasmette dalla suite di una clinica privata, Maran ha una nuova giacca bianca e il viso abbronzato. Regazzoni l’ha costretto a radersi e gli ha pagato uno sbiancamento dentale.
Deve stare dove gli dice Milly, in ginocchio a favore di luce, accanto al letto della ragazza. Può dire ciò che vuole, può insultare sé stesso e gli altri. Gli è proibito bestemmiare ma, peggio che mai, nominare TeleSabina.
Alle undici l’intervista di Maran al primario: «Ai nostri follower serve una buona notizia: ci dica che la ragazza si salverà, ritornerà a sorridere, splendente più di prima».
Il professore nicchia ma poi si lascia andare: «Nella mia clinica abbiamo già all’attivo quattro miracoli, quindi perché non sperarci?» e si passa tra i capelli grigi la mano col Rolex.
A mezzogiorno in punto parte un gingle: delle forchette animate danzano. E subito l’attenzione si sposta sulla cucina dell’ospedale. A Maran viene affidata una piccola GoPro, che zooma fino al coperchio di un pentolone: «Mmmh… cosa propone oggi lo chef?».
E la chef, una congolese che a malapena riesce a tenere i capelli crespi dentro il cappello, mette le mani davanti alla bocca, ma risponde: «Stufato. Tutto bono. Fatto con patate, piseli e cipolline».
«Ho già l’acquolina in bocca», e tira fuori la mossetta che tanto gli era servita negli anni Novanta per chiavarsi sette aspiranti soubrette del suo programma, così come recitano gli atti del processo.
Dopo pranzo Maran prega, insieme a un crocchio di bigotte professioniste della chiesa ortodossa.
Alle sedici una scolaresca viene a trovare la Bella addormentata. Appiccicano i disegni sui muri della suite e fino alla spalliera di metallo. Le insegnanti si fanno i selfie accanto al respiratore.
Se Milly ruota una manopola invisibile, come a sollevare la temperatura della stanza, lui sa cosa deve fare. E si alza, per fustigarsi con la cintura di pelle che su eBay sta a quattrocento euro. Piange e infierisce sulle braccia nude.
Ogni tanto il primissimo piano va sul volto bollito, a mostrare la prova fisica cui è sottoposto un sessantaquattrenne costretto a vivere questo infinito interno giorno.
***
Dopo una settimana di trasmissioni, con il canale che va a bomba, ho l’onore di ricevere una telefonata da Maran.
«Sei sempre stato un pezzente» dice, «come una zecca, sei. Ma non lo vedi che ti mollano tutti? Tua moglie, i tuoi figli. Fatti una vita, e impara a risollevarti, hai visto come si fa? Sai quanti ne ho conosciuti di imbecilli che pur di apparire, pur di galleggiare, erano disposti a tutto?»
Torno in sala da pranzo a terminare la partita di Scala40 con i miei.
Prima c’è stata una lugubre cena di brodo a risucchio, malgrado i trenta gradi notturni percepiti.
Mia madre chiude e io pago cento, con tutte le carte in mano, come quando mi sbancava da bambino.
«Lo vedi? Non cali, non cali, e poi… arriva qualcuno e ti fotte».
Loro ridono di questa improvvisa volgarità di mamma, strizzano gli occhi e portano su le labbra a mostrarmi i denti.
Poi mio padre torna serio: «Oggi non ti sei nemmeno lavato».
Sta per farmi un cazziatone, come quella volta del calumet di vetro. «Allora, a questa pagliacciata è il momento di darci un taglio. Fa’ quello che devi!».
Ma vengo distratto dalla campanella: mi avverte che c’è un nuovo video in diretta.
Le luci sbattono su pannelli dorati, e sulle cosce oleose di una ragazza. Licinia Bale, pornostar, recita la targhetta a basso schermo. Ma io la riconosco all’istante: è Giorgia, in eterna lista d’attesa per leggere il notiziario delle 20.
La cantante in sottofondo col vocoder non è comprensibilissima, ma il ritornello, “Polly Nights” arriva anche ai meno esperti.
Licinia gioca col suo vestitino soffice, lo slaccia, si perquisisce, si punisce con sculacciate poderose, strizza i capezzoli.
Poi il colpo di genio: rimasta con un perizoma diamantato di bigiotteria si avvicina al letto. Scosta il lenzuolo dalla parte inferiore, il tanto che serve a mostrare al pubblico i bei piedi sloveni di Apollonija. A casa non si rendono conto delle piaghe sotto i talloni. Si ficca in bocca l’alluce di Apollonija, affonda e torna su più volte, accompagnandosi con dei mugugni.
Poi mette le mani a coppa come a dire: Cosa ho fatto?
Sulla sigla accenna bye bye.
La comunità festeggia i primi centomila seguaci.
***
Le ultime energie le spendo per cercare il mio uomo della Provvidenza.
Il biglietto è stato un regalo dei miei, dopo la pensione di settembre.
È un viaggio di lavoro, ma vedere dall’alto l’Italia per un attimo mi rende meno coinvolto in quello che vi accade, come avere tre giorni di vacanza dal purgatorio.
Non è stato difficile arrivare a lui, sono bastate due ore sui social e cento euro a una sua segretaria per avere il whatsapp diretto.
Eppure, mi fa un effetto distorto sedergli accanto in un lounge bar di Lubiana. Anche il modo con cui mi fissano i suoi uomini non era atteso. Il più raccomandabile allarga la giacca e mi offre una cannuccia per la bamba; ma io so rifiutare con garbo.
Gustav corpore praesenti puzza di guai da un chilometro. Gli portano un divanetto, così che possa spaparanzarsi e grattarsi le cosce, annusarsi i baffi e bere la sua vodka in pace.
Abbiamo entrambi un interprete, anche se il mio parla un inglese da seconda ragioneria.
Nella sala dalle pareti viola la parola su cui ci inceppiamo più volte è: dignità.
Dice che non viene in Italia da parecchio e che non ha più tanta voglia di rischiare; poi però piega la mappa della clinica privata e se la ficca in tasca.
Gustav rutta e viene aiutato a sollevarsi, io sono pronto a stringere con la stessa forza la sua mano di pietra, ma è inarrivabile. E si accorge che ho sudato. Fa cenno al tizio della bamba e quello mi lancia un bonifico in diretta. La Slovenia è il Paese più civile del mondo.
***
Tornato in città vado dritto all’agenzia immobiliare.
«Ma perché non rimani da noi, che ci fai compagnia?». Ci prova, mia madre.
«No, non mi freghi più. Ogni volta che mi alzo scegli sempre le carte dal mazzo, lo facevi anche quand’ero bambino», e ci abbracciamo.
Al Capitano ho un tavolo riservato e due ragazze con abiti da sera identici che tirano a turno la mia cravatta. Sul cellulare mi mostrano esempi dei loro giochini, mi dicono di sceglierne quattro, inclusi nel prezzo.
***
Il segnale in periferia è blando, ma seguo con grande interesse le vicende della povera Apollonija, la nuova star di LoveLubianaTV.
E lascio che il telefono squilli per ore, immagino Maran diventare giallo di bile, bestemmiare e lanciarmi anatemi.
Al quinto giorno gli rispondo: «Mi hai cercato?».
«Io ti rovino, ti faccio ammazzare».
«Parla più forte, non riesco a…».
«Dov’è finita Polly?».
«Sta bene adesso, l’ho restituita al suo padrone».
«Sei un bastardo».
«Però lui è più generoso di te. Tu gliel’avevi comprata per tremila euro, mi ha detto così, e il signor Gustav non mente, è persona d’onore».
Ammutolisce, e io continuo: «A me ne ha dati trentamila. Non sei contento? Adesso il discorso tra noi due è chiuso. Ti ha salvato uno zotico che sa di piscio».
«Hai distrutto un’operazione artistica che qui in Italia non si era mai fatta prima…».
«Un’operazione artistica. Oh, è quello che fanno anche loro, con un canale già bello avviato, la comunità ben salda, gli sponsor e tutto. La suite non è bella come quella che avevate voi. Ma cos’altro gli manca? La tua faccia disperata in primo piano? O la pornostar bollita? Rassegnati Marzio, avevi ragione: i pezzi di imbecille disposti a tutto pur di galleggiare li trovi ovunque».
***
Le file ai provini nell’ufficio del produttore si intensificano nei successivi dieci giorni di programmazione. Gustav apre un nuovo casino a Lubiana.
Alla fine dell’estate entra in squadra anche Justina, amica di sangue della povera Apollonija e come lei brillante e bellissima. A suo tempo ha solo avuto la fortuna di contare su una famiglia e poter rimanere in Slovenia per terminare l’università.
Porta con sé il concept per un programma sugli insetti, “Imparare a volare”.
Aspetta che gli igienizzino la stanza e l’operatore piazzi la camera. Osserva con pazienza, in piedi accanto al letto. Ha un camice azzurro che le accende il viso, gli zigomi cosparsi di lacrime.
Apre la sua cassetta trasparente e le farfalle si sparpagliano nella stanza. «Solo le più forti lottano giorno dopo giorno per sfuggire ai predatori», dà inizio alla performance mentre il cameraman ne segue più che può, così che ognuno di noi possa affezionarsi a quelle più sgargianti. «Le altre preferiscono lasciarsi catturare» continua, «abbandonano il proprio Paese, diventano la troia di qualcuno» urla, tentando di coprire il fischio di allarme dell’apparecchio che tiene in vita Apollonija. Spalanca gli occhi in camera e mostra al pubblico a casa l’attacco del respiratore, «Le più forti non mollano mai!», sentenzia, e stacca la spina.
La porta è sbarrata dall’interno e l’operatore troppo lento per intervenire.
Il finale della sua breve trasmissione dovrebbe essere un pugno di farfalle che supera il finestrone, applausi registrati e sigla.
Gli infermieri e le guardie sfondano la porta, ma ormai è tardi per recuperare Apollonija; Gustav il pappone fa un ultimo tentativo e le si sdraia sopra per massaggiarle il cuore.
Appena si accorge che non c’è nulla da fare, rovescia il letto e quello che contiene in diretta nazionale; Justina e il suo camice azzurro a quel punto sono già alle porte di sicurezza.
L’ultima inquadratura è fuori fuoco, dal basso verso la finestra: le cime degli alberi intorno alla clinica e un aereo rosa che punta verso l’Italia.
Spengo lo streaming e salgo a piedi il corso sotto la pioggia, raggiungo casa dei miei con una bottiglia di vino e un mazzo di carte nuove. Nel tragitto il telefono non smette di vibrare. Gustav avrà certamente un’idea su come aggiustare il nostro affare.
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