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Un vecchio corpo: una condizione pubblica e soggettiva

di Luigi Loi Parafrasando Cormac McCarthy si potrebbe dire che l’unica cosa bella della vecchiaia è che finisce. Tentare di descriverla è difficile. Si tratta di un sapere più pratico che teorico perché se per un verso la vecchiaia è una condizione pubblica, è pur vero che ognuno di noi ha in potenza una vecchiaia da esprimere (o la sta già esprimendo) con tutta la soggettività psicologica/fisica/culturale/emotiva del giovane che è stato. Cercare allora di divinare queste tracce dai romanzi è pressoché impossibile, perché i meccanismi narrativi dicono solo quanto dichiarano di dire. Ma come lo fanno, che trucchi usano? In poche parole: che forma ha il dito che indica la luna? Gli estremi del vecchio La vecchiaia è fatta di posizionamenti e aspettative: che ruolo hanno nella nostra società e a cosa ambiscono i vecchi? Cosa si aspettano i giovani dai vecchi? E i vecchi dagli altri vecchi, cosa si aspettano? A sentire Simone de Beauvoir piccole aspettative e posizionamenti estremi: Se i vecchi manifestano gli stessi desideri, gli stessi sentimenti, le stesse rivendicazioni …

Libri del 2018 che avremmo voluto leggere ma non l’abbiamo fatto

Una volta a noi di ILDA qualcuno ci disse che, sì, aveva sentito parlare della nostra newsletter ma non l’aveva mai letta perché tanto si sa che nessuna newsletter è mai fatta veramente bene. Questa cosa del confondere l’onestà con la scortesia ci lasciò frastornati e ce ne andammo mogi (nel momento in cui servirebbe, una buona risposta non è mai a disposizione) ma ci è servita poi a ricordarci che il punto di come si fanno le cose non è disprezzare come le fanno gli altri, ma solo cercare il miglior diverso modo in cui possiamo farle noi. Dunque qui non diremo che le liste dei “migliori libri di fine anno” sono noiose, perché non lo pensiamo e siamo i primi ad andare a spulciare tra i gusti e i giudizi degli altri. Diremo però che, a leggerle, la sensazione che ne ricaviamo ogni volta è di essere gli unici a non aver trovato il tempo, a essere stati sconfitti dal sonno, ad aver dimenticato di, a non essere riusciti a. Noi non siamo affatto …

Il paradigma umbro: da Don Matteo a Grande Inverno

di Giacomo Faramelli Una sera una ragazza in un locale mi ha detto: «Sei umbro? Per me l’Umbria è tipo l’Islanda». Non so, ho risposto, queste son domande che non posso farmele. Per me casa mia, l’Umbria, è sempre stata quella descritta da Sebastiano Vassalli: Alla finestra vedo solo “monti azzurri”, le rocce “strati su strati”, quasi profili di pagine del libro squinternato del mondo: e mi ricordo le parole di Dio, ciò che lui disse a Sibilla: “Questo è un paese dove ho molto sofferto. Qualche traccia del mio sangue è rimasta tra le rocce, lassù”. L’Umbria è la terra d’elezione dei santi. I santi hanno fiuto per le cose di dio, figuriamoci per il suo sangue: qui, in queste colline a tratti dolci come una scollatura, a tratti dure come montagne himalayane, i santi ci hanno fatto la cova, il nido. E i loro eredi, sparuti o solitari pensatori francescani, residuati hippy, discendenti di colossali dinastie mitteleuropee fondano da secoli spazi di preghiera e meditazione, persino nuovi ordini monastici, nelle campagne punteggiate di …

Quando siamo diventati americani? Intellettuali tra Italia-madre, America-amante e una Disneyland già conosciuta

di Marco Terracciano Mario Soldati e l’Italia-madre Nel 1929 un giovanissimo Mario Soldati (1906-1999) parte per gli Stati Uniti, in fuga dall’Italia fascista. L’occasione gli si presenta dopo aver conseguito la laurea in Storia dell’Arte, grazie a una borsa di studio alla Columbia University ottenuta per l’intercessione del suo relatore Lionello Venturi. Pronto a salpare a bordo del transatlantico Conte Biancamano (il momento dello sbarco sulle coste orientali degli States divenne, negli anni Venti e Trenta, un vero e proprio topos letterario), Soldati spera di lasciare per sempre il suo paese di origine e diventare un emigrato a titolo definitivo. Rientrerà in Italia nel 1931. I suoi resoconti americani saranno pubblicati sul giornale genovese «Il lavoro», poi raccolti nel 1935 nel volume America primo amore  per conto dell’editore Bemporad. Mario Soldati è l’ideatore e il realizzatore del primo reportage enogastronomico della televisione italiana, Viaggio lungo la Valle del Po alla ricerca dei cibi genuini, e già il titolo ci trasmette un po’ dello spirito ingessato e scolastico della RAI degli anni Cinquanta. Così appare sugli schermi …

Le mappe sono storie

di Marco Malvestio 1. Di solito, si comincia a parlare delle mappe evocando il paradosso di Borges: perché la mappa sia davvero fedele all’impero che rappresenta, dovrebbe essere in scala 1:1. A quel punto, però, non solo occorrerebbe che la mappa contenesse anche la mappa stessa, ora parte integrante del territorio, ma l’impero sarebbe travolto e soffocato dalla mappa. Il problema è che questo paradosso è stato sciolto dall’invenzione delle mappe satellitari, da Google Earth; lo zoom permette di visualizzare la totalità e il dettaglio quasi contemporaneamente, e la mappa si fa oggetto navigabile, esplorabile. E quindi, come cominciare? 2. Parlare di mappe e letteratura vuol dire parlare più o meno di tre cose: del fascino della mappa come suggestione letteraria; della mappa e delle sue rese testuali come strumenti veritativi; della mappa come tema. 3. Occorre discutere anzitutto del fascino della mappa. Si potrebbero portare aneddoti, ma sono quasi tutti scontati: non c’è lettore bambino o adolescente per cui il fascino di certi romanzi non passi anche e soprattutto attraverso le mappe che li …

Vento, vino, fucili: la chiamavano sardità

di Luigi Loi La trinità La Sardegna, sembra assurdo doverlo ribadire, è fortemente antropomorfizzata. È persino entrata nell’era digitale: nel 1994 «l’Unione Sarda» è il primo quotidiano italiano ad avere un’edizione on-line, il primo in Europa, il secondo nel mondo. Eppure esiste una rappresentazione arcadica dei sardi: isolani fieri, con un sistema di valori forse antiquati, ma autentici. Scusate, sto usando troppe parole per dire qualcosa che si può dire in trenta secondi. Pubblicità: Uno spot bellissimo. La musica è contemporanea ma ha un accentuato sapore tribale. L’utilizzo del bianco e nero si riferisce a qualcosa di passato, quindi alla tradizione. Il montaggio è molto dinamico, moderno, con angolature enfatiche, ma propone una serie di abbinamenti visivo/verbali ironici: i nostri hipster sono i nostri vecchi saggi, mica dei fan di David Foster Wallace; i nostri loft sono i nuraghe; tradotto: la nostra birra rappresenta appieno la nostra tradizione, la nostra terra (nonostante l’Ichnusa sia olandese). Quindi se l’arte di raccontare finzioni si nutre di miti, archetipi, temi comuni e conflittualità, la rappresentazione della Sardegna come locus …

E se il romanzo fosse una forma aperta?

di Alfredo Zucchi Lo studio del racconto come forma letteraria, delle sue strutture e della sua storia mi ha spinto, per opposizione, a riflettere su certe questioni che riguardano invece il romanzo. Una di queste ha a che vedere con l’intreccio e la chiusa: il finale di un romanzo, la sua riuscita e la sua necessità. Se il racconto è una forma letteraria in cui vige il paradosso di Achille e la tartaruga, la vertigine del romanzo invece è quella del naufragio: è il mare aperto. Nel primo caso quello che fa tremare le gambe allo scrittore è l’infinitamente piccolo, nel secondo è invece l’infinitamente grande. Un romanzo porta con sé un ampio raggio di finali possibili – ed è terribile, per lo scrittore, dirsi che è quasi impossibile sbagliare. L’estensione gradua, la graduazione stempera: si naviga nel vago. Un racconto, al contrario, fin dalle prime battute vuole una e una sola chiusa, quella lì – ed è quasi impossibile trovarla. È peggio di una roulette russa: «Un uomo va al casinò, vince un milione, …

La letteratura, che non va bene quando è scritta dagli altri

Tanti anni fa durante la lezione di un laboratorio di scrittura consigliarono questo libro: “I dieci comandamenti di uno scrittore” di Stephen Vizinczey. Chi lo consigliò disse: Non fate caso al brutto titolo da lista banalizzante, respingente, da blog (la parola blog era ancora spesso accompagnata da una smorfia di disprezzo), perché in realtà dentro ci sono scritte cose di altissima levatura morale e letteraria. All’epoca io prendevo dal discorso sulla letteratura tutto quello che potevo prendere, e anche compravo tutti i libri che potevo comprare, così comprai anche questo. Lo avrò poi solo sfogliato qua e là, nel corso del tempo, ma mai letto per bene. Lo sto leggendo adesso. Non sono più una ragazzina e non sono più alla ricerca di maestri, anche se ne ho. So però che sono fallibili – eccome se lo sono – e so che le liste da blog possono racchiudere analisi tra le più interessanti mentre un libro cartonato di un autore con un nome impossibile da pronunciare non è assicurazione di alcunché. E dunque. photo by …

Era così bella nella sua bara: la letteratura e i cliché

sulla letteratura Lo script-doctor Robert McKee nel suo “Story – contenuti, struttura, stile, principi per la sceneggiatura e per l’arte di scrivere storie” scrive col solito modo diretto: Potendo scegliere tra materiale banale raccontato in modo brillante e materiale profondo raccontato male, il pubblico sceglierà sempre quello banale raccontato brillantemente. I maestri narratori sanno come spremere vita dalla più banale delle cose, mentre i narratori scadenti riducono a banalità le cose più profonde. Potete avere l’intuito illuminato di un Buddha, ma se non sapete narrare le vostre storie diventeranno aride come gesso. A McKee interessa dimostrare come il mestiere (che non è falsificazione, trama oscura o “operazione a tavolino”, ma consapevolezza di quello che fai: arte) non solo valorizzi il talento (virtù fragile), ma finisca per essere l’irrinunciabile pianeta sul quale il talento si può tenere in vita. E poi fa una distinzione tra talento letterario e talento narrativo: Il talento letterario – dice – è la “trasformazione creativa del linguaggio ordinario in una forma superiore più espressiva che descrive in modo intenso il mondo …

Scrivere è inseguire la verità (quello che le scuole di scrittura non dicono)

(Avviso: le buone scuole di scrittura sono importantissime! Iscrivetevi ai loro corsi!) Se provate a leggere il programma di un’onesta scuola di scrittura la successione degli argomenti delle lezioni che troverete sarà grosso modo questa: PUNTO DI VISTA VOCE NARRANTE STRUTTURA DELLA STORIA (I 3 ATTI) PERSONAGGI CONFLITTI TRAMA SCENE MONTAGGIO STILE EDITING Parlo dei programmi seri, non di quelli che hanno come titolo delle lezioni “l’incipit”, “il dialogo”, “la descrizione”, “il finale”. Quelli meglio lasciarli perdere. I programmi seri prendono in considerazione l’approccio a un testo narrativo nel suo insieme, analizzando le singole parti senza dimenticare di cosa si sta parlando: una storia. Non esercizi scolastici ed estemporanei (punto di vista: scrivi come se fossi un gatto; dialoghi: due sconosciuti s’incontrano al bar, cosa si dicono?), ma prove di composizione: disporre un’idea in forma narrativa. Comunemente per idea s’intende una cosa a metà tra “di cosa parla la storia” e “di cosa vuoi parlare tu” e il “di cosa vuoi parlare tu” si declina ora in “la mia esperienza” ora in “i temi che …